Putin come Trump: il cambiamento climatico non è colpa dell’uomo
Una storia di rompighiaccio nucleari, petrolio, gas, navi e rotte artiche “lente”
[6 Aprile 2017]
Sul cambiamento climatico il presidente russo Vladimir Putin la pensa come il suo collega statunitense Donald Trump: non è colpa dell’uomo. Putin lo ha affermato intervenendo alla grande conferenza The Arctic: Territory of Dialogue che si è tenuta ad Arkhangelsk, dove, nel bel mezzo dell’area del mondo dove sono più evidenti i segni del riscaldamento globale, ha ribadito che l’umanità non è colpevole del cambiamento climatico e che lo scioglimento dei ghiacci nell’Artico potrebbe essere una buona cosa per lo sviluppo economico della Russia.
Secondo Charles Digges di Bellona, per sostenere le sue tesi negazionistiche Putin ha portato come prova la “memoria fotografica” di un esploratore austriaco che disse che lo scioglimento dei ghiacciai e della banchisa era iniziata quasi 90 anni fa. Il presidente russo non ha fatto il nome di questo esploratore, ma ha detto che nel 1930 aveva visitato il remoto arcipelago della Terra di Francesco Giuseppe, lo stesso in cui Putin era stato il giorno prima di intervenire alla conferenza di Arkhangelsk. 20 anni dopo il fantomatico esploratore austriaco avrebbe confrontato le sue fotografie con quelle di un’altra spedizione realizzata nell’area dal «futuro Re d’Italia» (strano, visto che nel 1950 l’Italia era già una Repubblica e la Terra di Francesco Giuseppe era uno dei luoghi più inaccessibili dell’Unione Sovietica) e, secondo Putin, l’esploratore austriaco aveva concluso c’erano meno iceberg rispetto a quando c’era stato lui.
Insomma, secondo Putin, qualche foto e una confusa storia di spedizioni di esploratori e futuri re dimostrerebbero che «Non ci sono stati fattori antropici, quali le emissioni, e il riscaldamento era già iniziato», quindi, non ci sarebbe nulla da fare per fermare il cambiamento climatico, visto che dipende da qualcosa che non è controllabile dall’umanità: «Il problema non si ferma, perché è impossibile, dal momento che potrebbe essere legato ad alcuni cicli globali della Terra o anche di importanza planetaria».
Poi Putin ha ritirato fuori uno dei suoi vecchi cavalli di battaglia: se il riscaldamento globale è un male per gli altri, la Russia potrebbe guadagnarci: «Il cambiamento climatico ci mette in condizioni più favorevoli e migliora il potenziale economico di questa regione”- ha detto il 30 marzo alla Cnbc – Oggi, il Pil della Russia è il risultato dell’attività economica di questa regione».
Putin non è arrivato a definire i cambiamenti climatici una bufala inventata dai cinesi come ha fatto Trump, ma è chiaro su questo tema utilizzano entrambi la stessa tecnica politica: ignorare le prove scientifiche e il senso comune, citando pareri di amici e conoscenti e inventando una mitologia “scientifica” parallela fatta di aneddoti. Il problema è che gli amici – veri o immaginari – di Vladimir e Donald stanno portando Russia ed Usa ad abbandonare le politiche ambientali e climatiche che si erano impegnati a rispettare.
Il Putin sentito ad Arkhangelsk non ha più niente a che vedere con quello che intervenne nel dicembre del 2015 a Parigi alla Cop21 dell’United Nations framework convention on climate change, dove affermò che «Il cambiamento climatico è diventata una delle sfide più gravi alle quali è di fonte l’umanità».
Ora le politiche climatiche di Usa e Russia sembrano essersi riallineate sull’ecoscetticismo più bieco e le dichiarazioni dei ministri russi sembrano le fotocopie di quelle del capo dell’Environmental protection agency Usa, Scott Pruitt, che Trump ha incaricato di rottamare le politiche climatiche e ambientali di Barack Obama. Alla conferenza artica, Putin ha elogiato Pruitt, dicendo che quelli che, come l’amministratore dell’Epa, non sono d’accordo con l’Accordo di Parigi «potrebbero non essere affatto stupidi». Nonostante questo Putin ha ribadito l’impegno della Russia per il raggiungimento degli obiettivi di Parigi, ma intanto liscia il pelo alle tentazioni della Casa Bianca di mandarlo all’aria: «Non vorrei drammatizzare le cose, e non vorrei che si usassero questi fattori globali per la lotta politica interna americana», ha detto alla Cnbc.
