Unilever vende 1700 bustine di plastica usa e getta al secondo. 53 miliardi all’anno
Greenpeace denuncia il greenwashing sociale delle campagne pubblicitarie Unilever/Dove
[29 Novembre 2023]
Secondo il rapporto “Uncovered: Unilever’s complicity in the plastics crisis and its power to solve it”, pubblicato da Greenpeace International, «Il colosso dei beni di consumo Unilever vende 1.700 bustine di plastica altamente inquinanti ogni singolo secondo, alimentando la crisi globale dell’inquinamento da plastica e scaricando enormi quantità di rifiuti nei Paesi del Sud del mondo».
Il rapporto rivela nuovi dati e analizza il ruolo di Unilever nella crisi dell’inquinamento da plastica, dimostrando che – a quanto prevede Future Market Insights – Unilever nel 2023 potrebbe arrivare a vendere 53 miliardi di bustine di plastica usa e getta, e questo nonostante che, intervenendo all’Unilever Investor Event 2019 Hanneke Faber, presidente di Unilever per la nutrizione, avesse definito la plastica multistrato «il male perché non è possibile riciclarla».
Nina Schrank, responsabile per le plastiche di Greenpeace UK, denuncia: «Unilever sta davvero gettando benzina sul fuoco della crisi dell’inquinamento da plastica. I loro marchi come Dove sono famosi per dire al mondo che sono forze del bene. Ma stanno scaricando una quantità impressionante di rifiuti di plastica. Sta avvelenando il nostro pianeta, non si può affermare di essere un’azienda “propositiva” pur assumendosi la responsabilità di un inquinamento così enorme. Unilever deve cambiare».
Le bustine di plastica usa e getta contenenti prodotti di consumo vengono sempre più commercializzate nei Paesi del Sud del mondo da grandi multinazionali come Unilever. Ma il rapporto evidenzia che «La vendita di grandi quantità di queste bustine, che sono quasi impossibili da raccogliere e riciclare, sta provocando una montagna di inquinamento da plastica. Questo ha devastato i quartieri e i corsi d’acqua dove le bustine intasano gli scarichi e aggravano problemi come le inondazioni».
Future Market Insights stima che il solo marchio Dove di Unilever nel 2022 abbia prodotto circa 6,4 miliardi di bustine, pari a oltre il 10% delle vendite totali di bustine di Unilever. E anche se Dove ha affermato che «Siamo impegnati con passione per essere uno dei marchi con il maggiore impatto contro i rifiuti di plastica» le spiagge e i corsi d’acqua delle Filippine e dell’indonesia sono piene di plastica marchiata Dove.
Marilou Manangat, netturbina stradale e madre di 4 figli di Barangay San Agustin, nelle Filippine, conferma: «Aziende come Dove non si preoccupano di noi. Producono bustine di shampoo in plastica che distruggono la mia comunità. Quando si allaga, di solito è perché i sacchetti hanno intasato le nostre fogne».
Dall’India all’Indonesia, dalla Thailandia alle Filippine: sono molte delle stesse ragazze e donne che Dove sostiene di difendere che si trovano a dover affrontare gli effetti dannosi dei rifiuti e la Schrank e l’altra campainer per la plastica di Greenpeace UK, Anna Diski, prendono di mira direttamente l’immagine pubblicitaria e di sostenibilità sociale diffusa dalla Dove: «Gli amministratori delegati della Dove ti diranno che tengono alle donne e alle ragazze. Stanno spendendo milioni in campagne “Real Beauty” per convincerti che il loro marchio è una forza del bene. Ma dietro la loro immagine pubblica si nasconde una storia vera di danno reale. Conosciamo tutti Dove. Sono più di un semplice marchio di sapone. Per decenni, le loro campagne “Real Beauty” ci hanno venduto una visione di empowerment che affrontava alcune dei trend di bellezza più tossici del mondo. Si sono autodefiniti paladini delle donne e delle ragazze. Ma dietro le quinte, Dove ha alimentato una crisi umana e ambientale pompando nel mondo enormi volumi di plastica tossica monouso. Oltre 200 milioni di persone tra le più povere del mondo sono a rischio di inondazioni più gravi e frequenti causate dai rifiuti di marchi come Dove. E’ quanto la popolazione di Regno Unito, Francia e Germania messe insieme».
Il rapporto esamina anche i lenti progressi di Unilever verso il raggiungimento dei suoi obiettivi sulla plastica e il suo zoppicante percorso per passare dalla plastica monouso a soluzioni riutilizzabili e conclude che « Nel suo rapporto annuale 2022, Unilever ha riferito che il suo utilizzo di plastica vergine è diminuito del 13% rispetto al 2019 . Se tale riduzione del 13% viene distribuita equamente nei tre anni 2020-2022 per una riduzione del 4,3% all’anno, ci vorrà fino al 2034 perché l’utilizzo di plastica vergine da parte di Unilever sia inferiore al 50% rispetto alla cifra del 2019». E, anche se Unilever sta cercando di capire «Come portare soluzioni di ricarica e riutilizzo ai consumatori di tutto il mondo», l’analisi di Secondo il rapporto Global Commitment 2022 della Ellen McArthur Foundation, solo lo 0,1% degli imballaggi in plastica di Unilever è riutilizzabile. Nel rapporto del 2023 è aumentato allo 0,2% e Greenpeace International fa notare che «Al ritmo attuale, ci vorrebbe almeno oltre l’anno 3000 perché il 100% dei prodotti Unilever diventi riutilizzabile». Per questo l’organizzazione ambientalista chiede a Unilever di «Eliminare gradualmente la plastica monouso dalle sue attività e di passare al riutilizzo nei prossimi 10 anni, a partire dai peggiori trasgressori: le bustine di plastica» e di sostenere questo stesso livello di ambizione nei negoziati in corso su un Trattato globale sulla plastica delle Nazioni Unite che limiti e riduca gradualmente la produzione di plastica di almeno il 75% entro il 2040.
la Schrank e la Diski aggiungono: «Non siamo qui per svergognare Dove o i suoi consumatori. Siamo qui per sfidare un marchio a essere all’altezza dei valori proclamati. Siamo qui per dare potere a coloro che sono stati delusi e a coloro che sono stati direttamente colpiti dai rifiuti di plastica di Dove. Alla Dove dicono che tengono alla “vera bellezza”? E’ ora che lo dimostrino».
Marian Ledesma, attivista di Greenpeace Philippines, conclude: «Ognuna delle tante bustine Dove che abbiamo trovato inquinanti spiagge e corsi d’acqua dovrebbe essere un segno di vergogna per Dove e Unilever. Non possono continuare a inondare paesi come le Filippine con rifiuti che sanno possono essere devastanti. Producono bustine da decenni, ma non si sono mai dimostrate responsabili dell’inquinamento che hanno causato. Ogni bustina rappresenta gli enormi rischi per la salute, il degrado ambientale, le ingiustizie sociali e gli impatti climatici causati dalla produzione di plastica e dal ciclo di vita della plastica. Se Unilever vuole essere vista come leader, dovrebbe smettere di essere parte del problema. Devono dimostrare la loro serietà e impegnarsi a eliminare gradualmente la plastica monouso, a cominciare dalle bustine. E mentre i negoziati sul trattato continuano, devono rivolgere la loro influenza sulla scena mondiale per contribuire a spingere questo livello di ambizione a mettersi al centro di un forte Trattato globale sulla plastica».