Ma Israele vuole legalizzare le colonie in Cisgiordana e nella Valle del Giordano prima dell’uscita di scena di Trump

Striscia di Gaza: l’occupazione israeliana è costata a 16,7 miliardi di dollari negli ultimi 10 anni

Unctad: il blocco prolungato delle frontiere e gli attacchi militari hanno portato l’economia di Gaza al collasso

[27 Novembre 2020]

Secondo il rapporto “Economic costs of the Israeli occupation for the Palestinian people: The Gaza Strip under closure and restrictions”  presentato dall’United Nations Conference on trade and development (Unctad) all’Assemblea generale dell’Onu, «Il costo economico cumulativo dell’occupazione israeliana, solo dalla chiusura prolungata e dalle operazioni militari a Gaza, durante il periodo 2007-2018, è stimato a 16,7 miliardi di dollari» e a che il costo «Sia 6 volte il PIL di Gaza nel 2018 o il 107% del PIL totale palestinese».

L’Unctad dice che senza il blocco delle frontiere e le operazioni militari israeliane, nella Striscia di Gaza, il tasso di povertà di Gaza nel 2017 avrebbe potuto essere del 15%, poco più di un quarto dell’attuale 56%, mentre Il poverty gap avrebbe potuto essere del 4,2%, un quinto dell’attuale 20%.

Il rapporto sottolinea «L’urgente necessità di porre fine alla chiusura di Gaza in modo che la sua popolazione possa commerciare liberamente con il resto del territorio palestinese occupato e con il mondo» e L’urgenza di ripristinare il diritto dei palestinesi alla libera circolazione per fare affari, ricevere cure mediche, istruirsi, divertirsi e rinsaldare i loro legami familiari.

Dal giugno 2007, quando a Gaza vinse le elezioni Hamas, 2 milioni di palestinesi sono stati rinchiusi all’interno della Strisci di Gaza, un’enclave tra Israele, l’Egitto e il Mediterrano che si estende su 365 km2 – considerata la più grande prigione all’aperto del mondo – e che dal 2008 ha subito tra grossi attacchi militari israeliani e innumerevoli scontri tra l’esercito israeliano e le milizie e la popolazione palestinese. «Il risultato  – sottolinea l’Unctad – è stato il quasi collasso dell’economia regionale di Gaza e il suo isolamento dall’economia palestinese e dal resto del mondo. La Striscia di Gaza ha uno dei tassi di disoccupazione più alti al mondo e più della metà della sua popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. La maggior parte delle persone non ha accesso ad acqua potabile, elettricità regolare e affidabile o anche a un sistema fognario adeguato. Tra il 2007 e il 2018, l’economia palestinese regionale a Gaza è cresciuta di meno del 5% e nel 2018 la sua quota nell’economia palestinese era diminuita dal 31% al 18%. Di conseguenza, il PIL pro capite si è ridotto del 27% e la disoccupazione è aumentata del 49%. Se la quota di Gaza dell’economia del Territorio palestinese occupato fosse rimasta la stessa del 2006, il PIL di Gaza sarebbe stato del 50% superiore alla sua dimensione reale».

Dopo il crollo del PIL, tra il 2007 e il 2017, a Gaza il tasso di povertà nel 2017 è schizzato dal 40% al 56%. Il poverty gap è aumentato dal 14% al 20% e il costo minimo annuale per far uscire le persone dalla povertà è quadruplicato da 209 milioni a 838 milioni di dollari (tasso 2015).

E il rapporto avverte che  «Queste stime sono parziali, perché coprono solo il costo economico dell’occupazione israeliana derivante dalla chiusura prolungata e dalle ricorrenti operazioni militari a Gaza dal 2007 al 2018. Non comprendono altri costi dell’occupazione israeliana, come l’impatto economico dell’impedire al popolo palestinese di utilizzare il proprio giacimento di gas naturale al largo delle coste di Gaza».

L’Unctad presenta anche delle raccomandazioni per mettere la Striscia di Gaza sulla strada dello sviluppo sostenibile, ma tutte includono qualcosa che non piace per niente al governo di destra israeliano: «La completa revoca delle restrizioni all’accesso e al movimento con la Cisgiordania e il resto del mondo».

Inoltre il rapporto raccomanda di «Sbloccare completamente il potenziale economico di Gaza investendo e costruendo porti e aeroporti, progetti idrici ed elettrici» e  che «Al governo palestinese dovrebbe essere consentito di sviluppare le risorse di petrolio e gas naturale al largo delle coste di Gaza. Ciò garantirebbe le risorse necessarie per la riabilitazione, la ricostruzione e la ripresa dell’economia regionale di Gaza, il che rafforzerebbe in modo significativo l’economia e la posizione finanziaria dell’Autorità Nazionale Palestinese».

Il nuovo rapporto si aggiunge alla precedente ricerca sul costo economico dell’occupazione israeliana, condotta in risposta a 5 risoluzioni dell’Assemblea generale dell’Onue (69/20, 70/12, 71/20, 72/13, 73/18 e 74/10 ), che hanno chiesto all’Unctad  di valutare e riferire sul costo economico dell’occupazione israeliana per il popolo palestinese.

Nonostante i recenti riconoscimenti diplomatici tra Israele e le monarchie assolute sunnite dei Paesi del Golfo, l’Onu continua a mantiene la sua posizione secondo cui una pace duratura e globale può essere raggiunta solo attraverso una soluzione negoziata basata sui due Stati e  «Il Segretario generale delle Nazioni Unite continuerà a garantire che le Nazioni Unite lavorino per la creazione di uno Stato palestinese indipendente, democratico, contiguo e vitale, che viva fianco a fianco in pace e sicurezza con Israele».

E ieri Israele ha messo un nuovo tassello per impedire qualsiasi accordo di pace con i palestinesi e lìioptesi dei due Stati:  come informa InfoPal, «Il ministro israeliano per gli Affari delle colonie, Tzachi Hanegbi, ha promesso di legalizzare decine di colonie nella Cisgiordania occupata prima che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump lasci la Casa Bianca, a gennaio».

Intervenendo ieri sera alla Knesset – il Parlamento israeliano – Hanegbi ha affermato di aver ricevuto l’approvazione del premier Benjamin Netanyahu per discutere la questione con il ministro degli affari civili e sociali: «Sono lieto di annunciare per la prima volta che abbiamo concordato che insieme formuleremo una bozza di risoluzione per il governo per promuovere tutte le mosse legali a nostra disposizione al fine di legalizzare le colonie nella Cisgiordania. Avenzerò la proposta mentre Trump è ancora in carica.

Il leader di dell’alleanza di estrema destra Yamina, Naftali Bennett, ha detto alla Knesset  che «Questo sarà un risultato storico», ma ha avvertito gli alleati “moderati”  che «L’unico test sarà nell’implementazione».

Esulta il consiglio ebraico dei sindaci delle colonie (considerate illegali dall’Onu): «E’ una notizia entusiasmante per chiunque abbia a cuore la questione delle colonie israeliane in [Cisgiordania] e nella Valle del Giordan».

Così, mentre Gaza muore lentamente di inedia e povertà, stretta nell’assedio più lungo del mondo, Isreale prepara nuove occupazioni, nuove guerre e nuovi bantustan palestinesi assediati.