Riceviamo e pubblichiamo
Il caldissimo fronte dei porti in Europa: come ridurre l’impatto ambientale delle navi, a partire dalle crociere
Sebbene rappresentino solo una piccola parte della flotta marittima globale, hanno un impatto sproporzionato sulla qualità dell'aria, sugli habitat e sul clima
[18 Agosto 2023]
Il fronte dei porti in Europa è caldissimo, almeno quanto le temperature estive estreme causate dal cambiamento climatico.
Il 20 luglio il Consiglio comunale di Amsterdam ha deciso a maggioranza di chiudere il porto della città a navi da crociera, in quanto portatrici di “overturism” (ovvero la congestione o il sovraffollamento da un eccesso di turisti, con conseguenti conflitti con la gente del posto). L’opposto, insomma del cosiddetto ”ecoturismo”, perché non porta benefici significativi tantomeno se ambientali alla città, ma solo problemi rilevanti.
Un portavoce del vicesindaco di Amsterdam Hester van Buren, che ha la responsabilità del porto della città, ha detto alla Cnn che il Consiglio ha approvato una proposta per chiudere il terminal delle navi da crociera della città: «Le navi da crociera nel cuore della città non rientrano nell’obiettivo di Amsterdam di ridurre il numero di turisti».
Ma se Amsterdam ha anche lanciato una campagna per dissuadere gruppi di giovani edonistici dal visitare la città – una mossa condannata dalle imprese alberghiere locali –, le limitazioni alle navi da crociera si stanno diffondendo sempre più. Con Barcellona ad esempio che punta a dimezzare gli sbarchi e la conseguente invasione di croceristi in città, che sfiorano i 200.000 al mese durante l’alta stagione. A preoccupare è soprattutto l’inquinamento: la capitale catalana è il peggior porto crocieristico per inquinamento atmosferico in Europa.
Dello stesso avviso è l’amministrazione di Marsiglia. Qui il traffico marittimo delle crociere e delle grandi navi rappresenta la gran parte dell’inquinamento atmosferico. Soprattutto dopo che la popolazione ha sperimentato un periodo di libertà da questa industria turistica così invasiva, la città si è espressa contro il settore inasprendo le restrizioni. Come pure Santorini e Dubrovnik, che hanno intensificato i limiti imposti alle compagnie di crociera.
Ma in realtà la strada era stata aperta da Venezia che anche a causa della sua “fragilità” veramente unica, aveva imposto un divieto alle navi da crociera nel 2021.
E i risultati sono stati immediati e inconfutabili: secondo uno studio di Transport & Environment, network europeo che combatte l’inquinamento del sistema dei trasporti europeo di cui fanno parte le italiane Legambiente e Kyoto Club, Venezia, che aveva il più alto livello di inquinamento da nave da crociera in Europa, con il divieto del 2021 è scesa al 41° posto nella lista delle città più inquinate dalle navi da crociera.
Fanno poi parte della cronaca quotidiana di questi mesi le polemiche e comunque il dibattito che si estende in tante citta portuali anche italiane. Come il caso di La Spezia, dove nel rapporto dell’Asl 5 compare anche il ranking delle città portuali italiani per le emissioni di biossido di azoto dalle navi da crociera, dati però relativi al 2017, quando al primo posto c’era (ancora) Venezia (600.337 kg), quindi Civitavecchia (500.326), Livorno (378.129), Napoli (303.708), Genova (261.550). La Spezia è a quota 194.646 kg, davanti a Savona (191.830), Cagliari (144.070), Messina (130.777) e Palermo (130.054).
Ma quanto inquinano le navi da crociera?
- Gas a effetto serra: complessivamente, nel 2018 le navi che hanno fatto scalo nei porti dell’Ue e dello spazio economico europeo hanno generato circa 140 milioni di tonnellate di emissioni di CO2(circa il 18 % delle emissioni complessive a livello mondiale).
- Inquinamento atmosferico: nel 2019 le stesse navi hanno prodotto circa 1,63 milioni di tonnellate di emissioni di anidride solforosa (SO2), ossia circa il 16 % delle emissioni globali generate dal trasporto marittimo internazionale.
- Inquinamento acustico sottomarino: le navi creano inquinamento acustico che può avere ripercussioni sulle specie marine in diversi modi. Si stima che, tra il 2014 e il 2019, l’energia sonora sottomarina totale irradiata e accumulata nelle acque dell’UE sia più che raddoppiata. Le portacontainer, le navi passeggeri e le navi cisterna generano le emissioni più elevate di energia sonora, dovute all’utilizzo delle eliche.
- Specie non indigene: nel complesso, dal 1949 il settore del trasporto marittimo è il principale responsabile dell’introduzione di specie non indigene nei mari dell’Ue (circa il 50%), la maggior parte delle quali è stata rilevata nel Mediterraneo. Si tratta di un totale di 51 specie, tutte classificate ad alto impatto, nel senso che possono incidere sugli ecosistemi e sulle specie autoctone. La relazione segnala anche che i dati disponibili per valutare l’impatto complessivo sugli habitat e sulle specie sono limitati.
