L’olio per friggere riutilizzato può causare neurodegenerazione e demenza
Uno studio sui ratti suggerisce che l’olio fritto interrompe le connessioni fegato-intestino-cervello
[2 Aprile 2024]
Lo studio “Long term supplementation ofdeep-fried oil consumption impairs oxidative stress, colonhistology and increases neurodegeneration” presentato recentemente da Sugasini Dhavamani dell’università Illinois – Chicago e da Kathiresan Shanmugam della Central University del Tamilnadu e Jeyakumar Balakrishnan della Vinayaka Mission’s Medical College and Hospital, ha rilevato «Livelli più elevati di neurodegenerazione nei ratti che consumavano oli da cucina fritti riutilizzati e nella loro prole rispetto ai ratti che seguivano una dieta normale».
I risultati dello studio suggeriscono anche che «L’aumento della neurodegenerazione è legato agli effetti dell’olio sulla rete di comunicazione bidirezionale tra fegato, intestino e cervello. L’asse fegato-intestino-cervello svolge un ruolo cruciale nella regolazione di varie funzioni fisiologiche e la sua disregolazione è stata associata a disturbi neurologici».
La Shanmugam ricorda che «La frittura ad alte temperature è stata collegata a diversi disturbi metabolici, ma non sono state condotte indagini a lungo termine sull’influenza del consumo di olio fritto e sui suoi effetti dannosi sulla salute. Per quanto ne sappiamo, siamo i primi a segnalare che l’integrazione a lungo termine di olio fritto aumenta la neurodegenerazione nella prole di prima generazione».
Dhavamani ha presentato la ricerca al Discover BMB, il meeting annuale dell’American Society for Biochemistry and Molecular Biology, che si è tenuto dal 23 al 26 marzo a San Antonio.
La frittura del cibo non aggiunge solo calorie: riutilizzare lo stesso olio per friggere, una pratica comune sia nelle case che nei ristoranti, rimuove molti degli antiossidanti naturali e dei benefici per la salute dell’olio e l’olio riutilizzato può anche contenere componenti. Per analizzare gli effetti a lungo termine dell’olio di frittura riutilizzato, i ricercatori hanno diviso i ratti femmine in 5 gruppi che hanno ricevuto ciascuno solo cibo standard o cibo standard con 0,1 ml al giorno di olio di sesamo non riscaldato, olio di girasole non riscaldato, olio di sesamo riscaldato. o olio di girasole riscaldato per 30 giorni. Gli oli riscaldati simulavano l’olio di frittura riutilizzato.
I ricercatori dicono che «Rispetto agli altri gruppi, i ratti che hanno consumato olio di sesamo o di girasole riscaldato hanno mostrato un aumento dello stress ossidativo e dell’infiammazione nel fegato. Questi ratti hanno anche mostrato danni significativi al colon che hanno portato a cambiamenti nelle endotossine e nei lipopolisaccaridi, tossine rilasciate da alcuni batteri. Di conseguenza, il metabolismo dei lipidi nel fegato è stato significativamente alterato e il trasporto dell’importante acido grasso omega-3 DHA nel cervello è stato ridotto. Questo, a sua volta, ha provocato la neurodegenerazione, che è stata osservata nell’istologia del cervello dei ratti che consumavano l’olio riscaldato e nella loro prole».
Ulteriori studi nei quali il glutammato monosodico è stato utilizzato per indurre neurotossicità nella prole hanno dimostrato che «La prole che consumava gli oli riscaldati aveva maggiori probabilità di mostrare danni neuronali rispetto al gruppo di controllo che non riceveva olio o a quelli che ricevevano olio non riscaldato».
Sebbene siano necessari ulteriori studi, i ricercatori affermano che «l’integrazione con acidi grassi omega-3 e nutraceutici come la curcumina e l’orizanolo potrebbe essere utile nel ridurre l’infiammazione del fegato e la neurodegenerazione. Sono necessari studi clinici sugli esseri umani per valutare gli effetti avversi del consumo di cibi fritti, in particolare quelli preparati con olio utilizzato ripetutamente».
Ora, i ricercatori vorrebbero studiare gli effetti dell’olio di frittura sulle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson, ma anche su ansia, depressione e neuroinfiammazione. E vorrebbero studiare ulteriormente la relazione tra microbiota intestinale e cervello per identificare potenziali nuovi modi per prevenire o curare la neurodegenerazione e la neuroinfiammazione».