Per le microplastiche non sperate nei batteri: non decompongono quelle marine

Ma le microplastiche marine non trasportano più batteri nocivi di altri materiali

[16 Settembre 2019]

Lo studio “Marine microbial assemblages on microplastics: diversity, adaptation, and role in degradation” pubblicato da  su Annual Review of Marine Science da Sonja Oberbeckmann e Matthias Labrenz del Department of Biological Oceanography del Leibniz-Institut für Ostseeforschung Warnemünde (IOW), demolisce una delle speranze “miracolistiche” per risolvere il problema dell’inquinamento da plastica in mare: i batteri non ci aiuteranno a risolvere questo problema ambientale.

Studiando accuratamente e su vasta scala i biofilm presenti sulle microplastiche, la Oberbeckmann e Labrenz sono arrivati alla conclusione che «I batteri non sono sicuramente in grado di decomporre la plastica nell’ambiente marino e probabilmente non acquisiranno tale capacità in modo evolutivo».

Ormai le micloplastiche sono dappertutto e, sia che si tatti delle fibre di vestiti sintetici che delle “microperle” dei dentifrici e dei cosmetici o dei sacchetti e bottiglie di plastica disintegrati, è probabile che, alla fine, tutte queste minuscole particelle di plastica finiscano nell’oceano, con conseguenze imprevedibili per l’ambiente marino. Dato che queste mini-particelle vengono colonizzate da batteri, la domanda che si sono fatti in molti è se sulle microplastiche si potrebbero essere accumulati microbi specifici che magari siano in grado di  degradare un materiale apparentemente indistruttibile o di acquisire, a lungo termine, la capacità di farlo.

I due microbiologi dello IOW, che lavorano su questo tema da diversi anni, hanno ora riassunto e rivalutato i loro risultati, così come quelli di diverse centinaia di studi pubblicati in tutto il mondo, arrivano alla conclusione che «Le interazioni tra batteri e particelle di microplastica negli habitat marini sono in realtà piuttosto limitate. Sebbene i batteri colonizzino queste particelle, non le degradano perché questo richiederebbe un’energia troppo elevata per poterlo fare. Inoltre, le microplastiche sono così difficili da degradare che è altamente improbabile che queste condizioni si sviluppino in futuro».

La Oberbeckmann e Labrenz aggiungono: «Questo significa che restiamo da soli nell’affrontare la sfida di eliminare le microplastiche. Dal momento che non possiamo rimuoverlo dai nostri oceani, continuerà ad accumularsi lì. In definitiva, questo potrebbe trasformarsi in una “malattia cronica” degli ecosistemi colpiti». Di fronte a questi  risultati, due microbiologi chiedono misure proattive e consistenti per proteggere il mare dalla plastica, come la riduzione dei prodotti di plastica usa e getta (dalle borsine di plastica ai giocattoli), la realizzazione di efficienti impianti di riciclo e di rendere queste tecnologie più economicamente accessibili in tutto il mondo.

Ma c’è anche una buona notizia: la diffusa convinzione che i batteri patogeni possano accumularsi in modo specifico sulle microplastiche, e che quindi siano in grado di diffondersi più rapidamente e ampiamente, non ha trovato riscontri nello studio. «I microrganismi che crescono sulle microplastiche – concludono i ricercatori tedeschi – di solito appartengono a gruppi che sono colonizzatori tipici delle particelle che galleggiano in mare e non distinguono tra superfici naturali e artificiali. Tra questi ci sono anche batteri nocivi ma non si verificano più frequentemente cha in altri materiali, come il legno o altre sostanze organiche. A questo proposito, le microplastiche non presentano un rischio maggiore negli habitat marini».