I nuovi coronavirus sono i più a rischio spillover
Un nuovo strumento per quantificare il rischio zoonotico e capire le priorità per la sorveglianza virale e della fauna selvatica
[26 Agosto 2022]
Negli ultimi 10 anni gli scienziati hanno descritto centinaia di nuovi virus che possono potenzialmente trasmettersi tra la fauna selvatica e da questa all’uomo. Ma come possono sapere quali sono i virus a maggior rischio di spillover e quindi a quali dare la priorità per una più attenta sorveglianza?
Il nuovo studio “Predicting the potential for zoonotic transmission and host associations for novel viruses”, pubblicato su Communications Biology da un numeroso team internazionale di ricercatori guidato dall’università della California – Davis hanno creato modelli basati sui network per classificare la priorità dei virus nuovi e conosciuti per il loro rischio di trasmissione zoonotica, che è quando le malattie infettive passano dagli animali agli esseri umani e viceversa.
All’UC Davis dicono che lo studio «Fornisce ulteriori prove del fatto che i coronavirus sono i più a rischio spillover e dovrebbero continuare ad avere la priorità per una maggiore sorveglianza e ricerca».
Modelli machine learning progettati dall’EpiCenter for Disease Dynamics dell’One Health Institute della School of Veterinary Medicine dell’UC Davis hanno permesso di scoprire che «I nuovi virus della famiglia dei coronavirus dovrebbero avere un numero maggiore di specie come ospiti. Questo è coerente con i virus noti, indicando che questa famiglia di virus dovrebbe avere la massima priorità per la vigilanza».
Gli scienziati hanno creato un punteggio di priorità per ciascun virus che rappresenta la metrica per il rischio di trasmissione zoonotica. Il principale autore dello studio, l’epidemiologo veterinario Pranav Pandit dell’One Health Institute, spiega che «Man mano che la sorveglianza si espande, speriamo di essere inondati di dati associati ai virus. Questi strumenti ci aiuteranno a comprendere il rischio di nuovi virus, il che può aiutare a prepararsi per le future pandemie».
All’UC Davis spiegano ancora: «Per quantificare la probabilità che gli esseri umani ospitino più di 500 virus scoperti di recente, tra il 2009 e il 2019, il modello utilizza una rete ospiti di virus basata sui dati. Questo derivava dalla ricerca sulla vigilanza della fauna selvatica condotta in Africa, Asia e America Latina da un consorzio di ricercatori. I network ospite-patogeno forniscono informazioni sull’ecologia dei virus e dei loro ospiti, il che è fondamentale per comprendere il rischio che questi virus rappresentano per la salute umana. Questo è particolarmente importante in un clima e un ambiente che cambiano. Man mano che il territorio cambia e le specie cambiano e si spostano in risposta, il rischio di trasmissione virale tra le specie può aumentare».
L’autrice corrispondente, l’epidemiologa Christine Johnson della UC Davis e direttrice dell’EpiCenter for Disease Dynamics, aggiunge: «Questo studio mostra come le diverse specie selvatiche sono collegate dai virus che condividono. Il cambiamento ambientale è un fattore determinante per lo spostamento delle specie. Il modo in cui i virus interagiscono con diversi host in un ambiente in evoluzione è fondamentale per comprendere il rischio che rappresentano per la salute umana».
Oltre ai coronavirus, il modello ha anche classificato diversi paramyxovirus come di priorità elevata per la ricerca futura e gli scienziati fanno notare che «Le malattie associate a questa famiglia di virus includono il morbillo, la parotite e le infezioni del tratto respiratorio».
Pandit conclude: «La caratterizzazione di centinaia di virus richiede molto tempo e la definizione delle priorità. Il nostro approccio basato sul network aiuta a identificare i primi segnali nelle traiettorie ecologiche ed evolutive di questi virus. Può anche aiutare a far luce sui collegamenti mancanti tra i virus e i loro ospiti».