La zavorra finanziaria dei rifiuti: essere circolare premia anche chi è quotato in Borsa
La finanza rappresenta un attore estremamente utile nella transizione verde, se le leggi e le regolamentazioni favoriscono chi abbraccia la circolarità
[16 Dicembre 2021]
Un piccolo caveat prima di iniziare. Le informazioni contenute in questo articolo non sono un consiglio su come investire: fate sempre affidamento a tecnici del settore e al vostro buonsenso.
Il tema dei rifiuti è sempre stato un tema caldo nel Bel Paese. Sebbene siamo abituati a pensare alle montagne di rifiuti presenti in alcuni dei centri abitati, molti fanno l’errore di considerare i rifiuti urbani come la fonte prevalente. In realtà i rifiuti industriali coprono oltre il 70% dei rifiuti generati in Italia, e una cifra molto simile emerge nei paesi Ocse e persino non-Ocse.
Il tema è sicuramente caldo per chi si occupa di economia circolare, e cerca di trovare modi per motivare le imprese a ridurre l’intensità ambientale delle attività. Nel workshop ferrarese di Cercis 2021, ho avuto modo di presentare un’alternativa a complesse riforme o limiti facilmente aggirabili da lobbisti: i ritorni finanziari.
Ebbene sì, gli investitori hanno iniziato ad usare le performance ambientali per controllare la redditività dei propri investimenti. In verità ho dovuto studiare il problema in dettaglio, in quanto essendomi diplomato in era “Occupy Wall street”, facevo fatica ad accettare le conclusioni del mio studio.
Innanzitutto, una premessa. Immaginate di essere un investitore del 2010, state seguendo gli andamenti di borsa dopo la ripresa. I regolatori della Security of exchange commission (“Those funny guys at Sec”, li derideva Elon Musk in un’intervista) iniziano a chiedere alle aziende quotate a Wall street di pubblicare nella loro dichiarazione non finanziaria tutti i rischi legati a clima e ambiente. Per evitare costose cause legali, queste società iniziano ad affidarsi ad agenzie di rating, consulenza e simili per capire quali informazioni e come dichiararle.
Come accade sempre, un turbinio di reportistica, promesse e indicatori inizia a fiorire non solo negli Stati Uniti, ma anche nel Vecchio mondo. Alcune aziende iniziano a presentare bilanci di sostenibilità con precise informazioni per gli investitori, altre un po’ meno. Gli investitori istituzionali come i fondi pensionistici, petroliferi ed altri gruppi di investimento iniziano ad utilizzare i rating ambientali (climatici in particolare) per fare uno screening attento delle imprese che fanno tale dichiarazione. Quello che emerge è che le aziende con performance ambientali mediocri tendono ad avere delle performance peggiori dopo il 2008. Di conseguenza, i capitali si muovono dalle aziende che non dichiarano a quelle che invece sono più trasparenti e verdi.
Ritornando a noi, notai che analisi finanziarie spesso facevano riferimento al clima. Il tema è rilevante perché molte aziende cercano di presentare report il più “green” possibile, anche se si tratta dell’Eni. Il fenomeno chiamato “green washing” motiva molti ricercatori ed investitori ad analizzare con attenzione le performance climatiche, che sono piuttosto complesse da commentare.
I rifiuti invece, sono un’altra storia. Se vengono prodotti, spesso ricadono all’interno di una disciplina ferrea e consolidata in paesi all’interno dell’Ocse. L’ipotesi di ricerca è stata quindi capire se cambiando il sistema legale di riferimento, le aziende ricevessero un beneficio finanziario dalla riduzione dei rifiuti.
Usando due campioni differenti (compagnie quotate in paesi Ocse versus non-Ocse), ho notate due cose. Le aziende quotate in paesi sviluppati percepiscono circa 0.7 punti percentuali in meno di valore azionario per ogni punto percentuale di aumento di rifiuti industriali in un anno. La cifra sembra essere simile per tutti i settori industriali, presentando un serio problema per le aziende. In secondo luogo, questa zavorra finanziaria non è presente nei paesi non-Ocse, le cui politiche dei rifiuti hanno spesso attirato le pratiche meno eco-friendly del pianeta. Questo significa che la finanza è seriamente dalla parte delle aziende più verdi e muove i capitali lontano dalle aziende più “brown”.
Non contento, ho pensato che questo segno fosse uno di quei casi nel quale il radar cattura una falsa traccia. Ho pertanto elaborato una strategia per vedere se gli investitori intenzionati a rendere i loro portafogli più circolari vedessero la differenza.
L’obbiettivo è quello di dare risorse alle aziende che hanno intenzione di abbattere la generazione di rifiuti e vendere azioni di quelle che sono diventate verdi. Questa è una tipica strategia per la costruzione di portafogli verdi. Comparando i risultati tra portafoglio con in imprese Ocse e quello di imprese non-Ocse, il risultato è quello in figura.
Il portafoglio chiamato tecnicamente Bmg (Brown-minus-green) dell’Ocse ha performato notevolmente meglio di quello non-Ocse. Un tecnico della finanza potrebbe pensare che il primo sia stato influenzato da una crescita generale del sistema, quindi non sarebbe sorprendente. Sarebbe però in errore, in quanto le borse asiatiche ed extra-Ocse sono state roboanti in questi anni. Pertanto, è più probabile che usare le performance ambientali in paesi dove la regolamentazione è meno stringente non favorisca gli investitori verdi.
La questione da un punto di vista di politiche dovrebbe essere interpretata in tale modo. Nel momento in cui nuove regolamentazioni prenderanno il sopravvento nei paesi in via di sviluppo, il meccanismo virtuoso inizierà come nell’Ocse: le aziende con una maggiore propensione ad inquinare e produrre rifiuti perderanno i fondi per aggiustare il proprio operato. Il risultato è che investitori meno attenti e aziende meno trasparenti potrebbero essere danneggiate considerevolmente.
Possiamo quindi dire che la finanza rappresenta un attore estremamente utile nella transizione verde, se le leggi e le regolamentazioni favoriscono chi abbraccia la circolarità. Le aziende quotate saranno infatti premiate con fondi aggiuntivi, garantendo benefici per consumatori e lavoratori, non solo azionisti.