Taranto dopo il carbone. Ex Ilva, conclusa l’esperienza con ArcelorMittal

Video reportage di Legambiente: «Via alla decarbonizzazione per garantire salute e occupazione» 

[17 Gennaio 2024]

Secondo Legambiente, «Potrebbe essere l’anno della svolta il 2024 per l’ex Ilva di Taranto. Chiusa l’epoca del socio indiano ArcelorMittal, Il Governo ha indicato l’urgenza di una svolta impegnandosi a garantire la continuità della produzione convocando i sindacati per domani 18 gennaio. Ma l’unica svolta auspicabile è quella che possa garantire la salute di chi vive a Taranto, a partire dal quartiere Tamburi, il più vicino allo stabilimento siderurgico, e di chi, in quella fabbrica, lavora».

Una transizione green, realizzabile come sta già avvenendo in altri Paesi, che viene descritta nel video reportage “Taranto dopo il carbone(che pubblichiamo), realizzato dall’agenzia giornalistica Next New Media per Legambiente che spiega: «“Taranto dopo il carbone” è un reportage video di 18 minuti sul futuro della siderurgia che racconta in che direzione si stanno muovendo gli altri Paesi e i colossi internazionali per abbattere le emissioni nei prossimi anni. Il docufilm cerca di capire se la decarbonizzazione degli impianti attraverso le nuove tecnologie possa applicarsi anche all’ex Ilva di Taranto, ultima acciaieria italiana alimentata ancora a carbone approfondendo l’attuale situazione dello stabilimento e della città a circa 12 anni dal sequestro giudiziario. Per farlo abbiamo parlato con manager di grandi aziende del settore, con chi sta producendo i prototipi di prossima generazione all’estero e con chi vive ogni giorno la situazione difficile di Taranto, dalle associazioni dei cittadini fino alle istituzioni locali che si occupano della difesa della salute e dell’ambiente»

Il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, è convinto che «La svolta passa per l’immediata valutazione dell’impatto sanitario delle emissioni degli attuali impianti, per accertare se e quanto possono continuare a produrre senza rischi inaccettabili per la salute. Non c’è nulla su questo tema che possa essere dato per scontato. Non c’è nuovo Piano Industriale che possa prescindere da questo elemento. La svolta significa avviare rapidamente il processo di decarbonizzazione del ciclo produttivo, mandando in soffitta il carbone e, con lui, i vecchi altiforni, le cokerie e gli altri impianti a loro servizio. Vogliamo dirlo con chiarezza: se a Taranto si deve continuare a produrre acciaio occorre farlo con i forni elettrici, utilizzando il preridotto e avviando subito la sperimentazione sull’uso dell’idrogeno».

E il Cigno Verde denuncia che «Lo confermano gli episodi emissivi anomali registrati anche a valle degli interventi effettuati per rendere lo stabilimento compatibile con l’ambiente e la salute. Lo conferma il continuo e preoccupante incremento delle emissioni di benzene – un pericoloso cancerogeno per il quale la International Agency for Research of Cancer ha indicato che “non possono essere raccomandati livelli sicuri di esposizione” che si avvicinano sempre più al limite stabilito dalle norme italiane, in presenza di una produzione di soli 3 milioni di tonnellate annue, lontanissima dagli oltre 10 milioni prodotte agli inizi degli anni duemila».

L’associazione ambientalista evidenzia che «Nel momento in cui occorre non solo definire il presente, ma anche programmare il futuro, investire 500 milioni nella ricostruzione di AFO5, un altoforno tradizionale, alimentato a carbone, risulta profondamente sbagliato. Mentre in tutta Europa i nuovi finanziamenti si indirizzano su forni elettrici, preridotto e idrogeno, investire su impianti del ciclo integrale significherebbe andare verso il passato: una corsa del gambero destinata a produrre per molti anni più anidride carbonica e più emissioni inquinanti in un contesto economico europeo in cui le emissioni di CO2 rappresenteranno un costo via via più rilevante e insostenibile.   Inoltre, il nuovo altoforno dovrebbe essere alimentato da impianti come le cokerie, vecchi, con emissioni diffuse e fuggitive che preoccupano seriamente, e che sicuramente necessitano di importanti revisioni».

La presidente di Legambiente Taranto, Lunetta Franco, chiede: «Quante altre centinaia di milioni occorrerebbe investire per tenere in vita impianti ormai obsoleti, che rappresentano il passato della produzione di acciaio? Chiediamo che una volta definiti finalmente assetti proprietari e governance, ponendo termine ad una incertezza e ad un immobilismo che ha già fatto troppi danni, si proceda ad una verifica approfondita dello stato in cui versano gli impianti e alle manutenzioni straordinarie necessarie o al loro stop se le condizioni in cui si trovano lo richiede. Occorre prevedere investimenti che in tempi rapidi e definiti, portino ad una totale trasformazione del ciclo produttivo centrandolo su forni elettrici e D.R.I., con innovazione non solo di processo ma anche di prodotto».

Daniela Salzedo, direttrice di Legambiente Puglia, aggiungee: «E’ questo il solo modo ambientalmente accettabile ed economicamente sostenibile per produrre acciaio a Taranto e tutelare davvero chi lavora nello stabilimento siderurgico Insieme, si individuino nuovi settori, a partire dalla produzione di energia da fonti rinnovabili e dalla produzione e dall’utilizzo di idrogeno verde, per favorire gli investimenti produttivi pubblici e privati necessari a fornire gli indispensabili nuovi sbocchi lavorativi».

Legambiente conclude: «E’ questa la svolta che Taranto attende da oltre dieci anni e che invece è già realtà in India ma anche in Svezia, Finlandia e Germania».

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