L’analisi dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia

In provincia di Parma terremoto di magnitudo 4.2, negli ultimi tre giorni oltre 120 scosse

«Sequenze di questo tipo sono comuni nell’Appennino settentrionale, statisticamente la maggior parte termina dopo pochi giorni o qualche settimana»

[9 Febbraio 2024]

Alle 13.06 di oggi a Calestano, in provincia di Parma, la terra ha iniziato a tremare per un terremoto di magnitudo Mw 4.2, l’ennesimo arrivato a scuotere l’area negli ultimi giorni.

Dal 7 febbraio 2024 infatti  la Rete sismica nazionale sta registrando una serie di terremoti localizzati in provincia di Parma, in particolare nei Comuni di Langhirano, Calestano, Fornovo di Taro; una sequenza sismica che ad oggi conta 121 terremoti, e all’interno della quale la scossa odierna rappresenta l’evento più intenso.

Come informano dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), finora  i terremoti di magnitudo maggiore si sono verificati nel pomeriggio del 7 febbraio (Mw 3.4) , nella scorsa notte (ML 3.4) e alle ore 13:06 di oggi 9 febbraio (Mw 4.2).

L’area interessata dalla sequenza in corso ha una sismicità storica ben conosciuta e nella quale è possibile riconoscere eventi con caratteristiche simili, anche se hanno avuto magnitudo più elevate.

«Sequenze di questo tipo sono comuni nell’Appennino settentrionale, così come in molte altre regioni d’Italia – spiegano dall’Ingv – Statisticamente, la maggior parte di esse termina dopo pochi giorni o qualche settimana, ma in alcuni casi possono durare più a lungo, soprattutto nei casi in cui si manifesti un terremoto più forte. L’area interessata dall’attuale sequenza è posta in una fascia a pericolosità sismica media e non è distante dalle zone dell’Appennino settentrionale caratterizzate da pericolosità molto alta, come quelle della Val di Taro e della Garfagnana. Ricordiamo infine che la collocazione in una zona a pericolosità media o moderata non significa che non ci si debba aspettare forti scuotimenti in quell’area, ma che questi saranno meno frequenti nel lungo termine rispetto alle aree ad alta pericolosità».