Micro e nanoplastiche trovate nei tessuti umani
Una nuova tecnica presentata al meeting ACS rivela la presenza di plastica nel corpo umano
[19 Agosto 2020]
Il 18 agosto un team di ricercatori ha presentato all’ American Chemical Society (ACS) Fall 2020 Virtual Meeting & Expo I risultati di una ricerca che ha analizzato 47 campioni di tessuto umano con la spettrometria di massa e che ha scoperto che «contenevano monomeri, o componenti plastici».
L’inquinamento da plastica del suolo, dell’acqua e dell’aria è un problema globale e gli animali e gli esseri umani possono ingerire le particelle prodotte dalla degradazione della plstica, con conseguenze sulla salute ancora incerte. Ora, gli scienziati riferiscono di aver per la prima volta esaminato micro e nanoplastiche negli organi e nei tessuti umani.
Charles Rolsky, un ricercatore dell’Arizone State University che ha presentato lo studio al meeting ACS, spiega che «Troviamo le macro micro e nano plastiche praticamente in ogni luogo del mondo e in pochi decenni siamo passati dal vedere la plastica come un meraviglioso vantaggio a considerarla una minaccia. Ci sono prove che la plastica si sta facendo strada nei nostri corpi, ma pochissimi studi l’hanno cercata lì. E a questo punto, non sappiamo se questa plastica sia solo un fastidio o se rappresenti un pericolo per la salute umana».
Le microplastiche sono frammenti di plastica di diametro inferiore a 5 mm, le nanoplastiche sono ancora più piccole, con diametri inferiori a 0,050 mm. La ricerca sugli animali selvatici e modelli animali di laboratorio ha collegato l’esposizione alla micro e nanoplastica a infertilità, infiammazione e cancro, ma i risultati sulla salute nelle persone sono attualmente sconosciuti. Precedenti studi hanno dimostrato che la plastica può passare attraverso il tratto gastrointestinale umano, ma Rolsky e Varun Kelkar, un altro autore della nuova ricerca e anche lui dell’Arizona State University, stanno studiando se queste minuscole particelle si accumulano negli organi umani e come rilevarle. Per scoprirlo, i ricercatori hanno collaborato con Diego Mastroeni dell’ ASU-Banner Neurodegenerative Disease Research Center, per ottenere campioni da un ampio archivio di tessuti cerebrali e corporei che serve a studiare le malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer. Sono stati prelevati campioni da polmoni, fegato, tessuto adiposo, milza e reni – organi suscettibili di essere esposti a monomeri plastici e microplastiche e di filtrarli o raccoglierli. Per sviluppare un metodo e testarlo, il team ha aggiunto perline di nano/microplastiche a questo set di campioni. Quindi, ha analizzato il campione con la citometria a flusso e i ricercatori hanno così dimostrato di poter rilevare le perle che avevano introdotto nei campioni. Poi hanno anche creato un programma per computer che converte le informazioni sul conteggio delle particelle di plastica in unità di massa e area superficiale e hanno in programma di condividere questo strumento online in modo che altri ricercatori possano riportare i loro risultati in modo standardizzato. Halden è convinto che «Questa risorsa condivisa aiuterà a costruire un database sull’esposizione alla plastica in modo da poter confrontare le esposizioni in organi e gruppi di persone nel tempo e nello spazio geografico».
All’ACS sottolineano che «Il metodo della citometria a flusso ha consentito ai ricercatori di dimostrare di poter rilevare nano/microplastiche dai tessuti a cui erano state aggiunte. I ricercatori hanno anche dimostrato l’efficacia dell’uso della spettrometria μ-Raman per studiare la contaminazione ambientale con microplastiche, tra cui policarbonato (PC), polietilene tereftalato (PET) e polietilene (PE). Il metodo della citometria a flusso ha consentito ai ricercatori di dimostrare di poter rilevare nano/microplastiche dai tessuti a cui erano state aggiunte. I ricercatori hanno anche dimostrato l’uso della spettrometria μ-Raman per studiare la contaminazione ambientale con microplastiche, tra cui policarbonato (PC), polietilene tereftalato (PET) e polietilene (PE)».
Successivamente, i ricercatori hanno utilizzato la spettrometria di massa per analizzare 47 campioni di fegato e tessuto adiposo umani. A questi campioni non è stato aggiunto nessun materiale ma il team ha trovato comunque una contaminazione da plastica sotto forma di monomeri, o frammenti di plastica, in ogni campione. Il bisfenolo A (BPA), ancora utilizzato in molti contenitori per alimenti nonostante possa provocare problemi di salute, è stato trovato in tutti i 47 campioni umani.
Per quanto ne sanno i ricercatori, il loro studio è il primo ad esaminare la presenza di monomeri, nano e microplastiche negli organi umani di individui con una storia di esposizione ambientale nota. Halden evidenzia che «I donatori di tessuti hanno fornito informazioni dettagliate sul loro stile di vita, dieta ed esposizioni professionali. Poiché questi donatori hanno storie così ben definite, il nostro studio fornisce i primi indizi sulle potenziali fonti e vie di esposizione di micro e nanoplastiche».
Ma la gente dovrebbe preoccuparsi per l’elevata frequenza con la quale è stata rilevata plastica nei tessuti umani? Kelkar conclude: «Non vogliamo mai essere allarmisti, ma è preoccupante che questi materiali non biodegradabili che sono presenti ovunque possano penetrare e accumularsi nei tessuti umani, e non conosciamo i loro possibili effetti sulla salute. Una volta che avremo un’idea migliore di cosa c’è nei tessuti, potremo condurre studi epidemiologici per valutare i risultati sulla salute umana. In questo modo, possiamo iniziare a comprendere i potenziali rischi per la salute, se ce ne sono».