Trovati Pfas anche nelle acque “incontaminate” della Nuova Zelanda

I PFAS nelle acque reflue, costiere e superficiali nonostante in Nuova Zelanda non ci siano industrie che li producono

[17 Gennaio 2022]

PFAS sta per “sostanze per- e polifluoroalchiliche” e dagli anni ’30 del secolo scorso più di 4.000 di queste sostanze chimiche sono state prodotte per utilizzarle in vari settori grazie alla loro capacità di resistere al caldo e di respingere grasso, acqua e olio. Vengono utilizzati in prodotti che includono padelle antiaderenti, tessuti idrorepellenti, filo interdentale, involucri per fast food, sacchetti per popcorn per microonde, rivestimenti in tessuto antimacchia, prodotti per la pulizia, cosmetici, vernici e molti articoli per la casa, inclusi tappeti e mobili. Come sanno bene in Veneto e in altre regioni italiane, queste sostanze chimiche forniscono un legame tra carbonio e fluoro, che è uno dei più forti in natura e questo significa che i PFAS sono difficili da scomporre, tanto che vengono anche chiamate “sostanze chimiche per sempre”.

I PFAS si trovano ovunque nel pianeta, ma ora lo studio “Occurrence and fate of poly- and perfluoroalkyl substances (PFAS) in urban waters of New Zealand”, pubblicato sul Journal of Hazardous Materials da un team di ricercatori dell’università di Auckland hanno scoperto che IPFAS sono penetrati anche nel sistema idrico “incontaminato” della Nuova Zelanda.

Come ricorda uno degli autori dello studio, Lokesh Padhye, del Department of Civil and Environmental Engineering dell’università neozelandese, «Non abbiamo un’industria manifatturiera PFAS conosciuta in Nuova Zelanda. Quindi possiamo solo presumere che provengano da prodotti importati e da utilizzi storici. Scoprire quali prodotti e come le sostanze chimiche di questi prodotti finiscono nel ciclo dell’acqua è il prossimo passo urgente, da fare».

Lo studio ha rilevato che le concentrazioni di PFAS nelle aree monitorate sono basse rispetto a quelle riportate all’estero. Ma un’altra autrice dello studio, Melanie Kah, della School of Environment, sottolinea che «Non è ancora chiaro quale livello di PFAS sia sicuro. C’è ancora così tanto che non conosciamo. Le linee guida per i livelli di sicurezza non sono disponibili per tutti i PFAS e le linee guida che abbiamo vengono riviste costantemente man mano che diventano disponibili più dati ecotossicologici e sanitari».

Lo studio è il primo a monitorare i PFAS nei cicli idrici urbani domestici della Nuova Zelanda ed è stato realizzato con il monitoraggio di campioni provenienti da due impianti di trattamento delle acque reflue urbane, da corpi idrici che ricevono le acque reflue trattate e da un impianto di trattamento delle acque potabili. I ricercatori hanno rilevato la presenza di 20 dei 38 PFAS monitorati.

Inoltre, sono stati inoltre prelevati di acque costiere e superficiali a determinate distanze dagli impianti di trattamento delle acque reflue.

La Kah evidenzia che «Il nostro monitoraggio dimostra che il trattamento delle acque reflue riduce significativamente la concentrazione di PFAS. Tuttavia, nell’esperienze fatte all’estero, non tutti i PFAS vengono rimossi, il che significa che alcuni vengono rilasciati nell’ambiente».

Padhye aggiunge: «Il nostro studio ha confermato che i PFAS sono presenti anche in Nuova Zelanda, dove non abbiamo un’industria di produzione di PFAS. Se siamo in grado di identificare da dove provengono e sviluppare tecnologie efficaci per rimuoverli, possiamo potenzialmente ridurre l’esposizione quotidiana ai PFAS, proteggendo noi stessi e il nostro ambiente».

Attualmente, il team di ricercatori neozelandesi sta studiando trattamenti avanzati per rimuovere questi composti dall’acqua e sta anche per lanciare un progetto di citizen-science per valutare l’esposizione delle persone ai contaminanti nelle loro case, inclusi i PFAS.