Il più grande scandalo ecologico della storia della Tunisia è made in Italy

S'indaga su rifiuti italiani importati illegalmente in Tunisia: dimesso il ministro dell’Ambiente

[21 Dicembre 2020]

Il ministro degli Affari locali e dell’ambiente della Tunisia, Mustapha Laroui, è stato dimesso dal suo incarico dal capo del governo Hichem Mechichi. La presidenza del governo tunisino non ha fornito dettagli su questa decisione ma tutti sanno che la causa è il colossale scandalo dell’importazione di rifiuti italiani in Tunisia che sta scuotendo il Paese.

All’inizio di novembre, il premier tunisino aveva già licenziato il direttore generale dell’Agence Nationale de Gestion des Déchets (ANGED), Fayçal Bedhiefi, che è stato sostituito il 15 dicembre da Basma Jebali, ex segretario di Stato del ministro degli Affari locali e dell’ambiente nel governo di Youssef Chahed.

La Presse spiega che lo scandalo è scoppiato il 2 novembre, quando «un programma investigativo in onda sul canale privato tunisino Elhiwar Tounsi ha rivelato al grande pubblico questo caso di importazione di rifiuti italiani da parte di una società tunisina con sede a Sousse. Circa 70 container di questi rifiuti importati dalla società incriminata sono stati sigillati, in attesa dell’applicazione della decisione sulla restituzione di questi container. Il portavoce della dogana aveva dichiarato che stavano ancora aspettando nel porto di Sousse».

Secondo il giornale tunisino L’Économiste, si tratta del «peggior scandalo ecologico della storia della Tunisia» e la fretta con la quale il premier è intervenuto dimostra che per la politica la situazione sta precipitando e il giornale ricorda che «l’opinione pubblica ha percepito il licenziamento dell’ex capo dell’ANGED, che ha sempre proclamato la sua innocenza, come un’operazione politica diversiva», mirata a addossargli ogni responsabilità per attutire lo shock che le rivelazioni di Elhiwar Ettounsi hanno avuto sull’opinione pubblica tunisina.

Ma è anche vero che il licenziamento del ministro dell’ambiente è il risultato dell’indagine amministrativa del ministro delle finanze che confermerebbe il coinvolgimento di Laroui e dei servizi doganali in questo presunto caso di corruzione made in Italy.

«Del resto – scrive L’Économiste – questa è una conclusione confermata dal presidente della commission parlementaire de la réforme administrative et de la lutte contre la corruption, Badreddine Gammoudi che, a tal proposito, aveva  rilasciato una dichiarazione al termine di un’udienza tenutasi il 9 novembre 2020, affermando di “Non essere convinto dalle spiegazioni del Ministro degli Affari locali e dell’Ambiente in questo caso”. Poi ha dichiarato in seguito sulle onde radio di Shems FM: “Il ministro ha cercato di presentare un capro espiatorio per nascondere questa vicenda e mettere a tacere l’opinione pubblica”»

Il tutto nasce da un fantomatico accordo con una società italiana – che la stampa tunisina non cita – che viola le leggi sull’importazione di rifiuti e che prevedeva l’import di 120.000 tonnellate all’anno. L’Économiste fa notare che «questo è l’equivalente dei rifiuti prodotti dalla Grand Tunis (la città metropolitana di Tunisi, ndr) in 15 giorni, per 48 euro a tonnellata. L’importo totale del contratto è dell’ordine di 18 milioni di dinari all’anno».

Inoltre, i tunisini dichiaravano di importare rifiuti di plastica industriali mentre in realtà si trattava di rifiuti domestici e di rifiuti ospedalieri. L’impresa tunisina coinvolta sarebbe la Soreplast, specializzata nel riciclaggio dei rifiuti plastici industriali e che opera nella zona industriale di Sidi Abdelhamid a Sousse. Il responsabile di questa compagnia risulta irreperibile e in fuga da quando è scoppiato lo scandalo.

In totale, per ora le persone sospettate di essere coinvolte in questo scandalo  in Tunisia sono 23 – 12 delle quali arrestate – e 10 si sono presentate oggi, ancora a piede libero, di fronte al procuratore della Repubblica.

A dirigere il traffico di rifiuti italiani in Tunisia sarebbe  un certo “Boulon”, probabilmente un soprannome, un tunisino di Sousse che risiede in Germania, che avrebbe concluso un contratto con gli italiani per l’importazione di 282 container di rifiuti, per un totale di 11.280 tonnellate, ovvero 40 tonnellate per ogni container. 70 di questi container erano entrati illegalmente in Tunisia, mentre  il resto era stato bloccato nel porto di Sousse.

La Tunisia, e l’Italia, pagano la carenza e l’inadeguata distribuzione degli impianti nel territorio italiano, per gestire le oltre 170 milioni di tonnellate di rifiuti che il nostro Paese produce ogni anno. Così, il cerchio dell’economia circolare non si chiuderà mai davvero. Al contrario, l’Italia rimarrà esposta alle fluttuazioni dell’export e in balia degli smaltimenti illegali e continueremo a esportare i nostri rifiuti e i nostri problemi nei Paesi in via di sviluppo, trovando volenterosi complici nella rete di corruttela e malaffare che intossica le giovani democrazie arabe e africane.