- Inquinamento da petrolio: su un totale di 18 grandi fuoriuscite accidentali di petrolio a livello mondiale dal 2010, solo tre sono avvenute nell’Ue (17%). Un migliore monitoraggio e una migliore conoscenza e applicazione delle disposizioni stanno contribuendo a ridurre gli incidenti di inquinamento da petrolio, anche se la quantità del greggio trasportato via mare è aumentata costantemente negli ultimi 30 anni.
Secondo Transport & Environment, la nave più inquinante l’anno scorso è stata Msc Grandiosa, da sola responsabile di oltre 130.000 T di CO2, quanto emette mediamente in Italia una cittadina di circa 27.000 abitanti, come Cecina o Pontedera.
È evidente che se in una città portuale media (159.000 abitanti) come Livorno si arriva a registrare l’attracco contemporaneo di 7 navi da crociera come è stato per esempio nel giugno 2022, che se tutte presenti causerebbero emissioni di CO2 “indicativamente” pari a quelle di 7 cittadine come Cecina (per abitanti significherebbe un sostanziale raddoppio degli abitanti), è evidente che c’è comunque un serissimo problema ambientale, almeno rispetto alle emissioni di CO2.
La Ong tedesca Nabu ha calcolato infatti che una nave di medie dimensioni che brucia fino a 150 tonnellate di greggio al giorno produce la stessa quantità di particolato di un milione di automobili.
Detto altrimenti, le oltre 100 navi della sola Carnival Corporation, che controlla 11 marchi tra cui Costa Crociere, emetterebbero più ossido di zolfo (con rischi per la salute umana, l’acidificazione dell’ambiente terrestre e acquatico) di tutte le 260 milioni di automobili in Europa.
Sebbene le navi da crociera rappresentino solo una piccola parte della flotta marittima globale, hanno un impatto sproporzionato sulla qualità dell’aria, sugli habitat e sul clima. Le navi da crociera richiedono molto più carburante a causa della domanda di energia degli hotel e delle strutture ricreative fornite a bordo (imbarcano anche 9000/10.000 tra clienti ed equipaggio), oltre a spingere le navi a velocità più elevate e vicine alla costa.
Ma sopratutto, le navi da crociera bruciano olio combustibile pesante (Hfo), cioè il combustibile fossile più sporco al mondo.
La maggior parte di queste navi inoltre non hanno filtri antiparticolato diesel o convertitori catalitici selettivi per pulire i gas di scarico, tecnologie standard per i veicoli stradali come i camion. Attualmente l’olio combustibile pesante che usano contiene 35000 ppm di zolfo, che è 3.500 volte più inquinante del diesel stradale. Lo standard nelle aree di controllo delle emissioni di zolfo (Seca) è di 1000 ppm.
Che fare?
Un intervento fondamentale deve essere l’elettrificazione delle banchine da alimentare con energia elettrica prodotta con energie rinnovabili, e da realizzare nel minor tempo possibile.
In ogni caso si tratta di realizzare il più velocemente possibile interventi di cosiddetto “Cold ironing” e significa che le navi che arrivano in un porto e attraccano alle banchine, dovranno spegnere i propri motori dedicati alla produzione di energia elettrica che usano il peggior combustibile (lo Hfo), e cessando quindi di causare pesanti danni ambientali e sanitari che dovrebbero essere monetizzati e addebitati alle stesse navi che attraccano (per incentivare la conversione delle navi alla elettrificazione in banchina), senza scordare le morti causate ai residenti più fragili e anziani e i danni e costi sanitari subiti dal servizio sanitario nazionale.
Per affrontare questi problemi ambientali e sanitari causati dal gigantismo navale e dall’uso dei combustibili e delle tecnologie più inquinanti, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha stanziato per la realizzazione di impianti di cold ironing circa 700 milioni di euro: è un primo indispensabile punto di partenza, ma diversi sono ora i nodi da sciogliere, evidenziati nel report di Legambiente “Porti verdi: la rotta verso uno sviluppo sostenibile” nel febbraio 2021, che ha ben indicato 6 obbiettivi e nodi critici:
1) finalizzare il processo di definizione di una tariffa elettrica dedicata al cold ironing in modo da renderla competitiva rispetto all’utilizzo dei motori di bordo,
2) introdurre schemi di finanziamento o cofinanziamento pubblico per accelerare la transizione del sistema portuale italiano verso la sostenibilità,
3) identificare gli interventi prioritari sul sistema portuale per avviare il processo di elettrificazione,
4) promuovere la progressiva elettrificazione dei consumi portuali con fonti rinnovabili,
5) sviluppare una roadmap nazionale che preveda l’elettrificazione dell’intero sistema portuale. L’abilitazione al cold ironing dei 39 porti italiani del network TEN-T permetterebbe ogni anno di evitare la combustione di oltre 635mila tonnellate di gasolio marino,
6) sviluppare le infrastrutture ferroviarie nei porti e le interconnessioni con la rete al fine di favorire il trasporto elettrico e su ferro per lunghe e medie distanze.
di Lorenzo Partesotti