La prudenza di Putin è comprensibile perché il Senato Usa e il Federal Bureau of Investigation stanno indagando sulla possibile ingerenza del Cremlino nella campagna elettorale Usa per favorire la vittoria di Trump: un loro esplicito accordo in pubblico per minare l’accordo di Parigi sarebbe imbarazzante. Anche perché al centro delle liaisons dangereuses tra gli isolazionisti repubblicani Usa e i patriottici conservatori putiniani russi ci sarebbero proprio le vaste riserve di gas e petrolio dell’Artico e i 500 miliardi dollari affare tra Exxon Mobil, allora presieduta dal segretario di Stato di Trump Rex Tillerson, e la compagnia petrolifera russa Rosneft, una delle casseforti della Stato-mercato russo.
Probabilmente dietro la storiella dell’esploratore austriaco e la giravolta climatica di Putin c’è la previsione che i traffici nel Mar glaciale Artico russo aumenteranno di 5 volte entro il 2022. Per questo il governo di Mosca ha annunciato che costruirà più rompighiaccio nucleari di nuova generazione, anche se il progetto sconta già grossi ritardi. Anche questa previsione non sembra avere solide basi, visto che, come dice Bellona, negli ultimi anni le navi che percorrono la rotta artica russa sono diminuite. Ma intervenendo alla conferenza The Arctic: Territory of Dialogue, il vice premier russo Dmitry Rogozin ha promesso che i carichi delle navi che percorrono la rotta europea-asiatica passeranno dai 7,4 milioni di tonnellate del 2016 a 40 milioni di tonnellate entro il 2022 e, per riuscire in questa impresa, il vice ministro russo del commercio e dell’industria, Vasily Osmakov, ha aggiunto che l’Arktika, il rompighiaccio nucleare di nuova generazione, sarà operativo entro il 2019, dopo aver subito continui ritardi.
Infatti, i vantaggi dei cambiamenti climatici per la Russia verrebbero soprattutto dall’apertura della rotta del Grande Nord e dalla maggiore accessibilità a risorse petrolifere e gasiere. Secondo i Russi, se il global warming farà il suo sporco lavoro, la rotta artica consentirebbe di ridurre del 35% i tempi di navigazione tra Rotterdam e Shanghai. Lasciando perdere le colossali conseguenze ambientali e infrastrutturali che la Russia si troverebbe ad affrontare con un aumento delle temperature globali fuori controllo, probabilmente nemmeno i suoi rompighiaccio nucleari potrebbero rendere concorrenziale la rotta artica con il Canale di Suez da poco raddoppiato. «Ed è proprio a causa del ghiaccio – spiega Digges di Bellona – Il transito attraverso la rotta è regolato dall’Amministrazione federale russa per la rotta del Mare del Nord, che richiede agli armatori di avere la Polar Code certification. Negli ultimi anni, circa il 4% di color che hanno richiesto di passare si sono ritirati per la mancanza di tale certificazione».
E’ qui che entrano in scena i rompighiaccio nucleari che aprono la strada ai principali convogli di navi: dei 19 viaggi effettuati nel 2016 attraverso la attraverso la Northern Sea Route, 6 sono stati accompagnati dai due rompighiaccio nucleari Yamal e 50 Let Pobedy. Ma Bellona fa notare che, negli ultimi anni, i rompighiaccio del porto Atomflot a Murmansk sono stati utilizzati per costruire il progetto del gas naturale liquefatto di Yamal e il porto di Sabetta, distogliendoli dal traino dei cargo carichi di merci. Altri rompighiaccio nucleari, come il Sibir, sono stati messi fuori servizio perché troppo vecchi e altri stanno per raggiungerli per lo stesso motivo.
