Chempel, l’esperimento scientifico che usa la plastica per tracciare l’inquinamento marino
Cnr: i pellets assorbono gli inquinanti molto più velocemente dei mitili
[28 Novembre 2019]
Il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) con gli Istituti di scienze marine (Ismar, sede secondaria di Lerici) e di chimica dei composti organo-metallici (Iccom, sede secondaria di Pisa), insieme a Ingv, Dipartimento di chimica dell’università di Pisa, Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, cooperativa dei miticoltori di La Spezia e Piscicoltura di Portovenere del Pesce, stanno attuando nel Golfo di La Spezia, nel Mar Ligure, l’innovativo esperimento scientifico Chempel (Chemistry of the Pellets) che ha l’obiettivo di «monitorare il livello di inquinanti nelle acque costiere utilizzando resin pellets, cioè materiale plastico in grado di assorbire sostanze nocive come il polietilene e il polipropilene». L’esperimento Chempel è il primo del suo genere condotto nel Mediterraneo e durerà un anno e ad oggi sono stati effettuati i primi sei mesi di campionamento.
L’esperimento si svolge nell’ambito del progetto “La chimica e la genomica: una strategia sinergica per l’individuazione dei contaminanti associati alle microplastiche negli alimenti”, finanziato dal Ministero della salute, di cui sono beneficiari l’Ismar Cnr e Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. A sostegno dell’esperimento sono già state avviate 4 tesi di laurea (due specialistiche e due triennale, in collaborazione fra Cnr-Ismar e università di Pisa). I primi risultati sono stati presentati nel corso del convegno della Società italiana ricerca applicata molluschicoltura che si è svolto a La Spezia l’8-9 novembre 2019.
I ricercatori spiegano che in tra banchine del Golfo: Le Grazie, Marina del Canaletto e Santa Teresa di Lerici, «sono state posizionate le “gabbie” con i pellets, sferette polimeriche di circa 4 millimetri di diametro comunemente utilizzate come materia prima per realizzare manufatti in plastica. Le analisi permetteranno di indagare e comprendere i meccanismi di assorbimento, all’interno del materiale plastico, di vari tipi di sostanze inquinanti comparandoli con campioni biologici di mitili: saranno infatti messe a confronto le concentrazioni di inquinanti riscontrate, nelle diverse zone, nei due tipi di campioni, quelli biologici e i “no-living samplers” (pellets)».
Al Cnr ricordano che «I pellets, tra i vari tipi di microplastiche presenti in mare, si sono dimostrati capaci di assorbire molto più facilmente gli inquinanti organici persistenti (Pops) e altre sostanze idrofobiche disciolte in acqua come gli idrocarburi aromatici, ma anche i metalli pesanti: questo li rende particolarmente interessanti come traccianti del possibile grado di inquinamento delle zone marine costiere in tutto il mondo. Scopo dell’esperimento è, inoltre, anche quello di verificare il ruolo dei pellets nel trasporto delle sostanze assorbite lontano dalle fonti di inquinamento: a causa delle loro dimensioni, infatti, essi vengono facilmente dispersi in acqua durante le fasi di trasporto dai siti industriali, diventando un possibile vettore di inquinamento ambientale anche in ambienti incontaminati come l’Artide e l’Antartide».
Silvia Merlino, ricercatrice di Cnr-Ismar, conclude: «Il nostro progetto intende validare e implementare una metodologia di rilevazione dell’inquinamento che è già stata proposta da colleghi giapponesi, affiancando a un esperimento in situ, della durata di 12 mesi, un successivo periodo di studio di degradazione dei pellets con analisi in laboratorio: è importante, infatti, capire le trasformazioni a cui il polimero va incontro a contatto con le varie sostanze, e come le degradazione del materiale possa influire su parametri come la sua cristallinità e la porosità. I primi mesi di rilevazioni, con prelievi effettuati ogni tre – cinque giorni, ci hanno permesso di confermare l’ottima correlazione fra le quantità di Pops assorbiti dai due tipi di “filtratori” ma anche alcune significative differenze: i pellets, infatti, mostrano una velocità di assorbimento degli inquinanti molto maggiore rispetto ai mitili, che – essendo organismi viventi – richiedono settimane per metabolizzare le sostanze estranee. Questo rende i pellets veri e propri rilevatori veloci di inquinamento, utili a individuare tempestivamente situazioni critiche».