Unep: «Bisogna proteggere l’ambiente anche dove c’è la guerra»
Guerre per le risorse e distruzione dell’ambiente: dal Vietnam allo Stato Islamico/Daesh
[8 Novembre 2019]
Il 5 novembre 2011, l’Assemblea generale dell’Onu dichiarò il 6 novembre International Day for Preventing the Exploitation of the Environment in War and Armed Conflict (Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell‘ambiente in situazioni di guerra e conflitto armato) ma, a 18 anni di distanza, l’United Nations environment programme (Unep) dice che «Nonostante la protezione offerta da numerosi strumenti legali, l’ambiente continua a essere la vittima silenziosa dei conflitti armati in tutto il mondo».
La direttrice esecutiva dell’Unep, Inger Andersen, ha evidenziato che «Se vogliamo che il mondo raggiunga l’obiettivo di un futuro più sostenibile per tutti i popoli e per il pianeta, bisogna fare di più per proteggere l’ambiente in tempo di guerra. I fattori ambientali sono raramente, se non mai, la sola causa di un conflitto violento. Però, lo sfruttamento delle risorse naturali e i connessi stress ambientali possono essere coinvolti in tutte le fasi del ciclo di un conflitto, sia che si tratti di contribuire al suo scoppio che alla perpetuazione della violenza o di compromettere le prospettive di pace».
La Andersen ha sottolineato che «L’accesso all’acqua, il degrado dei suoli, le inondazioni e l’inquinamento, oltre alla concorrenza per le risorse estrattive, possono esacerbare direttamente le tensioni e portare allo scoppio di conflitti, come nel caso di problemi di impoverimento di risorse come la deforestazione, l’erosione dei soli e la desertificazione».
Le preoccupazioni dell’opinione pubblica globale per quanto riguarda gli effetti devastanti della guerra sull’ambiente raggiunsero il culmine negli anni ’70 con la guerra del Vietnam, quando l’utilizzo dell’erbicida tossico Agent Orange da parte degli Stati Uniti per scovare i guerriglieri vietcong e fare terra bruciata e la conseguente massiccia deforestazione e contaminazione chimica, scatenarono una protesta internazionale che ha portato alla creazione di due nuovi strumenti legali internazionali: l’Environmental Modification Convention adottata nel 1976 che vieta l’uso delle tecniche di modifica ambientale come mezzo di guerra e il Protocollo I, un emendamento alla Convenzione di Ginevra adottato nel 1977 che agli articoli 35 e 55 vieta la guerra che potrebbe causare «danni diffusi, a lungo termine e gravi all’ambiente naturale».
Due strumenti che mostrarono tutta la loro inadeguatezza durante la Guerra del Golfo del 1990-1991 con l’esteso inquinamento causato dalla distruzione intenzionale di oltre 600 pozzi di petrolio in Kuwait da parte dell’esercito iracheno in ritirata e le successive richieste di danni ambientali per 85 miliardi di dollari che hanno portato a ulteriori richieste di rafforzare la protezione legale dell’ambiente durante i conflitti armati.
Ma l’Unep ricorda che «Ci sono stati altri casi in cui i conflitti armati hanno continuato a causare danni significativi all’ambiente, direttamente, indirettamente e in conseguenza della mancanza di governance e del collasso istituzionale. Ad esempio, durante il conflitto in Kosovo nel 1999 decine di siti industriali sono stati bombardati, causando una contaminazione chimica tossica in diversi hotspot, in particolare a Pančevo, Kragujevac, Novi Sad e Bor e sollevando l’allarme per il potenziale inquinamento del Danubio».
L’altro esempio fatto dall’Unep riguarda le 12.000 – 15.000 tonnellate di olio combustibile che sono state sversate nel Mar Mediterraneo nel 2006 in seguito del bombardamento della centrale elettrica libanese di Jiyeh da parte di aerei israeliani.
Più recentemente, la guerra in Iraq contro lo Stato Islamico/Daesh, iniziata nel 2014 e (forse) terminata nel 2017, ha lasciato dietro di sé una profonda impronta ambientale: quando i jihadisti del Califfato nero si sono ritirati hanno dato fuoco ai pozzi di petrolio provocando il rilascio nell’aria di una miscela tossica di anidride solforosa, biossido di azoto, monossido di carbonio, idrocarburi policiclici aromatici, particolato e metalli come nichel, vanadio e piombo.
