Yemen: i bombardamenti Usa e britannici hanno riavvicinato vecchi e nuovi nemici
La Turchia accusa i due Paesi Nato di uso sproporzionato della forza e gli Usa di armare i terroristi
[15 Gennaio 2024]
Prima dei nuovi bombardamenti aererei e missilistici statunitensi e britannici contro strutture dell’esercito Houthi nord-yemenita, l’ambasciatore del governo yemem nita di Sana’a in Iran, Ibrahim Mohammad al-Deilami aveva detto in un’intervista con l’agenzia di stampa iraniana ISNA: «Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali cercano di impedire allo Yemen di sostenere il popolo di Gaza nel mezzo della guerra genocida di Israele contro gli assediati Territorio palestinese. Gli americani cercano di espandere la portata della guerra in tutta la regione, e li abbiamo già avvertiti di evitare qualsiasi atto insensato. Gli Stati Uniti sono responsabili di qualunque cosa possa accadere nel Mar Rosso. Il mio Paese non vuole un’ulteriore diffusione della guerra nella regione. Tuttavia, gli americani stanno cercando di espandere la portata della guerra [per] distogliere l’attenzione dalla questione della Palestina».
Il 12 gennaio a Sana’a e in diverse province dello Yemen del nord si sono svolte grandi manifestazioni contro gli attacchi della coalizione guidata dagli Usa e con lo slogan “Vittoria promessa e santa jihad” e Murad Qasim Ali uno dei capi politici di Ansarullah – il movimento sciita che governa il nord dello Yemen – ha detto che «La nostra posizione è chiara, non staremo in silenzio, non ci fermeremo e risponderemo al nemico; Sosteniamo la nostra nazione a Gaza e questa aggressione non ci porterà ad allontanarci da loro».
Ma aerei, navi e sottomarini statunitensi e britannici hanno continuato a bombardare lo Yemen in risposta agli attacchi dell’esercito nord-yemenita nel Mar Rosso contro navi israeliane o legate in qualche modo a Israele e Mehdi Al-Mashat, capo del Consiglio politico supremo dello Yemen, ha dichiarato in un’intervista all’agenzia di stampa ufficiale nord-yemenita Sabah che «L’aggressione criminale degli Usa ed Inghilterra non allontanerà lo Yemen dalla sua posizione di sostegno alla Palestina. La nostra coscienza è chiara: stiamo effettivamente partecipando al vostro fianco [dei palestinesi] in questa guerra e da oggi la Palestina non sarà più sola nella battaglia. La navigazione nel Mar Rosso e nel Mar Makran è sicura per tutte le navi, ad eccezione delle navi la cui destinazione sono i territori palestinesi occupati. America ed Inghilterra sono responsabili della militarizzazione del mare e dimostreremo all’America ed all’Inghilterra che lo Yemen sarà il cimitero dei grandi».
L’attacco allo Yemen del nord sembra ottenere l’effetto contrario a quello voluto e ha riavvicinato antichi e nuovi nemici. Se Hossein Amir Abdollahian, il ministro degli esteri dell’Iran, il più potente alleato degli Houthi, ha detto che «Gli Stati Uniti invece di sferrare attacchi allo Yemen, dovrebbero porre fine ai sostegni al regime sionista, in modo che la sicurezza ritorni nell’intera regione», perfino l’Arabia saudita, che per anni ha guidato una coalizione sunnita che fino a poche settimane fa bombardava quotidianamente il nord sciita dello Yemen, ha chiesto moderazione, imitata da uno dei partner della sua coalizione: l’Egitto che ha invitato tutti a compiere «Sforzi concertati a livello internazionale e regionale per allentare la tensione e ridurre l’instabilità nella regione, compresa la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso. A partire da un immediato cessate il fuoco globale e la fine della guerra in corso contro i civili palestinesi». Perfino Ayman Safadi, il ministro degli esteri della moderatissima Giordania ha detto che «I crimini di guerra del regime sionista contro i palestinesi sono responsabili dell’accresciuta tensione regionale e della violenza nel Mar Rosso. L’operato di Israele minaccia di innescare una guerra più ampia in Medio Oriente. La comunità internazionale non è riuscita ad agire per fermare l’aggressione israeliana contro i palestinesi».
E l’azione militare di due Paesi Nato contro lo Yemen viene duramente condannata da un altro Paese Nato e sunnita: la Turchia. Durante un in un discorso in una moschea di Istanbul, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan – che di uso della forza se ne intende – ha dichiarato che «Tutte queste azioni rappresentano un uso sproporzionato della forza. Washington e Londra vogliono trasformare il Mar Rosso in un mare di sangue. Vogliono un bagno di sangue nel Mar Rosso. La Turchia è stata molto critica nei confronti di Israele per la sua operazione militare a Gaza, e nei confronti dei Paesi occidentali per il loro sostegno alla campagna israeliana».