Osmakov ha detto che, dopo il varo dell’Arktika seguiranno quelli di altri due rompighiaccio: i nuovi Yamal e Sibir. I rompighiaccio di nuova generazione – che i russi chiamano progetto 22220 – sono attrezzati con lo scafo corazzato più spesso di sempre e saranno in grado di aprirsi la rotta nella banchisa galleggiante spessa 3 metri e di navigare nei fiumi ghiacciati che sfociano nel Mar Artico. Il problema è che, come tutti i grandi progetti economici sbandierati da Putin, la costruzione dei rompighiaccio va al rilento per problemi di bilancio federale russo e per le sanzioni occidentali: l‘Arktika avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2017 e gli altri due rompighiaccio dovrebbero essere varati nel 2020 e 2021. Bellona sottolinea che, anche se le nuove scadenza venissero rispettate – cosa dubbia visto i ritardi accumulati – non basteranno certo 3 rompighiaccio nucleari a soddisfare il boom di navi che, secondo le ottimistiche previsioni di Rogozin, dovrebbero solcare la rotta artica, «Soprattutto perché le statistiche di Rogozin sono distorte – dice Digges – Mentre è giusto che 7,4 milioni di tonnellate di merci trasportate da 19 navi hanno navigato lungo la Northern Sea Route nel 2016, solo 6 tra queste hanno effettivamente percorso l’intero passaggio di 6.000 chilometri dall’Europa all’Asia. La maggior parte delle spedizioni lungo il percorso dello scorso anno, secondo il Northern Sea Route Information Office, sono state effettuate tra i porti russi sull’Artico, seguite da una manciata di altre tra i porti russi e quelli europei o asiatici».
I boom di trasporti, con un più 35% verificatosi tra il 2015 e il 2016, è dovuto in gran parte alle petroliere, ma i dati di traffico merci, nonostante il rapido declino del ghiaccio marino nell’Artico, sono in forte calo rispetto al 2009, quando dal Passaggio a nord-est transitarono 71 convogli navali, 25 dei quali verso Paesi diversi dalla Russia e che percorsero l’intera rotta artica Europa-Asia.
Le difficoltà della rotta artica russa sono dovute in parte al forte calo del prezzo delle materie prime: «Quando questi prezzi scendono – spiega ancora Digges – gli spedizionieri accumulano le loro merci sulle navi più grandi», preferendo non utilizzare navi più piccole a causa della corazza necessaria per passare indenni lungo la rotta artica.
Poi c’è il prezzo del gas: dato che è in calo, nel 2016 un minor numero di spedizionieri ha rinunciato a rifornirsi con navi gasiere utilizzando la rotta artica, anche perché i risparmi sarebbero stati annullati dagli elevati costi dei rompighiaccio necessari per aprire la rotta ai convogli navali.
Bellona è convinta che, anche se i i prezzi delle materie prime e di gas e petrolio dovessero aumentare, la Russia punta sempre meno a realizzare un super strada marittima internazionale che unisca Asia ed Europa e che si concentrerà sempre di più nella trivellazione di gas e petrolio e nella costruzione delle infrastrutture necessarie per trasportarli. Infatti, per quando i nuovi rompighiaccio nucleari entreranno in servizio, Atomflot ha già pronti i contratti per il gigantesco giacimento di gas di Yamal, la stessa area dove, per i prossimi 20 anni, sono già impegnati anche i rompighiaccio russi già disponibili, che secondo gli immaginifici viceministri russi dovrebbero scortare i cargo internazionali.
Inoltre, il rapporto “Are the norther sea routes really the shortes” del Danish institute for international studies, mette in discussione il fatto che la rotta antartica russa sia effettivamente più veloce: per percorrerla ci vorrebbe lo stesso tempo, se non di più, che passando dal Canale di Suez. Quindi, nonostante il cambiamento climatico che piace tanto a Putin e Trump, le navi che passeranno attraverso la Northern Sea Route per raggiungere la Cina continueranno ad essere lente, che la Russia riesca o meno a costruire i suoi rompighiaccio nucleari.