La lettera di 14 scienziati al premier Conte
Che fine ha fatto la ricerca nel Piano nazionale di ripresa e resilienza?
Investiamo in ricerca pubblica circa 150 euro l’anno per cittadino, contro 250 e 400 euro in Francia e Germania. Ma senza investimenti in ricerca di base lo sviluppo socio-economico resta al palo
[4 Gennaio 2021]
La crisi sanitaria ha posto la scienza in una posizione preminente, come leva essenziale nei piani della ricostruzione. Questo il senso della lettera aperta che Le abbiamo inviato ai primi di ottobre, apparsa sul Corriere della Sera. La ringraziamo per aver prestato attenzione al messaggio, di averlo fatto proprio in diverse occasioni pubbliche e di averci dato la possibilità di illustrare in un incontro telematico a Palazzo Chigi la proposta di investire 15 miliardi di Euro in 5 anni per mettere la ricerca pubblica di base al passo coi principali Paesi europei (investiamo in ricerca pubblica circa 150 Euro l’anno per cittadino, contro 250 e 400 Euro in Francia e Germania).
L’istanza è stata ripresa in numerosi interventi da altri esponenti politici, tra questi i Senatori Elena Cattaneo e Mario Monti, un appello di Paolo Veronesi e altri colleghi su diverse testate e social media. Qui vogliamo citare il fisico Federico Ronchetti, promotore di un’iniziativa di rilievo sugli stessi temi.
Perché ci focalizziamo sulla ricerca di base? Riteniamo, e con noi autorevoli economisti, che essa sia la fonte primaria dell’innovazione nelle società tecnologiche avanzate e che gli investimenti nella ricerca di base, specialmente quelli in capitale umano, siano moltiplicatori potenti di crescita e sviluppo socio-economico, a rendimento differito nel tempo ma con effetti di lunga durata.
Una conseguenza è che le spese per la formazione del capitale umano possono sviluppare la loro potenzialità solo se nelle infrastrutture scientifiche del Paese c’è equilibrio tra ricercatori in entrata e in uscita verso l’estero.
Purtroppo, nella discussione politica degli ultimi giorni, la ricerca sembra uscita dai radar del Recovery Fund. Questo ci spinge a tornare pubblicamente sull’argomento per ribadire la nostra proposta e fornire un quadro più preciso delle scelte di altri governi.
Molti Paesi sono sulla strada del potenziamento della ricerca, tra questi la Spagna. La frase con cui abbiamo aperto questa lettera è presa dal ‘Piano di Recupero e Sviluppo’ nel quale il governo spagnolo propone di impiegare il 36% dei fondi (tra bilancio ordinario e Next Generation EU) per ricerca, educazione e formazione continua.
Proposte analoghe sono in corso di adozione da parte di altri Membri dell’Unione. La Francia si prefigge di raddoppiare i fondi posti a bando dall’Agenzia Nazionale per la Ricerca per progetti in tutte le discipline, portando a circa 1 miliardo di Euro per anno i 450 milioni del 2020, con lo scopo di raggiungere un numero di progetti di eccellenza finanziati superiore al 25% della richiesta, lo standard delle migliori agenzie di finanziamento.
I nostri concorsi PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale banditi dal MUR) sono stati sospesi per anni. Riportati in vita dal ministro Valeria Fedeli e poi dal ministro Gaetano Manfredi, sono finanziati per il 2020 ad un livello di circa un terzo di quelli francesi di oggi. Si tratta di progetti con un notevole potenziale di trasferimento tecnologico, primario interesse dell’industria e della società. Se non prenderemo anche noi l’iniziativa, ci troveremo, nei prossimi anni, a un sesto del finanziamento francese.
Per un livello competitivo, dovremmo prevedere bandi PRIN (da svolgere, ricordiamolo, con procedure aperte, trasparenti e basate sulle migliori linee guida internazionali) di almeno 600 milioni di Euro l’anno, con un finanziamento complessivo di 3 miliardi di Euro nel quinquennio.
I progetti di ricerca sono il primo dei tre punti della nostra proposta. Il secondo è il reclutamento, programmato con concorsi a cadenze regolari, basati sul merito, affidati a Università ed Enti di Ricerca. Nel prossimo quinquennio, 4 miliardi di Euro potrebbero permettere concorsi per circa 5000 ricercatori ogni anno. Ciò ridurrebbe in modo significativo il divario che separa la popolazione di ricercatori nelle strutture pubbliche in Italia (gli attuali 5,6 ricercatori a tempo pieno per 1000 lavoratori) rispetto a Francia e Germania (9-10 ricercatori per 1000 lavoratori).
Una politica di reclutamento programmata in modo regolare, affiancata dal potenziamento dei contratti post-dottorali, è essenziale per invertire una tendenza che vede, ormai da decenni, lo sbilanciamento drammatico tra i ricercatori italiani che espatriano rispetto ai ricercatori stranieri che scelgono di lavorare nelle strutture di ricerca italiane.
Infine, terzo punto, infrastrutture scientifiche per 8 miliardi di Euro potrebbero essere selezionate all’interno dell’attuale PNR 2021-2027 (Piano Nazionale della Ricerca) recentemente validato dal CIPE. Una strategia qualificante capace di attrarre ricercatori dall’estero e moltiplicare gli effetti positivi degli investimenti sui progetti e sul capitale umano.
Tutti i principali indicatori, quali il numero di pubblicazioni e la presenza nelle classifiche delle citazioni, danno un giudizio di eccellenza sulla ricerca pubblica italiana: le misure da noi suggerite non cadrebbero nel vuoto. Darebbero la possibilità di mantenere l’eccellenza, oggi a rischio, trattenere i migliori ricercatori e compiere un passo decisivo per rendere attraente il nostro sistema di ricerca nei confronti dei ricercatori di altri Paesi.
L’investimento di 15 miliardi di Euro in 5 anni, pari al 7% della cifra stimata per l’Italia nel piano Next Generation EU, ci permetterebbe di propiziare e accelerare la rinascita che verrà. Essere competitivi sul piano socioeconomico ed essere competitivi nella ricerca sono circostanze che vanno insieme. Oggi vi è una più nitida consapevolezza del valore della ricerca, degli sforzi necessari, della fatica della scienza, e un sostegno sensibilmente maggiore che nel passato da parte dell’opinione pubblica.
Occorre avere il coraggio di una svolta ambiziosa rinunciando a miglioramenti incrementali: l’unica realistica possibilità per il rafforzamento della ricerca italiana dipende da come verrà ripartito il Recovery Fund.
Ugo Amaldi Fisico, Presidente Emerito della Fondazione TERA
Angela Bracco Fisica, Università di Milano, Presidente della SIF
Cinzia Caporale Etica e Integrità nella Ricerca, CNR
Luisa Cifarelli Fisica, Università di Bologna
Daniela Corda Biologa, CNR
Paolo De Bernardis Astrofisico, Sapienza Università di Roma
Massimo Inguscio Fisico, Presidente del CNR
Massimo Livi-Bacci Demografo, Accademia dei Lincei
Luciano Maiani Fisico, Sapienza Università di Roma
Alberto Mantovani Immunologo, Humanitas University, Milano
Giorgio Parisi Fisico, Presidente dell’Accademia dei Lincei
Alberto Quadrio Curzio Economista, Presidente Emerito dell’Accademia dei Lincei
Angela Santoni Immunologa, Sapienza Università di Roma
Lucia Votano Fisica, Laboratori di Frascati dell’INFN