L’impatto dei rifiuti di plastica sui mammiferi marini. Colpite 101 specie. Uno studio italiano

I più a rischio sono: tursiopi, capodogli, megattere e balena franca nordatlantica

[30 Gennaio 2018]

Lo studioEcological effects of anthropogenic litter on marine mammals: A global review with a “black-list” of impacted taxa”, pubblicato si Hystrix, the Italian Journal of Mammalogy da Gianluca Poeta, Eleonora Staffieri, Alicia T.R. Acosta, dell’Università degli Studi Roma Tre, e Corrado Battisti, della “Torre Flavia” LTER (Long Term Ecological Research) Station e della Società Italiana per la Storia della Fauna “Giuseppe Altobello”, evidenzia l’impatto delle micro, meso o macroplastiche su quasi l’80% delle 128 specie di mammiferi marini, scoprendo che è forte in particolare su quattro specie di cetacei: due misticeti – megattera (Megaptera novaeangliae) e balena franca nordatlantica (Eubalaena glacialis) – e due odontoceti –  capodoglio (Physeter macrocephalus) e tursiope (Tursiops truncatus) – mostrano il maggior numero di evidenze bibliografiche di questi tipi di impatto.

Lo studio,  che fa parte di un progetto di ricerca sull’impatto attuato dalle plastiche marine sulla biodiversità, analizza storicamente lo stato della conoscenza dell’impatto ecologico dei rifiuti antropogenici sui mammiferi marini, valutando il ruolo svolto dall’ingestione o dall’impigliamento e le pressioni sui cetacei attraverso tre categorie basate sulla dimensione. I ricercatori italiani spiegano che «Analizzando 203 riferimenti (dal 1976 al 2016), abbiamo ottenuto una “lista nera” di 101 specie colpite da rifiuti marini (78,9% su 128 specie conosciute in totale)» ed è così che hanno scoperto che «A livello di specie 4 cetacei (Megaptera novaeangliae, Physeter macrocephalus, Tursiops truncatus, Eubalaena glacialis) hanno mostrato il più alto numero di citazioni bibliografiche».

Un numero significativo di specie di mammiferi marini resta impigliato nelle macroplastiche, un rischio che sembra più elevato dell’ingestione e «la macro-litter rappresenta il principale fattore di pressione in tutti i gruppi», mentre l’impatto della micro-litter sembra più frequente nei misticeti – le balene con i fanoni  e gli scienziati italiani dicono che questo molto probabilmente questo si spiega con il loro comportamento di filtrazione alimentare.

Ma il team di Roma GTre e del LTER  aggiunge che questi modelli di impatto potrebbero essere spiegati anche dai tratti bio-ecogeografici intrinsechi, come la  nicchia trofica, il comportamento alimentare, e l’areale delle specie, e dalla metodologia scelta, «dal momento che l’impigliamento è più facile da registrare perché implica solo un’osservazione esterna senza ulteriore esame post-mortem e che la macro-plastica e più  facile da rilevare rispetto a meso e micro-litter.  Quindi si ipotizza che entrambe queste informazione potrebbero essere parziali. «Inoltre – scrivono i ricercatori – abbiamo osservato una correlazione diretta tra la ricerca sulle specie (ottenute da Scholar recurrences) e il numero di citazioni correlate agli eventi di rifiuti marini, ma sono presenti alcune eccezioni: quindi la nostra lista “nera” dell’impatto sulle specie non è completa e non potrebbe essere importante concentrare maggiormente la ricerca su specie neglette e poco studiate».

Infatti, lo studio evidenziato come questa stima (101 specie impattate) deve essere considerata per difetto: su 203 pubblicazioni internazionali analizzate, la maggior parte si è concentrata negli ultimi anni e, con l’incremento delle ricerche effettuate, ci sono evidenze di un rapido incremento del numero di nuove specie impattate.

Comunque, quel che emerge con evidenza dalla ricerca è che dopo il 2005 il numero di studi su questo tema ha mostrato un forte aumento ed è stato molto eterogeneo. «In questo senso, suggeriamo l’uso di una nomenclatura per le pressioni e gli impatti per ridurre la perdita di informazioni», concludono i ricercatori italiani.