A 100 giorni dalla Cop26, l’1% più ricco della popolazione mondiale ha emesso più CO2 dell’Africa in un anno
L’allarme di Oxfam dopo il rapporto IPCC: milioni di persone messe in ginocchio dal cambiamento climatico
[1 Marzo 2022]
Mentre il mondo spreca vite e risorse in una nuova folle guerra energetica ai confini dell’Europa, da Oxfam arriva una nuova drammatica denuncia sull’ingiustizia che sta dietro un pianeta in crisi: «In poco più di 100 giorni, dalla chiusura della Cop 26 sul clima, l’1% più ricco della popolazione mondiale è stato responsabile dell’emissione in atmosfera di circa 1,7 miliardi di tonnellate di CO2. Più di quanto l’intero continente africano, abitato da 1,4 miliardi di persone, ne emetta in un anno».
Non poteva esserci commento più crudo al nuovo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) che valuta l’impatto globale alla crisi climatica e la capacità di adattamento delle comunità più vulnerabili e che il segretario generale dell’Onu, António Guterres ha definito «Un atlante della sofferenza umana».
Secondo Nafkote Dabi, portavoce di Oxfam sui cambiamenti climatici, «Le immani sofferenze denunciate nel report dell’IPCC, devono essere un campanello d’allarme per tuttiI più poveri del pianeta subiscono duramente le conseguenze dei cambiamenti climatici, pur non essendone responsabili. Per questo, i paesi ricchi devono farsi carico morale ed economico di sostenere l’adattamento delle comunità più vulnerabili a eventi climatici sempre ormai estremi e imprevedibili».
Per l’ONG internazionale, quello fatto dagli scienziati dell’IPCC à «Un bilancio desolante e drammatico, che vede i più ricchi del pianeta continuare a produrre livelli altissimi di emissioni, incuranti di quanto poco manchi per raggiungere il punto di non ritorno, ossia l’aumento delle temperature globali oltre 1,5° C».
Per questo Oxfam ha rivolto un appello ai governi perché «Adottino un sistema di tassazione che renda sempre più costoso e non conveniente l’uso di mezzi di trasporto di lusso estremamente inquinanti, come aerei privati e mega yacht».
Dabi ricorda che «Tragicamente le persone che vivono nei paesi più colpiti dai cambiamenti climatici, non avevano bisogno del report dell’IPCC per rendersi conto di quanto stia accadendo nella loro vita. A pagare il prezzo più alto sono per esempio i piccoli allevatori della Somalia che hanno visto morire di sete le loro greggi, le famiglie nelle Filippine che hanno perso la loro casa, spazzata via da un ciclone poco prima di Natale. Indipendentemente dalla rapidità con cui i governi e le aziende hanno ridotto le emissioni di carbonio, è ormai troppo tardi per concentrarsi solo sulla mitigazione della crisi climatica. Miliardi di persone hanno bisogno ora di sistemi di allerta precoce, accesso alle energie rinnovabili e una migliore produzione agricola, non dopo che avremo tenuto sotto controllo le emissioni».
Finora, solo un quarto di tutte le risorse per il clima destinate ai paesi vulnerabili riguarda l’adattamento. L’accordo raggiunto alla COP26 Unfccc di Glasgow prevede che vengano raddoppiate fino a 40 miliardi di dollari entro il 2025, un passo in avanti, ma ancora insufficiente. Infatti, l’Onu stima che per l’adattamento ai Paesi in via di sviluppo servano 70 miliardi l’anno.
Per Dabi, «I Paesi ricchi, in gran parte responsabili della crisi climatica, devono fare di più per sostenere le comunità più povere che lottano per soddisfare i bisogni più basilari. Dobbiamo compiere ogni sforzo per favorire l’adattamento ai cambiamenti climatici, rendendo la Terra un luogo dove sia ancora possibile intervenire. Un innalzamento incontrollato delle temperature provocherà solo l’ineluttabile: morti, case sommerse, terre sterili e migrazioni di massa».
E mentre i ricchio inquinano come prima e più di prima, l’Africa meridionale è attualmente una delle aree del mondo più colpite e meno preparate a resistere all’impatto dei cambiamenti climatici. «Nelle ultime settimane la tempesta tropicale “Ana” ha causato decine di vittime e ridotto ai minimi termini i mezzi di sussistenza di oltre 1 milione di persone in Malawi e Mozambico, distruggendo centinaia di ettari di raccolti – sottolinea Oxfam – Uno scenario in cui le aree urbane, in cui si stanno trasferendo milioni di persone ridotte alla fame nelle zone rurali, sono sempre più esposte all’impatto di cicloni e inondazioni. In quartieri sempre più densamente popolati, un singolo evento può mettere completamente in ginocchio le infrastrutture essenziali, le capacità di rifornimento idrico, i servizi sanitari, la disponibilità di beni di prima necessità e cibo. Basti pensare che secondo le stime entro il 2030 metà della popolazione africana vivrà in aree urbane, mentre entro il 2050 (a fronte di un aumento del 60% degli abitanti totale del continente) saranno 1,23 miliardi gli africani a vivere nelle città».
Si tratta di un’emergenza alla quale Oxfam, insieme a UN Habitat, sta rispondendo in 4 città di Malawi, Mozambico, Isole Comore e Madagascar per sostenere la capacità di resilienza di oltre 350 mila persone con interventi mirati a rafforzare il sistema delle infrastrutture come, ad esempio, la riabilitazione e il rafforzamento dei sistemi di drenaggio; la costruzione di sistemi di protezione per le sponde fluviali per prevenire esondazioni, avviata nei giorni scorsi a Zomba in Malawi. Fondamentali anche gli interventi sugli strumenti di allerta precoce, come la riabilitazione della Radio a Chockwe in Mozambico, cruciale per l’allerta in caso di calamità naturali. In Madagascar Oxfam collabora anche per la protezione delle mangrovie, essenziali per proteggere le coste dalle inondazioni.