In Canada stanno per ripartire i negoziati Onu sul trattato globale contro l’inquinamento da plastica
L’inquinamento da plastica uccide la vita negli oceani a partire dagli embrioni
Jimenez-Guri: «Le specie che abbiamo esaminato hanno mostrato diversi problemi sviluppo, nessuna è riuscita a creare un embrione vitale»
[17 Aprile 2024]
Gli impatti sull’ambiente della produzione di plastica, passata da 2 mln di ton annue nel 1950 alle 348 mln di ton del 2017, vengono definiti dall’Onu «una catastrofe in divenire» che – come documenta oggi un nuovo studio – mina alla base la sopravvivenza della vita negli oceani.
Livelli elevati di inquinamento da plastica possono infatti uccidere gli embrioni di una vasta gamma di animali oceanici.
È quanto rivela una ricerca condotta da un team internazionale di scienziati, guidato dalla Stazione zoologica Anton Dohrn (Italia) in collaborazione con l’Università di Exeter (Regno Unito), l’Università di Barcellona (Spagna) e la Queen Mary University di Londra (Regno Unito).
I ricercatori hanno testato gli effetti dei pellet di Pvc (utilizzati per realizzare molti prodotti di plastica) sullo sviluppo di dieci specie, che abbracciano tutti i principali gruppi (superphyla) di animali oceanici. Il risultato non lascia spazio a dubbi: l’esposizione ad alte concentrazioni di pellet di Pvc ha impedito uno sviluppo sano in tutte e dieci le specie.
«Quando esposte ad alti livelli di nuovi pellet di Pvc, le specie che abbiamo esaminato hanno mostrato diversi problemi sviluppo – spiega la prima autrice dello studio, Eva Jimenez-Guri – Alcuni non sono riusciti a creare una conchiglia o una notocorda, altri a formare caratteristiche bilaterali (sinistra-destra), altri hanno semplicemente smesso di svilupparsi dopo alcuni cicli di divisione cellulare. Nessuno è riuscito a creare un embrione vitale».
Lo studio ha incluso anche specie che si riproducono asessualmente mediante rigenerazione (scissione) e ha scoperto che anche queste erano colpite da alte concentrazioni di nuovi pellet di Pvc.
«Il livello di inquinamento che abbiamo esaminato sarebbe stato riscontrato solo in circostanze come una fuoriuscita di pellet di Pvc – continua Jimenez-Guri – Sappiamo che questi eventi straordinari possono accadere. Ad esempio, a gennaio milioni di pellet sono fuoriusciti da una nave mercantile al largo del Portogallo. Si è scoperto che anche i fiumi e le spiagge vicino agli impianti petrolchimici contengono livelli molto elevati di pellet di pre-produzione».
Anche in casi meno estremi d’inquinamento da plastica, i risultati sulla vita marina sono comunque deleteri. Lo studio ha infatti esaminato gli effetti tossici dei campioni di plastica recuperati dalle spiagge: sebbene tali effetti non fossero così diffusi come quelli dei nuovi pellet di Pvc, è stato riscontrato che alte concentrazioni influenzano lo sviluppo di molluschi, ricci di mare, stelle marine e ascidie.
Questi nuovi risultati si sommano a quanto già sappiamo in merito agli impatti sulla salute umana dell’inquinamento da plastica – ne ingeriamo inconsapevolmente circa 5 gr a settimana –, ad esempio in termini di rischi di infarto e ictus.
Il Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep) ha recentemente pubblicato la “bozza zero” del trattato globale contro l’inquinamento da plastica, atteso entro quest’anno, ma si tratta di un percorso ancora irto di difficoltà.
Cominceranno nei prossimi giorni ad Ottawa le negoziazioni per il quarto e penultimo ciclo di negoziati Onu nel merito (INC-4), e un’analisi del Wwf sulle proposte avanzate dagli Stati mostra come la maggior parte dei Paesi sostenga l’inclusione di norme globali ambiziose e giuridicamente vincolanti lungo tutta la catena del valore della plastica.
Questa posizione non è però supportata all’unanimità, continuano le resistenze da parte di un gruppo di Stati interessati a proteggere il profitto piuttosto che le persone e il Pianeta. Ora più che mai, con solo due cicli di negoziati rimasti, quello che i Governi decideranno a Ottawa potrebbe quindi decretare la riuscita o il fallimento del Trattato.