Tuttavia, nonostante queste sfide, l’Unep ha lavorato con i diversi Stati membri colpiti e altri partner per rafforzare la protezione dell’ambiente prima, durante e dopo i conflitti armati.
Hassan Partow, responsabile del programma nazionale iracheno dell’Unep, sottolinea che «Dall’inizio del 2018, il governo iracheno e l’Unep hanno collaborato per creare un team interministeriale in grado di affrontare l’inquinamento da conflitto. L’iniziativa ha anche lo scopo di rafforzare la capacità del governo di rispondere alle future emergenze ambientali che potrebbero derivare da attacchi contro installazioni critiche, in particolare nel settore petrolifero in forte espansione dell’Iraq».
A settembre, l’Unep, in collaborazione con l’United Nations Assistance Mission in Iraq, ha organizzato un workshop sulla bonifica delle fuoriuscite di petrolio e sta assistendo i ministeri irakeni del petrolio e dell’ambiente a mettere in atto tecniche di bonifica biologica a costi contenuti.
L’Iraq – che è in rivolta da settimane contro la corruzione e il malgoverno, con i manifestanti che hanno subito centinaia di morti – è anche uno dei 7 Paesi selezionati per partecipare allo Special Programme dell’Unep, un’iniziativa progettata per «aiutare gli Stati a rispettare i loro obblighi in materia di gestione dei rifiuti e delle sostanze chimiche ai sensi delle convenzioni di Basilea, Rotterdam, Minamata e Stoccolma e lo Strategic Approach to International Chemicals Managementi». Questi paesi riceveranno dall’Unep know-how tecnico e assistenza nella stesura della legislazione sulla gestione dei rifiuti pericolosi.
L’8 luglio scorso, l’International Law Commission ha adottato in prima lettura 28 progetti di principi giuridici per migliorare la protezione dell’ambiente in situazioni di conflitto e guerra. Anche il Comitato Internazionale della Croce Rossa pubblicherà una versione rivista delle “Guidelines for Military Manuals and Instructions on the Protection of the Environment in Times of Armed Conflict”.
La direttrice esecutiva dell’Unep ha fatto notare che «nel corso degli ultimi decenni, il modo in cui la comunità internazionale guarda alle sfide alla pace e alla sicurezza è fondamentalmente cambiato. L’aumento del numero di attori non statali significa che la sicurezza non è più solo considerata in termini di minacce militari convenzionali. Questa evoluzione dello scenario securitario esige un cambiamento nel modo in cui la comunità internazionale si impegna nella gestione dei conflitti. Il ruolo potenziale delle risorse naturali e dell’ambiente deve essere tenuto di conto fin dall’inizio: dalla prevenzione dei conflitti e dall’allerta rapida, al ristabilimento, al mantenimento e al consolidamento della pace. Se vogliamo raggiungere gli Obiettivi si sviluppo sostenibile, dobbiamo agire con maggiore urgenza e coerenza per ridurre le minacce che i conflitti armati fanno pesare sul nostro ambiente e, in fin dei conti, sulla nostra salute e mezzi di sussistenza. Abbiamo una sola via da seguire: rafforzare la nostra ambizione di proteggere il nostro pianeta, anche negli scenari più complessi e più difficili».
Dal 1999, l’Unep ha condotto oltre 25 valutazioni post-conflitto utilizzando scienza all’avanguardia per determinare gli impatti ambientali della guerra. Dal Kosovo all’Afghanistan, al Sudan e alla Striscia di Gaza, l’organizzazione ambientale dell’Onu ha stabilito che «I conflitti armati causano danni significativi all’ambiente e alle comunità che dipendono dalle risorse naturali». L’Unep spera di poter «utilizzare sempre più frequentemente i big data, la tecnologia di frontiera e la citizen science per migliorare il monitoraggio sistematico e l’individuazione di danni e rischi ambientali causati da conflitti armati, al fine di migliorare la protezione della salute umana, dei mezzi di sussistenza e della sicurezza. Costruire un ecosistema digitale per il pianeta per mappare, monitorare e mitigare i rischi per l’ambiente, la pace e la sicurezza è uno dei prossimi investimenti prioritari».
David Jensen, responsabile della costruzione della pace ambientale dell’Unep, conclude: «La protezione dell’ambiente prima, durante e dopo i conflitti armati deve raggiungere lo stesso livello di importanza politica della protezione dei diritti umani. Un ambiente sano è il fondamento su cui si realizzano la pace e molti diritti umani».