Buone notizie: le emissioni di sostanze dannose per l’ozono sono di nuovo in declino

Confermata l’origine cinese di parte delle emissioni abusive di CFC-11, ma non basta per chiarire un così forte inquinamento

[11 Febbraio 2021]

Due studi internazionali pubblicati su Nature  – A decline in emissions of CFC-11 and related chemicals from eastern China”  e “A decline in global CFC-11 emissions during 2018-2019” dimostrano che «Le emissioni globali di una potente sostanza nota per impoverire lo strato di ozono terrestre – la barriera protettiva che assorbe i dannosi raggi UV del sole – sono diminuite rapidamente e ora sono di nuovo in declino».

Infatti, le emissioni di CFC-11, una delle tante sostanze chimiche appartenenti ai clorofluorocarburi (CFC) un tempo ampiamente utilizzate nei frigoriferi e nelle schiume isolanti, sono tornate in declino meno di due anni dopo un picco registrato dopo le emissioni dovute probabilmente alla produzione illegale di CFC11a.

Luke Western, dell’Università di Bristol, co-autore principale di uno degli studi, ha sottolineato che «I risultati sono notizie molto gradite e si spera che segnino la fine di un periodo inquietante di apparenti violazioni normative. Se le emissioni fossero rimaste ai livelli notevolmente elevati che abbiamo riscontrato, avrebbe potuto esserci un ritardo, forse di molti anni, nel recupero dello strato di ozono. Inoltre, poiché il CFC-11 è anche un potente gas serra, le nuove emissioni hanno contribuito al cambiamento climatico a livelli simili alle emissioni di anidride carbonica di una megalopoli».

La produzione di CFC-11 è stata bandita a livello globale nel 2010 all’interno del Protocollo di Montreal, lo storico trattato internazionale che imponeva l’eliminazione graduale delle sostanze che riducono lo strato di ozono. Successivamente, avrebbero dovuoto diminuire costantemente. Ma nel 2018, alcuni degli stessi scienziati che hanno partecipato ai due nuovi studi hanno scoperto che intorno al 2013 era iniziato un aumento delle emissioni di CFC-11, causato da qualla che aveva tutta l’apparenza di una violazione del Protocollo di Montreal. I primi segnali che qualcosa di spiacevole e grave stava avvenendo erano stati individuati da un team internazionale di monitoraggio atmosferico guidato dalla National oceanic and atmospheric administration statunitense (Noaa) e ,la cosa era subito diventata un problema geopolitico, visto che la produzione abusiva di CFC-11 sembrava essere in Cina.

Steve Montzka della Noaa, principale autore del documento di ricerca originale, ricorda che «Avevano notato che dal 2013 la concentrazione di CFC-11 era diminuita più lentamente del previsto, indicando chiaramente un aumento delle emissioni. I risultati suggerivano  che una parte dell’aumento provenisse dall’Asia orientale». Risultati inattesi che però sono stati confermati dall’ Advanced Global Atmospheric Gases Experiment (AGAGE) una rete di misurazione globale indipendente.

Ron Prinn del Massachusetts Institute of Technology (MIT), ricercatore in capo di AGAGE e coautore di entrambi i nuovi studi, sottolinea: «I dati globali suggerivano chiaramente che ci fossero nuove emissioni. La domanda era: esattamente dove? La risposta sta nelle misurazioni presso AGAGE e delle stazioni di monitoraggio affiliate che rilevano l’aria inquinata dalle regioni vicine. Utilizzando i dati delle stazioni coreane e giapponesi, è emerso che circa la metà dell’aumento delle emissioni globali proveniva da parti della Cina orientale».

Ulteriori indagini da parte di media e ambientalisti hanno rivelato l’uso di CFC-11 nella produzione di schiume isolanti made in China e il governo cinese ne hanno preso atto e, in occasione dei meeting del Protocollo di Montreal nel 2018 e nel 2019 ha confermato che alcune sostanze vietate dannose per l’ozono erano state identificate durante delle ispezioni in una fabbrica, ma solo in quantità molto piccole rispetto a quelle desunte dai dati atmosferici. Secondo i rapporti della Cina, sono stati eseguiti arresti, sequestri di materiale e demolizione degli impianti di produzione.

I team scientifici hanno continuato a monitorare da vicino i livelli atmosferici dell’inquinante e le ultime prove, riportate nei due studi sulle emissioni globali di CFC-11 e sulle emissioni della Cina orientale, indicano che «Questi sforzi hanno probabilmente  contribuito a un drastico calo delle emissioni».

Matt Rigby, dell’università di Bristol, coautore di entrambi gli studi, ha spiegato: «Per quantificare come le emissioni sono cambiate su scala regionale, abbiamo confrontato i miglioramenti dell’inquinamento osservati nei dati di misurazione coreani e giapponesi con dei modelli computerizzati che simulano il modo in cui CFC-11 viene trasportato attraverso l’atmosfera. Con i dati globali, abbiamo utilizzato un altro tipo di modello che ha quantificato la variazione delle emissioni necessaria per corrispondere alle tendenze di concentrazione globali di CFC-11 osservate.  A entrambe le scale, i risultati sono stati sorprendenti: tra il 2017 e il 2019 le emissioni sono diminuite di migliaia di tonnellate all’anno. In effetti, stimiamo che questo recente calo sia paragonabile o addirittura superiore all’aumento originale, il che è una svolta notevole».

Ma i ricercatori avvertono che «Sebbene i risultati suggeriscano che l’azione rapida nella Cina orientale e in altre regioni del mondo abbia probabilmente impedito un sostanziale ritardo nel recupero dello strato di ozono, qualsiasi produzione non dichiarata avrà un impatto ambientale persistente». Rigby ha aggiunto: «Anche se la nuova produzione associata alle emissioni dalla Cina orientale e da altre regioni del mondo si è ora interrotta, è probabile che solo una parte del CFC-11 totale che è stato prodotto sia stato rilasciato nell’atmosfera. Il resto potrebbe essere ancora in attesa nella schiuma negli edifici e negli elettrodomestici e filtrerà nell’aria nei prossimi decenni».

Inoltre, dato che le emissioni stimate di CFC-11 nella Cina orientale non sono state in grado di spiegare completamente le emissioni globali dedotte, i due studi chiedono di intensificare gli sforzi internazionali per tracciare e rintracciare eventuali regioni dove in futuro potrebbero esserci emiussioni di CFC-11.

Ray Weiss, della Scripps Institution of Oceanography, principal investigator di AGAGE, conclude: «Come conseguenza diretta di questi risultati, le parti del Protocollo di Montreal stanno ora adottando misure per identificare, individuare e quantificare eventuali future emissioni inattese di sostanze sotto controllo, espandendo la copertura delle misurazioni atmosferiche nelle regioni chiave del globo».