Nelle acque della Sardegna scampi e gamberi sono contaminati da microplastiche
Ricercatori italiani hanno hanno documentato la presenza di microplastiche in due specie commerciali di crostacei che vivono in profondità
[7 Novembre 2019]
La spazzatura che produciamo e che non sappiamo (o vogliamo) gestire sta invadendo il pianeta: dalla vetta dell’Everest alla Fossa delle Marianne – dove a 11 km di profondità sono stati trovati rifiuti plastici – è arrivata a intaccare anche la catena alimentare, fino a ritornare a noi per contrappasso. L’ultima dimostrazione arriva direttamente dai mari cristallini della Sardegna, e dai crostacei che li abitano.
Si stima che da 4,8 a 12,7 milioni di tonnellate di plastica finiscano ogni anno nei mari del mondo, e una parte rilevante di questi materiali si trasforma in minuscoli frammenti, chiamati microplastiche, che possono essere ingerite dagli organismi marini e di conseguenza da noi che ce ne cibiamo. Gli studi condotti fino ad oggi hanno riguardato soprattutto specie ittiche costiere, mentre le informazioni sulla contaminazione da plastica nei mari profondi sono scarse; una lacuna che i ricercatori dell’Università di Cagliari – Alessandro Cau, Claudia Dessì, Davide Moccia, Maria Cristina Follesa e Antonio Pusceddu – in collaborazione con quelli dell’Università Politecnica delle Marche stanno contribuendo a colmare.
Attraverso uno studio pubblicato sulla rivista “Environmental Pollution”, i ricercatori hanno hanno documentato la presenza di microplastiche in due specie commerciali di crostacei che vivono in profondità: lo scampo e il gambero viola. Entrambe le specie, raccolte nei mari circostanti la Sardegna, mostrano infatti un’elevata contaminazione da microplastiche (prevalentemente composte di polietilene, comune ad esempio negli imballaggi).
«Il dato fotografa una realtà particolarmente negativa sulla presenza di plastica nei nostri mari – commenta Cau – Ma attenzione a non creare allarmismi, perché attualmente non esistono evidenze scientifiche sulle conseguenze negative per l’uomo che ingerisce queste microplastiche».
Un campo di ricerca che dovrà però giocoforza irrobustirsi, dati gli impatti crescenti di questa forma d’inquinamento: già oggi, secondo una ricerca recentemente commissionata dal Wwf e condotto dall’Università di Newcastle in Australia, ormai la plastica è un elemento comune nella nostra dieta. Ne mangiamo fino a 2.000 minuscoli frammenti a settimana, che corrispondono a circa 5 grammi – l’equivalente in peso di una carta di credito o di una penna – e in fondo all’anno pesano in media oltre 250 grammi.