Legambiente parte civile nel processo sugli sversamenti di petrolio al COVA di Viggiano
Secondo un documento della Regione Basilicata l'inquinamento dalle vasche sarebbe ancora attivo
[23 Novembre 2021]
Legambiente Basilicata e Legambiente Nazionale sono state ammesse come parti civili nel processo in corso a Potenza sugli sversamenti al Centro Olio ENI di Viggiano. Il Giudice dell’udienza preliminare ha deliberatol’ ammissione in virtù della specificità degli interessi tutelati da entrambi i livelli dell’associazione. Quindi, Legambiente continuerà a seguire la vicenda anche nelle aule giudiziarie attraverso i legali del suo Centro di azione giuridica (Ceag)-
Il Presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani e il presidente di Legambiente Basilicata Antonio Lanorte esprimono «Ssoddisfazione per il positivo accoglimento da parte del GUP della richiesta di costituzione parte civile nel processo, ricordando che il Cigno Verde aveva denunciato con un esposto penale nel 2017 alla Procura di Potenza», dopo le dichiarazioni di Eni sugli sversamenti di petrolio dal Centro Oli di Viggiano, chiedendo di far luce sui fatti e facendo appello alla legge 68/2015 sugli ecoreati visto il grave rischio di contaminazione di suolo e sottosuolo, compreso il reticolo idrografico.
»Anche grazie a quell’esposto – dicono gli ambientalisti – è partita un’inchiesta con l’arresto dell’allora responsabile dell’impianto, Enrico Trovato e quindi il processo penale per disastro ambientale ancora in corso. Nel frattempo, il capo di imputazione di disastro ambientale è stato esteso, con la deposizione lo scorso settembre della nuova accusa da parte del pm Montemurro, anche agli ex direttori del sito dell’Eni a Viggiano, Ruggero Gheller ed Andrea Palma, responsabili dell’impianto prima di Trovato. Infatti il pm ha ritenuto che, sebbene il reato sia stato introdotto nel 2015 con la legge 68 sugli ecoreati, quindi in epoca successiva al periodo in cui i due imputati hanno avuto responsabilità sull’impianto (tra il 2011 e il 2014), gli effetti della loro presunta mala gestione si sarebbero avuti anche successivamente».
Altro elemento di grande rilevanza emerso nell’udienza è che, in base ad un documento dell’Ufficio prevenzione e controllo ambientale della Regione Basilicata, nell’area ci sarebbero «sorgenti primarie di contaminazione ancora attive».
Ciafani e Lanorte concludono: «Se questo inquietante scenario dovesse essere confermato, emergerebbe con maggior forza quanto sosteniamo da anni in merito alla presenza di ENI in Basilicata, anche alla luce degli esiti dell’altro processo, il cosiddetto Petrolgate 1, in cui ENI è stata condannata in primo grado lo scorso marzo per traffico illecito di rifiuti: la matrice comune di tutte queste inchieste, è il livello di approssimazione, l’incuria e le gravi disattenzioni manifestate da ENI nei confronti del pubblico interesse alla salute e all’integrità