Contrastare l’inquinamento antimicrobico da bestiame e piscicoltura

EEA: bisogna ridurre l’uso di farmaci e migliorare il monitoraggio

[7 Maggio 2024]

Secondo il briefing “Veterinary antimicrobials in Europe’s environment: a One Health perspective” pubblicato dall’European Environment Agency (EEA), mentre negli ultimi anni in Europa è diminuito l’uso di farmaci antimicrobici negli animali d’allevamento e nell’acquacoltura, la continua presenza di residui antimicrobici nell’ambiente comporta rischi per gli ecosistemi e la salute umana.

Per l’EEA, «Un monitoraggio esteso degli antimicrobici nelle acque europee potrebbe aiutare a comprendere meglio l’efficacia delle azioni volte a ridurre l’uso di farmaci antimicrobici. Questo monitoraggio potrebbe anche aiutare a identificare gli hotspot dell’inquinamento e a valutare meglio i potenziali impatti sull’uomo, sugli animali e sull’ambiente».

Il briefing esamina specificamente l’uso di antimicrobici per gli animali destinati alla produzione alimentare e il loro impatto sull’ambiente, medicinali comunemente usati per prevenire o curare le infezioni nel bestiame e nell’acquacoltura. Possono anche aiutare a curare le malattie negli esseri umani e negli animali domestici, tuttavia il loro utilizzo può anche avere un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute umana.

Molti antimicrobici vengono assorbiti solo parzialmente dal bestiame e i residui si disperdono nell’ambiente, anche come parte del letame e dei fanghi di depurazione che vengono sparsi sui terreni agricoli come fertilizzanti. Allo stesso modo, gli antimicrobici somministrati ai pesci d’allevamento possono finire nei sistemi acquatici. Una volta presenti nel suolo o nell’acqua, questi composti possono rappresentare un rischio per gli ecosistemi, alterando le comunità microbiche e influenzandone le funzioni. La presenza di residui antimicrobici e di batteri e geni resistenti agli antimicrobici nell’ambiente potrebbe anche contribuire alla comparsa e alla diffusione della resistenza antimicrobica (AMR) .

Il briefing stima che «Le infezioni resistenti agli antimicrobici causano oltre 35.000 morti umane all’anno nei Paesi dello Spazio economico europeo. Le infezioni acquisite in ambito sanitario rappresentano attualmente la maggioranza di tutte le infezioni resistenti, ma sono necessari ulteriori dati per studiare il contributo dell’uso di antimicrobici negli animali da produzione alimentare a questo carico di malattie. Tuttavia, i Paesi che hanno ridotto il consumo totale di antimicrobici hanno registrato una riduzione dei batteri resistenti.

L’Ue ha riconosciuto la necessità di ridurre l’uso non necessario di antimicrobici sia negli esseri umani che negli animali. Ridurre del 50% l’uso negli animali d’allevamento e nell’acquacoltura entro il 2030, sulla base dei livelli del 2018, è esplicitamente incluso come obiettivo nella strategia  farm to fork e nello zero pollution action plan. L’EEA sottolinea che «La buona notizia è che l’uso di antimicrobici negli animali destinati alla produzione alimentare (animali d’allevamento e acquacoltura) è diminuito di circa il 28% tra il 2018 e il 2022  Gli Stati membri dell’Ue possono raggiungere l’obiettivo del 2030, ma dovranno continuare ad agire». Il briefing rileva che «Le misure per ridurre l’uso di antimicrobici e la necessità di utilizzarli in primo luogo, in linea con la gerarchia dell’inquinamento zero, sono essenziali per prevenirne il rilascio nell’ambiente».

Secondo il briefing dell’EEA,  «In tutta Europa esiste una significativa mancanza di informazioni e conoscenze sulla presenza di residui antimicrobici e di batteri e geni resistenti agli antimicrobici nell’ambiente. Colmare tali lacune è necessario per migliorare la valutazione del rischio dei medicinali veterinari antimicrobici, rafforzare la sorveglianza e l’allarme precoce, nonché identificare le soluzioni più efficaci per gestire i rischi».

L’EEA sottolinea «L’importanza di affrontare i rischi che insorgono all’interfaccia tra la salute umana, animale e dell’ecosistema attraverso un approccio One Health, riconoscendo che nessuna disciplina o settore della società può mitigare tali rischi da sola. L’attuazione di questo approccio è fondamentale per rendere l’Ue e i suoi Stati membri più attrezzati per prevenire, prevedere, individuare e rispondere alle minacce sanitarie, riducendo al tempo stesso le pressioni umane sull’ambiente».

Il briefing sostiene la necessità di un lavoro più ampio delle agenzie Ue su One Health, nonché la partecipazione dell’EEA alla  EU Cross-Agency One Health Task Force che comprende European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), European Chemicals Agency (ECHA), European Food Safety Authority (EFSA) ed European Medicines Agency (EMA).

Oggi queste 5 agenzie Ue hanno anche pubblicato un  joint framework for action  per sostenere l’attuazione dell’agenda One Health. La task force lavorerà all’attuazione del piano nei prossimi 3 anni (2024-2026), concentrandosi su 5 obiettivi strategici: coordinamento strategico, coordinamento della ricerca, rafforzamento delle capacità, comunicazione e coinvolgimento degli stakeholder e attività congiunte inter-agenzia. Questo garantirà che la consulenza scientifica fornita dalle agenzie sia sempre più integrata, che la base di prove per One Health sia rafforzata e che le agenzie siano in grado di contribuire con una voce unita all’agenda One Health nell’Ue.