La Russia recupererà i sottomarini nucleari affondati dall’Unione Sovietica?
Molti progetti per recuperare le scorie nucleari, ma l’unica speranza è la nave italiana Itarus
[21 Giugno 2017]
Gli scienziati russi hanno di nuovo avanzato la possibilità di recuperare un sottomarino nucleare che la Marina militare sovietica affondò di proposito quasi 40 anni fa. Ma non si tratta certo dell’unico caso di spazzatura radioattiva lasciata in eredità ai posteri sotto il mare dall’Armata Rossa, che per decenni ha usato l’ertico come discarica di scorie e armamenti radioattivi.
Qualche giorno fa l’istituto statale di ricerca Krylov di San Pietroburgo ha annunciato che sta lavorando ai progetti per realizzare una grossa nave simile a un catamarano, un bacino galleggiante in grado di salpare i rifiuti militari nucleari dal fondo del mare. Un progetto che fa parte di un piano del governo russo per lo sviluppo dell’Artico. Secondo il direttore del Krylov, Sergei Malyshev, entro il 2022 potrebbe essere recuperato così il relitto del sottomarino nucleare K-27.
L’associazione scientifico/ambientalista Bellona spiega che «Il K-27, un prototipo di sottomarino della classe novembre, è stato affondato nel 1981 dalla Marina nelle secche al largo dell’arcipelago della Novaja Zemlja. Anni prima, nel 1968, il suo reattore aveva subito una perdita fatale, che aveva danneggiato i suoi elementi del combustibile e ucciso 9 persone. La Marina sovietica aveva tentato di riparare il sottomarino, ma non ci era riuscita, invece i tecnici avevano sigillato i suoi reattori e lo avevano affondato in prossimità dell’arcipelago che divide i mari di Barents e Kara, che a loro volta sono serviti per decenni come sito di test delle armi nucleari sovietiche».
Il K-27 è solo un elemento della colossale discarica di rifiuti radioattivi navali che l’Unione Sovietica ha realizzato in decine di anni. Bellona evidenzia che «Il catalogue of the irradiated debris pubblicato dalle autorità norvegesi per le radiazioni e dalla marina russa nel 2012 comprende 17.000 container di scorie radioattive, 19 navi contenenti rifiuti radioattivi, 14 reattori nucleari, di cui 5 che contengono ancora combustibile nucleare esaurito, e 735 altri pezzi di macchinari pesanti contaminati radioattivamente».
Solo nei primi anni ’90, dopo il crollo dell’Urss, la Marina militare russa ha finalmente accettato di bloccare lo scarico dei suoi vecchi reattori e delle scorie nucleari in mare. Ma un altro sommergibile dismesso, il K-159, è affondato nel 2003 nelle acque dell’Artico, mentre era a rimorchio dalla nave Gremikha vicino al Arkhangelsk, in navigazione verso il antiere Nerpa nella penisola di Kola, per lo smantellamento. L’affondamento a una profondità di 238 metri del sottomarino K-159, che provocò la morte di 9 membri dell’equipaggio, ha rinfocolato i timori sulle discariche di scorie nucleari e sull’affondamento dei sottomarini atomici russi e sono aumentate le richieste di riportare a a galla il K-27.
Il fisico nucleare Nils Bøhmer, direttore generale di Bellona, ha detto: «Secondo le nostre informazioni, il K-27 è il più pericoloso dei reattori affondati. Accogliamo con favore il recupero di questo sottomarino a condizione che possa essere fatto in modo sicuro: più a lungo rimane sott’acqua, peggiore sarà la sua condizione e il più difficile sarà recuperarlo».
Bellona evidenzia che «Il K-27 è probabilmente più pericoloso rispetto ai suoi cugini radioattivi della regione. Una spedizione scientifica sullo scafo nel 2012 ha concluso che il suo liquid metal cooled reactor è vulnerabile ad una reazione a catena incontrollata e a un significativo rilascio radioattivo».
Gli ambientalisti norvegesi e russi temono che i piani per recuperare il K-27 facciano la fine degli impegni presi nel 2015 da Rosatom, la corporation nucleare statale russa, proprio durante un seminario organizzato da Bellona. Rosatom disse che il recupero del K-27 e del K-159 sono una priorità nazionale, ma da allora non è successo nulla.
Ma le cose potrebbero cambiare rapidamente perché risolvere il problema del recupero delle scorie militari radioattive dai fondali – cosa che preoccupa molto i trivellatori stranieri – è essenziale per lo sviluppo in sicurezza dell’estrazione offshore del petrolio artico russo, che finora non è riuscito ad attirare grandi finanziamenti o competenze scientifiche.
Eppure, come ricorda Bellona, il ministero dei servizi di emergenza russo ha ripetutamente sollecitato il governo di Mosca a progettare il recupero dei sommergibili nucleari e la Norvegia ha partecipato a studi congiunti con la Russia per stabilire se riportare in superficie i relitti pone rischi di contaminazione e se gli scafi abbiano mantenuto un’integrità strutturale che permetta di sollevarli dai fondali. La più recente di queste spedizioni scientifiche ha stabilito ne nel 2013 che lo scafo di un sottomarino era ancora intatto e non aveva subito una qualsiasi corrosione anomala, anche se mancava di diverse parti del suo scafo esterno. Uno studio realizzato un anno prima da scienziati russi e norvegesi sui sedimenti marini dalla Novaya Zemlya e delle baie di Sayda e Andreyeva aveva scoperto livelli leggermente elevati di cesio 137 vicino al K-27, mostrando un’incoraggiante tenuta del reattore e dimostrando che nel 2012 i livelli di radionuclidi in tutto il sottomarino erano inferiori a quelli riscontrati 20 anni prima da una spedizione governativa norvegese.
Nonostante tutto Bellona resta scettica: «La nave Malyshev descritta dall’Istituto Krylov descritta come in fase di pianificazione suona simile ad altre navi che numerosi istituti scientifici hanno proposto in passato, ma che finora non sono stati costruiti».
Dopo la fine dell’Urss gli ingegneri hanno proposto una chiatta in grado di raccogliere diverse migliaia di tonnellate di scorie radioattive dal fondo del mare e anche di recuperare il K-27, e il K-159 pure. Ma l’unica nave che si è avvicinata a queste caratteristiche è l’Itarus costruita in Italia e in grado di trasportare 3.500 tonnellate Rosatom dice che questa nave italiana, non ancora consegnata alla Russia, sarebbe in grado di sollevare i sottomarini e container di scorie radioattive affondati nell’Artico russo.
Il governo italiano ha finanziato l’Itarus per una cifra non conosciuta e fa parte di una donazione fatta dal G8 alla Russia 12 anni fa nell’ambito di un progetto multilaterale di bonifica nucleare. L’Italia ha già donato alla Russia navi per le bonifiche nucleari, in particolare il Rossita , una nave da 70 milioni di euro gestire il trasporto di container carichi di combustibile nucleare esaurito e scorie radioattive di tutti i tipi, compresa la parte amovibile dei reattori nucleari a bordo di sottomarini nucleari russi della classe Alpha Class. Il Rossita è stato consegnato alla Russia nel 2011 ma è entrato in servizio solo nel 2014, quando finalmente la nave italiana è stata utilizzata per trasportare scorie nucleari solide dei sottomarini dal deposito della baia di Sayda fino a Gremikha.