Studio a partecipazione Cnr scopre emissioni di composti pericolosi per il buco dell’ozono
Alla ricerca ha partecipato l'Osservatorio climatico Ottavio Vittori del Monte Cimone
[18 Febbraio 2021]
Grazie ai dati prodotti da una rete globale di 15 stazioni, di cui fa parte l’Osservatorio climatico Ottavio Vittori gestito dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr (Cnr-Isac), lo studio “Unexpected nascent atmospheric emissions of three ozone-depleting hydrochlorofluorocarbons”, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS) da un team internazionale di ricercatori, ha rilevato per la prima volta tre composti ozono-distruttori proibiti dal Protocollo di Montreal – HCFC-132b, HCFC-133a e HCFC-31 – e denuncia che «L’aumento delle concentrazioni è dovuto a emissioni industriali in Asia orientale di tipo non intenzionale, ancora non regolamentate».
Al Cnr ricordano che «A poco più di trent’anni dalla sua entrata in vigore, il Protocollo di Montreal per la protezione dell’ozono stratosferico, che limita la produzione e l’uso di gas ozono-distruttori, è considerato uno dei maggiori successi della cooperazione internazionale, data l’ampia adesione. Ben 197 paesi hanno ratificato il trattato, impegnandosi a drastiche limitazioni nella produzione e nell’uso di questi composti. Tuttavia, risulta fondamentale riuscire a controllare il rispetto degli accordi. Misurare in continuo i livelli di questi gas in atmosfera è uno degli strumenti disponibili per questo controllo, implementato attraverso la messa in rete di osservatori che, sotto l’egida della Wmo (World meteorological organization), misurano in tutto il mondo e da molti anni i livelli atmosferici dei composti dannosi per l’ozono».
Tra le stazioni che fanno parte delle reti di misura globali c’è l’Osservatorio climatico Ottavio Vittori, sulla vetta del Monte Cimone e gestito dal Cnr-Isac) in collaborazione con l’Aeronautica militare. Sul Cimone, grazie alla collaborazione con l’università di Urbino, da 20 anni si misurano, tra gli altri, i gas responsabili del “buco” nell’ozono stratosferico.
Lo studio appena pubblicato su PNAS riporta risultati di una ricerca condotta grazie a una collaborazione internazionale tra ricercatori di tutto il mondo, tra cui Jgor Arduini e Michela Maione dell’università di Urbino, associati Cnr-Isac, e per la prima volta rileva «La crescita dei livelli atmosferici globali di tre idroclorofluorocarburi ozono-distruttori, la cui produzione ed uso sono proibiti dal Protocollo di Montreal».
Maione spiega che «La messa in rete delle misure globali e la relativa analisi modellistica hanno permesso di identificare quale sia la regione del globo maggiormente responsabile delle emissioni: l’Asia orientale, dove i composti sono emessi come intermedi di produzione dell’industria dei fluorocarburi. Questo studio dimostra la necessità di introdurre nel Protocollo di Montreal emendamenti che regolino le emissioni non intenzionali, che al momento non sono previsti».
Lo studio conferma l’utilità di queste ricerche nel controllo del rispetto degli accordi internazionali. La Maione conclude ricordando che «Nel 2018 i ricercatori della Noaa statunitense avevano appurato una violazione del Protocollo di Montreal da parte della Cina, dove è stata poi accertata la presenza di impianti industriali che dal 2013 producevano illegalmente CFC-11, un composto utilizzato per la creazione di schiume poliuretaniche fortemente dannoso per l’ozono. Questa rivelazione ha portato il governo cinese a prendere provvedimenti immediati che hanno dato dei frutti, come dimostrano due articoli appena pubblicati su Nature: le emissioni di CFC-11 dalla Cina orientale sono tornate a diminuire, con conseguente limitazione dei potenziali danni all’ozono stratosferico».