La fitodepurazione per contenere i Pfas
Un progetto pilota di Life Phoenix in tre zone umide del Veneto che utilizza il canneto
[29 Ottobre 2020]
La contaminazione della risorsa idrica dalle cosiddette sostanze emergenti è un argomento sempre più attuale. Il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa) spiega che «Per contaminanti emergenti si intendono inquinanti a cui la legislazione non ha ancora dato un valore limite perché non conosciuti o perché in passato non si avevano sufficienti dati scientifici per ritenerli pericolosi per l’ambiente e la salute umana. Infatti, non è sempre facile affrontare la problematica di contenimento e conseguente disinquinamento di queste sostanze non avendo adeguate informazioni sulle loro proprietà intrinseche e sul loro comportamento e destino ambientale».
Il Progetto Perfluorinated compounds Holistic Environmental Interistitutional eXperience” (Life Phoenix), del quale l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (Arpav) è partner insieme a Regione Veneto, Azienda Zero, Istituto di Ricerca sulle Acque (IRSA – CNR) e università di Padova, ha lo scopo di «dimostrare come un nuovo modello di governance inter-istituzionale, supportato da sistemi previsionali innovativi e da mirate strategie di mitigazione, possa permettere di gestire in modo tempestivo ed efficace i rischi derivanti da contaminazione delle acque da sostanze organiche mobili e persistenti (definite dall’acronimo PMOC). Questo modello verrà proposto con lo scopo di evitare o, almeno in parte, ridurre la spesa pubblica necessaria per far fronte ai danni causati da inquinanti emergenti a livello di salute umana e per l’ambiente. Il focus specifico di questo progetto riguarda una sottoclasse di PMOC quali le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) a catena corta e interesserà le acque potabili e quelle ad uso irriguo».
Tra le azioni operative di Phoenix c’è quella di confrontare e validare alcuni sistemi innovativi di mitigazione e di contenimento dell’inquinamento da PFAS a catena corta, «attraverso la costruzione di impianti pilota per la purificazione di acque potabili (sistemi di abbattimento chimico-fisici basati su filtri a resina) e di acque per uso irriguo (tecniche di fitodepurazione in tre specifiche aree umide)».
Snpa evidenzia che «La spinta verso sistemi di contenimento alternativi, basati appunto su sistemi “naturali” (nature-based solutions) ha dato impulso negli ultimi anni agli studi sulle capacità depurative degli organismi vegetali. Il potenziale di depurazione delle piante, anche se non estremamente elevato, può essere sfruttato nelle aree umide (artificial wetlands) dove la disponibilità di biomassa è elevata e si accoppia a un efficace meccanismo di deposizione della sostanza sospesa. Le tecniche fitodepurative spesso vengono utilizzate come trattamento aggiuntivo dopo i trattamenti tradizionali di depurazione».
In Veneto sono allo studio azioni per mitigare la concentrazione di PFAS nelle acque utilizzate per uso agricolo e per questo è in corso di realizzazione un impianto pilota di fitodepurazione per il trattamento delle acque per uso irriguo. Life Phoenix ha individuato il canneto comune (Phragmites australis), una specie molto diffusa e dalla crescita spontanea, per la realizzazione di un impianto pilota a Lonigo (Vicenza) per testare l’assorbimento di PFAS dalle acque per uso irriguo. La successiva dimostrazione su scala reale dell’efficacia di questo sistema di fitodepurazione è in fase di sviluppo su tre aree umide del Veneto poste in zone diverse dell’area di progetto: Monastiero presso Bevilacqua (Verona), Monselice (Padova) e Ca’ di Mezzo a Codevigo (Padova).
Arpav analizza la matrice acquosa per verificare l’efficienza della fitodepurazione con controlli di campioni in entrata e in uscita sia dall’impianto pilota che dalle aree umide individuate. Invece, l’ IRSA-CNR analizza i campioni vegetali di Phragmites australis. I metodi analitici sviluppati e validati da Arpa e IRSA-CNR consentono di determinare la concentrazione di 9 acidi perfluoroalchilcarbossilici (da 4 a 12 atomi di carbonio) e 3 perfluoroalchilsolfonici (4, 6, 8 atomi di carbonio) in campioni di acqua e di matrice vegetale. L’analisi è basata sulla determinazione simultanea dei PFAS mediante strumentazione LC-MS/MS.
Il Snpa conclude: «I dati preliminari evidenziano una discreta capacità delle piante nell’assorbimento di PFAS che ha permesso di testare il sistema anche a livello delle tre aree umide ovvero in zone alimentate sia da acqua superficiale che da acqua sotterranea».