Nel Santuario dei Cetacei, microplastiche e fibre tessili in pesci e invertebrati
Lo conferma una ricerca di Greenpeace, Univpm e Cnr-Ias
[22 Luglio 2020]
Dal rapporto “Microplastic in fish and invertebrates along the Tyrrhenian coast”, realizzato da un team del Dipartimento scienze della vita e dell’ambiente dell’università politecnica delle Marche e Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ias) durante il tour di Greenpeace “MAY DAY SOS Plastica” della primavera del 2019, emerge che «Il 35% dei pesci e degli invertebrati raccolti nel Mar Tirreno centrale, aveva ingerito infatti fibre tessili e microplastiche (ovvero frammenti di dimensioni inferiori ai 5 millimetri). Le frequenze maggiori di ingestione in specie provenienti dalle isole dell’Arcipelago Toscano, nell’area del Santuario dei Cetacei».
Commentando i risultati delle analisi di laboratorio su oltre 300 organismi rappresentativi di diverse specie di pesci e invertebrati consumati abitualmente sulle nostre tavole, Greenpeace riassume: «Scampi alla griglia in plastica, zuppa di scorfano alla plastica, acciughe e sgombri al forno con plastica. Questo sembra essere il menù degli italiani questa estate. La plastica non ce la mangiamo, perché si concentra nell’intestino e il pesce abitualmente lo consumiamo eviscerato, ma l’allarme rimane e non va in alcun modo sottovalutato».
E’ la conferma italiana dello studio “Quantifying microplastic translocation from feed to the fillet in European sea bass Dicentrarchus labrax”, pubblicato su Marine Pollution Bulletin che dimostra che le microplastiche sono rilevabili solo in infinitesimali quantità nei tessuti dei giovani branzini ma che vengono ingerite e probabilmente entrano nel sangue dei pesci che alla fine le espellono.
Ma Greenpeace evidenzia che «I dati diffusi oggi mostrano un lieve peggioramento delle frequenze di ingestione di microplastiche (35%) rispetto a quelle osservate durante la precedente campagna
effettuata nel 2017 (30%) e a quella riferita agli organismi del Mar Adriatico (27%). La ricerca ha evidenziato le frequenze di ingestione di microplastiche più elevate (fino al 75% degli organismi) nei campioni provenienti dalle isole dell’Arcipelago toscano, nell’ordine Giglio, Elba e Capraia, mentre le frequenze più basse sono state riscontrate nei campioni raccolti in Sardegna e limitrofe al porto di Olbia. Inoltre, l’analisi di pesci, rappresentativi di diversi habitat, ha permesso di evidenziare che le specie demersali (ad esempio gallinella, scorfano, pagello fragolino, razza), che hanno una stretta relazione con l’ambiente di fondo dove si alimentano, presentano le frequenze di ingestione di microplastiche maggiori (75-100%) rispetto alle specie pelagiche, in quasi tutti i siti indagati».
Stefania Gorbi, docente di biologia applicata all’università politecnica delle Marche, spiega che «I risultati confermano ancora una volta che l’ingestione di microplastiche da parte degli organismi marini è un fenomeno diffuso e sottolineano la rilevanza ambientale di questa contaminazione. La frequenza di ingestione maggiore in organismi che vivono a stretto contatto con i fondali conferma come i sedimenti possano rappresentare un comparto importante di accumulo della plastica e microplastica immessa in mare».
Intanto, i ricercatori dell’università politecnica delle Marche e del Cnr-Ias stanno svolgendo insieme a Greenpeace, con la nave Bamboo della Fondazione Exodus, la spedizione “Difendiamo il mare” ed eseguendo indagini approfondite sulla presenza di microplastiche e fibre in campioni di acqua e specie marine che vivono a contatto con i fondali dell’Arcipelago Toscano.
Greenpeace conclude con un riferimento alle ecoballe finite in mare 5 anni fa al largo dell’isola di Cerboli: «I dati diffusi oggi confermano la presenza di microplastiche in specie marine che consumiamo quotidianamente. Il Santuario dei Cetacei è interessato da questa minaccia, in misura anche maggiore di altre aree campionate. D’altronde, a distanza di cinque anni, decine di tonnellate di rifiuti in plastica si trovano ancora su questi fondali. Il rischio è che le balle si deteriorino, trasformandosi in microplastiche e aggravando la contaminazione. Bisogna intervenire subito per rimuoverle».