Come il traffico di schiavi ha segnato geneticamente le Americhe. Qualche conferma e molte sorprese
Pubblicato un dettagliato studio sulla tratta transatlantica degli schiavi e sulle sue conseguenze
[27 Luglio 2020]
Utilizzando I dati genetici di quasi 50.000 persone, lo studio “Genetic Consequences of the Transatlantic Slave Trade in the Americas”, pubblicato su The American Journal of Human Genetics da un team di ricercatori di 23andMe e dell’università di Leicester, conferma «I legami genetici tra le regioni delle Americhe con aree lungo la costa atlantica dell’Africa che si allineano alle rotte di noti viaggi degli schiavi documentati nei registri navali». I ricercatori sono stati in grado di datare l’arrivo di specifiche popolazioni africane in diverse parti delle Americhe e la rappresentazione di specifiche comunità africane in quelle regioni dell’Americhe.
Il principale autore dello studio, il genetista della popolazione Steven Micheletti di 23andMe, ricorda che «L’anno scorso ha segnato i 400 anni dall’arrivo dei primi schiavi africani in quelli che sarebbero diventati gli Stati Uniti d’America. Lo studio documenta i collegamenti genetici con l’Africa nelle Americhe. E’ importante comprendere la ricca storia e il contributo degli africani e dei loro discendenti, alla cultura e alla storia non solo degli Stati Uniti, ma anche di tutte le Americhe. Osservando il panorama genetico derivante da questa migrazione forzata, ci si immerge nel senso profondo nelle continue difficoltà che le persone di origine africana hanno dovuto affrontare».
Anche se lo studio conferma i documenti storici noti, i ricercatori hanno anche ottenuto alcuni risultati inaspettati, come la sovrarappresentazione degli antenati nigeriani in molte parti delle Americhe rispetto a quanto mostrano i registri navali. A 23andMe dicono che «Questo, molto probabilmente, riflette il commercio attivo spesso sottovalutato che ha spostato gli schiavi all’interno delle Americhe, anche dopo che il commercio di schiavi era stato bandito in diverse nazioni europee».
Inoltre, i dati indicano che il Sud America e l’America centrale avevano la percentuale più bassa di origini africane rispetto agli Stati Uniti e ai Caraibi britannici. Questo nonostante la maggior parte delle persone schiavizzate prese dall’Africa siano state spedite in Sud America. I ricercatori sottolineano che questo «Probabilmente riflette differenze culturali e storiche. Potrebbe essere dovuto ai più alti tassi di mortalità in quelle aree, ma potrebbe anche essere il risultato del fatto che alcuni Paesi dell’America Latina e del Sud America hanno promosso la diluizione dell’etnia africana attraverso il matrimonio misto di uomini europei di pelle chiara e di donne di origine africana».
Per i ricercatori, un’altra sorpresa è stato il fatto che non sono riusciti a trovare forti connessioni genetiche con persone provenienti da Senegal e dal Gambia, cosa inaspettata, dato il numero di persone schiavizzate che vennero deportate da quella regione dell’Africa.
I ricercatori ritengono che »Questo possa essere dovuto al fatto che molti di quei senegambiani ridotti in schiavitù furono trasportati nelle piantagioni di riso negli Stati Uniti perché avevano esperienza nella coltivazione del riso in Africa. Ma nelle piantagioni di riso negli Stati Uniti spesso dilagava la malaria, con conseguenti tassi di mortalità estremamente elevati tra le persone schiavizzate in quelle piantagioni».
E l’analisi del DNS ha fornito spunti su altre brutali pratiche schiaviste che hanno avuto un impatto sulla durata della vita degli schiavi maschi e sullo sfruttamento sessuale delle donne. Il rapporto ha confermato quel che altri studi avevano ipotizzato: una propensione al contributo delle donne africane ai pool genetici delle Americhe a causa dei figli nati da stupri e sfruttamento sessuale. Lo studio ha scoperto che queste violenze erano particolarmente dure e diffuse in America Centrale e Sud America. A 23andMe fanno notare che «Questo è stato un altro esempio in cui i risultati genetici supportano i resoconti storici sulla disumanizzazione delle persone schiavizzate e dei loro discendenti»
Secondo Joanna Mountain, senior director di Research di 23andMe e coautrice della ricerca, «Lo studio approfondisce la nostra comprensione dell’impatto del commercio transatlantico di schiavi. Il nostro studio promuove la comprensione delle conseguenze di quel periodo confrontando le connessioni genetiche tra l’Africa e le Americhe con i documenti storici. Mentre i documenti storici in precedenza avevano rivelato gran parte della storia del commercio transatlantico di schiavi, questo studio ha fornito spunti sui processi storici che prima di questo studio potevano essere solo delle congetture».
Ma la ricerca rivela anche le profonde connessioni con l’Africa in tutte le Americhe. Per Uzodinma Iweala un medico nigeriano che dirige The Africa Center, è questo l’aspetto dello studio che lo ha impressionato di più. Iweala è un’Igbo e figlio di immigrati nigeriani e ha detto che «Viaggiando negli Stati Uniti, nei Caraibi e nel Sud America sono sempre stato ispirato dalle connessioni di lunga data tra le persone e il continente africano e la sua diaspora che dimostrano il trionfo della resilienza personale e comunitaria in un contesto di violenza deliberata e prolungata. E’ un senso di familiarità che io e la mia famiglia abbiamo sentito in luoghi così diversi e diffusi come St. Simons Island in Georgia, o nelle strade della Giamaica, o a Bahia, in Brasile. A volte sembra di camminare per le strade del villaggio da dove viene la mia famiglia in Nigeria e questo mi fa sentire al sicuro e benvenuto».
E in un momento in cui razzismo e anti-razzismo si confrontano nelle strade statunitensi e nella politica europea e italiana, sentirsi tutti al sicuro e benvenuti in un mondo plasmato dalla tragedia della schiavitù e dagli orrori del colonialismo e del neocolonialismo sarebbe il miglior modo per sentirsi quel che siamo: esseri umani che hanno mischiato i loro destini, il loro sangue e la loro pelle con crudeltà e amore.