I cellulari non fanno male alla salute, né aumentano i rischi di tumori cerebrali
I ricercatori dell’Istituto superiore di sanità, del Cnr-Irea, dell’Enea e dell’Arpa Piemonte hanno appena pubblicato una meta-analisi delle ricerche internazionali condotte sugli impatti delle radiofrequenze cui siamo sottoposti da telefoni, WiFi, antenne tv e stazioni radio
[8 Agosto 2019]
In Italia ci sono molti più telefoni cellulari che persone, all’incirca 1 e mezzo per ogni cittadino: se alla fine del 1989 si contavano circa 250.000 apparecchi, il loro numero si è infatti stabilizzato – ormai dal 2008 – attorno ai 90 milioni. Cosa sappiamo davvero sui rischi per la salute che questo comporta? Per rispondere in modo esaustivo i ministeri della Salute, dell’Istruzione e dell’Ambiente hanno lanciato nelle scorse settimane una campagna di comunicazione ad hoc, cui si è aggiunto ieri il rapporto Istisan 19/11 Radiazioni a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche; il rapporto, elaborato da ricercatori dell’Istituto superiore di sanità, del Cnr-Irea, dell’Enea e dell’Arpa Piemonte, fa il punto sulle più aggiornate ricerche scientifiche condotte sull’esposizione alle radiofrequenze più rilevanti cui siamo sottoposti. Non solo quelle provenienti dai cellulari dunque, ma anche da antenne radiotelevisive, stazioni radio base, WiFi.
La parte del leone, in ogni caso, rimane quella dei cellulari: sia perché gli impianti per telecomunicazione sono aumentati nel tempo ma l’intensità dei segnali trasmessi è diminuita con il passaggio dai sistemi analogici a quelli digitali, sia perché per il loro funzionamento intrinseco gli impianti WiFi danno luogo a livelli di radiofrequenze molto inferiori ai limiti ambientali vigenti.
Guardando al livello più generale, dal ministero della Salute affermano che «allo stato attuale delle conoscenze non sono stati evidenziati effetti nocivi sulla salute» legati all’impiego dei cellulari: «Gli unici effetti sanitari avversi delle onde a radiofrequenza ad oggi accertati sono quelli di natura termica (l’energia assorbita viene trasformata in calore all’interno dell’organismo)», ma «nel caso dei telefoni cellulari, gli studi scientifici hanno dimostrato che, anche nei tessuti più esposti (come la pelle a diretto contatto con il telefono e l’orecchio), l’aumento di temperatura non supera 1 o 2 decimi di grado centigrado neppure nelle condizioni di massima potenza, e le variazioni di temperatura all’interno del cervello sono tanto piccole da risultare praticamente non rilevabili».
Ad ogni modo, in considerazione della notevole diffusione dei cellulari e della preoccupazione di alcuni cittadini, sono stati condotti studi approfonditi attorno al sospetto che il loro uso aumenti il rischio di alcuni tumori cerebrali: nel 2011 le radiofrequenze sono state classificate dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) tra gli agenti per cui c’è un’evidenza tutt’altro che conclusiva che l’esposizione possa causare il cancro negli esseri umani o negli animali, ma da allora molti altri studi si sono susseguiti per fare maggiore chiarezza e sono stati passati in rassegna dal rapporto Istisan appena pubblicato.
La relazione tra uso del cellulare e incidenza di tumori nell’area della testa è stata analizzata in numerosi studi epidemiologici pubblicati nel periodo 1999-2017, e «la meta-analisi di questi studi non rileva alcun incremento del rischio di neoplasie maligne (glioma) o benigne (meningiomi, neuromi acustici, tumori dell’ipofisi o delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato (≥10 anni) del cellulare». Gli studi finora effettuati non hanno potuto analizzare gli effetti a lungo termine dell’uso del cellulare iniziato da bambini e di un’eventuale maggiore vulnerabilità a questi effetti durante l’infanzia – questi irrisolti che richiedono altri approfondimenti scientifici – ma se la validità dei risultati degli studi epidemiologici su cellulari e tumori rimane incerta anche «i numerosi studi effettuati su diversi modelli animali, nell’insieme, non mostrano evidenza di effetti cancerogeni dell’esposizione a radiofrequenze».
Anche l’esperienza empirica suggerisce risultati di questo tipo: l’ampia diffusione dei cellulari ha comportato un notevole incremento del livello di esposizione a radiofrequenze alla testa per milioni di persone, e se il loro uso aumentasse il rischio di sviluppare tumori cerebrali, l’incidenza di queste neoplasie dovrebbe essere cresciuta nel tempo in modo sostanziale. Ma non è successo, e nel frattempo la potenza media per chiamata di un cellulare connesso ad una rete 3G o 4G è 100-500 volte inferiore a quella di un dispositivo collegato ad una rete 2G. Come negli altri 38 Paesi analizzati, anche in Italia «l’incidenza dei tumori maligni cerebrali e del sistema nervoso centrale risulta stabile sul periodo 1998-2010, sia nei maschi, sia nelle femmine».
In conclusione «i dati ad oggi disponibili suggeriscono che l’uso comune del cellulare non sia associato all’incremento del rischio di alcun tipo di tumore cerebrale», e dal punto di vista delle implicazioni normative «le evidenze scientifiche correnti, sebbene non consentano di escludere completamente la possibilità di effetti a lungo termine dell’esposizione prolungata a bassi livelli di campi a radiofrequenza, non giustificano modifiche sostanziali all’impostazione corrente degli standard internazionali di prevenzione dei rischi per la salute».