In 20 anni triplicate le microplastiche depositate sui fondali marini del Mediterraneo occidentale

Un aumento che corrisponde a quello del consumo di prodotti in plastica

[23 Dicembre 2022]

Secondo lo studio “Can a Sediment Core Reveal the Plastic Age? Microplastic Preservation in a Coastal Sedimentary Record”, pubblicato su Environmental Science & Technology da un team di ricercatori  dell’ l’Institut de Ciència i Tecnologia Ambientals de la Universitat Autònoma de Barcelona (ICTA-UAB) e del BUILD – Institut for Byggeri, By og Miljø dell’Aalbog Universitet, «La quantità di microplastiche depositate sul fondo degli oceani è triplicata negli ultimi due decenni con una progressione che corrisponde al tipo e al volume di consumo di prodotti in plastica da parte della società».

Le carote di sedimenti studiate sono state raccolte nel novembre 2019, a bordo della nave oceanografica Sarment de Gamboa, durante una spedizione scientifica che da Barcellona è arrivata fino alla costa del delta dell’Ebro, a Tarragona. Il team di ricerca ha selezionato come area di studio il Mar Mediterraneo occidentale, in particolare il delta dell’Ebro, perché i fiumi sono considerati un hot spot per diversi  inquinanti, comprese le microplastiche. Inoltre, l’afflusso di sedimenti dal fiume Ebro fornisce tassi di sedimentazione più elevati rispetto all’oceano aperto.

Lo studio fornisce il primo ricostruzione risolutiva dell’inquinamento da microplastiche nei sedimenti del Mar Mediterraneo nordoccidentale e ricorda che «Sebbene il fondale marino sia considerato il pozzo finale per le microplastiche che galleggiano sulla superficie del mare, l’evoluzione storica di questa fonte di inquinamento nel compartimento sedimentario è sconosciuta, e in particolare il tasso di sequestro e sepoltura delle microplastiche più piccole sul fondo dell’oceano».

All’ ICTA-UAB evidenziano che «Questo nuovo studio dimostra che le microplastiche sono conservate in sedimenti marini indisturbati e che la massa di microplastiche sequestrata sul fondo replica la produzione globale di plastica dal 1965 al 2016». La principale autrice dello studio, Laura Simon – Sanchez, aggiunge che «In particolare, i risultati dimostrano che, dal 2000, la quantità di particelle di plastica depositate sul fondo del mare è triplicata e che, lungi dal diminuire, l’accumulo non ha smesso di crescere in proporzione alla sua produzione e utilizzo globale».

Il team di ricerca spiega che i sedimenti analizzati restano intatti  sul fondo del mare invariati da quando sono stati depositati decenni fa e un altro autore dello studio, Michael Grelaud dell’ICTA-UAB, sottolinea che «Questo ha permesso di verificare come, a partire dagli anni ’80, ma soprattutto negli ultimi due decenni, sia aumentato l’accumulo di particelle di polietilene e polipropilene, da imballaggi, bottiglie e pellicole alimentari, oltre che di poliestere, provenienti da fibre sintetiche provenienti da tessuti per l’abbigliamento». La quantità di questi tre tipi di particelle raggiunge 1,5 mg per ogni chilogrammo di sedimento raccolto e il più abbondante è il polipropilene, seguito da polietilene e poliestere.

All’UAB avidenziano che «Nonostante le campagne di sensibilizzazione sulla necessità di ridurre la plastica monouso, politiche globali in questo senso potrebbero contribuire a migliorare questo grave problema».

Sebbene le microplastiche siano molto abbondanti nell’ambiente, in precedenti studi sui sedimenti marini, i limiti dei metodi analitici hanno condizionato le precisa determinazione dei livelli di microparticelle. In questo studio i livelli sono stati caratterizzati applicando immagining all’avanguardia per quantificare particelle fino a 11 µm di dimensione.

I ricercatori catalani e danesi  spiegano ancora che «E’ stato analizzato lo stato di degrado delle particelle sepolte, ed è stato riscontrato che, una volta depositate sul fondo del mare, non si degradano più, vuoi per mancanza di erosione, ossigeno o luce».

L’autrice senior dello studio, Patrizia Ziveri, docente dell’Institució Catalana de Recerca i Estudis Avançats (ICREA) all’ICTA-UAB, conclude: «Il processo di frammentazione avviene principalmente nei sedimenti della spiaggia, sulla superficie del mare o nella colonna d’acqua. Una volta depositato, il degrado è minimo, quindi le plastiche degli anni ’60 continuano sul fondo del mare; lasciando la firma dell’inquinamento umano in fondo al mare».