Poi, tanto per mantenere buoni rapporto con i Paesi NATO, il quotidiano turco Hurriyet ha rivelato che gli Usa avrebbero recentemente fornito informazioni, armi e munizioni al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) e che «Lo scopo di questa azione è creare una guerra di logoramento per la Turchia. Le informazioni indicano che non solo gli Usa ma anche altri centri hanno fornito informazioni, munizioni e armi al PKK. L’aumento del numero degli attacchi terroristici è legato anche ad eventi nazionali ed esteri. Alcuni paesi non vogliono che la Turchia sia un attore attivo nella regione, per questo la prendono di mira attraverso organizzazioni terroristiche».
Un’accusa pesantissima contro gli statunitensi colpevoli di aver fornito armi ai kurdi del Rojava che hanno liberato gran parte la Siria dallo Stato Islamico/Daesh.
Il ministro degli esteri italiano Antonio Tajani ha detto al Corriere della Sera che «Noi abbiamo sottoscritto la dichiarazione politica sulla sicurezza nel Mar Rosso — che è la più importante, e che la Francia ad esempio non ha firmato —, ma non abbiamo sottoscritto quella sugli interventi armati offensivi: una scelta da una parte obbligata, visto che ci vorrebbe prima un passaggio parlamentare, secondo la nostra Costituzione; dall’altro frutto di una convinzione politica, condivisa sia con il presidente del Consiglio, con il ministro Crosetto e con le nostre forze armate: c’è il rischio di un’escalation che vogliamo assolutamente evitare» e ha aggiunto: «Rispetto alla reazione militare di tre giorni fa siamo stati informati con molte ore di anticipo, visto che siamo alleati e che abbiamo una nave militare nelle stesse acque. Noi finora abbiamo dato soltanto il nostro sostegno politico, non militare, se con questa parola si intende l’uso offensivo della forza pianificato a fini deterrenti. Ho parlato io con Blinken quando Washington ha definito la dichiarazione che autorizza la forza di alcuni Stati e gli americani sono perfettamente consapevoli della nostra posizione. Noi siamo favorevoli a una missione europea allargata, più strutturata, abbiamo chiesto al commissario Borrell di mettere all’ordine del giorno proprio questo argomento. Una missione europea diversa da quella attuale, anche con regole di ingaggio diverse, cui parteciperebbe anche la Francia, è un obiettivo di breve periodo».
E l’a posizione dell’Alto commissario Ue Borrell del 12 gennaio ribadiva che «L’Ue accoglie con favore l’adozione della risoluzione 2722 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 10 gennaio che condanna fermamente gli attacchi Houthi contro le navi del Mar Rosso. Sostenere la libertà di navigazione nel Mar Rosso è vitale per il libero flusso del commercio globale e per la sicurezza regionale. Come ricordato dalla risoluzione 2722 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati hanno il diritto di difendere le proprie navi da questi attacchi in conformità con il diritto internazionale. L’Ue fa eco al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e chiede che questi attacchi, che ostacolano il commercio globale e minano i diritti di navigazione così come la pace e la sicurezza regionale, cessino immediatamente. L’Ue sollecita la moderazione da parte degli Houthi per evitare un’ulteriore escalation nel Mar Rosso e nella regione più ampia. In questo contesto, l’Ue ricorda l’obbligo di tutti gli Stati di rispettare l’embargo sulle armi previsto dalla risoluzione 2216 (2015) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’Ue continuerà a contribuire alla stabilità regionale».
Ma l’ambasciatore dell’ Cina all’ONU, Zhang Jun, ha sottolineato che «L’aggressione militare americana ed britannica contro lo Yemen è fallita» e ha fatto notare agli occidentali che «Il Consiglio di Sicurezza non ha mai permesso a nessun Paese di usare la forza contro lo Yemen».
Una tesi in qualche modo avallata dal segretario generale dell’Onu António Guterres ha esortato i Paesi a «Evitare un’escalation della situazione nel Mar Rosso».
Guterres ha sottolineato che «La risoluzione 2722 deve essere pienamente rispettata nella sua interezza» e ha ribadito che , «Gli attacchi contro le spedizioni internazionali nell’area del Mar Rosso non sono accettabili poiché mettono in pericolo la sicurezza delle catene di approvvigionamento globali e hanno un impatto negativo sulla situazione economica e umanitaria in tutto il mondo. Tutti gli Stati membri che difendono le proprie navi dagli attacchi devono farlo in conformità con il diritto internazionale, come previsto dalla Risoluzione». Bombardare un Paese più di 70 volte non sembrerebbe proprio “conforme”.
Guterres ha infatti concluso invitando tutte le parti coinvolte a «Non aggravare ulteriormente la situazione nell’interesse della pace e della stabilità nel Mar Rosso e nella regione più ampia» e sottolineando «La necessità di evitare atti che potrebbero peggiorare ulteriormente la situazione nello stesso Yemen. Chiedo che venga compiuto ogni sforzo per garantire che lo Yemen persegua un percorso verso la pace e che il lavoro intrapreso finora per porre fine al conflitto nello Yemen non vada perso».