Mutamenti genetici e fisici permettono ai nomadi del mare di restare sott’acqua più a lungo

I test del DNA sui Bajau rivelano le basi genetiche dell’adattamento umano alle immersioni estreme

[20 Aprile 2018]

La maggior parte delle persone può trattenere il respiro sott’acqua per alcuni secondi, qualcuno per pochi minuti. Ma un piccolo popolo asiatico, i Bajau, i “nomadi del mare” che vivono tra le Filippine, la Malaysia e l’Indonesia riesce a portare le immersioni fino all’estremo, arrivando a raggiungere i 70 metri dotati di una semplice cintura di piombi e di occhialini di legno e vetro: possono resistere sott’acqua per almeno 13 minuti alla ricerca del pesci, bivalvi, perle e materiali da utilizzare nell’artigianato. Ora lo studioPhysiological and Genetic Adaptations to Diving in Sea Nomads” pubblicato su Cell da un team internazionale di ricercatori rivela il segreto dei Bajau: una mutazione genetica che ha permesso loro di sviluppare una milza insolitamente grande, che fornisce una maggiore quantità di globuli rossi ricchi di ossigeno.

La principale autrice dello studio, Melissa Ilardo, del Centre for GeoGenetics  della Københavns Universitet e della Cambridge University, spiega che «molti bambini Bajau imparano a nuotare prima di imparare a camminare» e intervistata dal programma Inside Science della BBC ha ricordato che «forse per migliaia di anni [hanno] vissuto sulle loro barche-casa, viaggiando da un posto all’altro nelle acque del Sud-est asiatico e visitando la terra solo occasionalmente, quindi tutto ciò di cui hanno bisogno arriva loro dal mare». I nomadi del mare venivano già menzionati in uno scritto risalente al 1521 dall’esploratore veneziano Antonio Pigafetta, che si era imbattuto nei Bajau durante la sua prima circumnavigazione del globo. E anche Pigafetta si accorse della loro straordinaria capacità subacquea.

La Ilardo ora evidenzia che «in termini di fisiologia e genetica, non ci sono molte informazioni sulla milza umana, ma sappiamo che le foche che fanno immersioni profonde, come la foca di Weddell, hanno una milza sproporzionatamente grande. Ho pensato che se la selezione [naturale] ha agito sulle foche per dare loro una milza più grande, potrebbe potenzialmente aver fatto lo stesso negli esseri umani». Infatti, quando un mammifero trattiene il respiro e si immerge, il corpo risponde rallentando la frequenza cardiaca, restringendo i vasi sanguigni nelle estremità e contraendo la milza per rilasciare i globuli rossi ossigenati immagazzinati.

Più di 50 Bajau del villaggio costiero di Jaya Bakti, in Indonesia, hanno fornito al team di ricercatori campioni di saliva per realizzare test del DNA e hanno consentito alla Ilardo di effettuare misurazioni di milza con gli ultrasuoni. Poi questi dati sono stati confrontati con lo stesso tipo di campioni forniti da un altro gruppo etnico, i Saluan, che vive a circa 25 chilometri dai Bajau, nel villaggio costiero di Koyoan, senza però passare molto tempo in acqua.

Ne è venuto fuori che «le milze del Bajau sono circa il 50% più grandi di quelle dei Saluan» dice la Ilardo, che ora lavora all’Università dello Utah – Salt Lake City, e il suo team ha scoperto che questo fornisce fino al 9% di ossigeno in più, consentendo tempi di immersione più lunghi. Ma la cosa ancora più clamorosa è che i test del DNA hanno mostrato che i Bajau hanno variazioni genetiche associate alla dimensione della milza.

La Ilardo aveva sentito parlare dei “nomadi del mare” e delle loro abilità leggendarie durante un viaggio in Thailandia e racconta: «Volevo innanzitutto incontrare la comunità, e non solo presentarmi con attrezzature scientifiche e andarmene». Per questo ha iniziato ad andare in Indonesia e solo «alla seconda visita ho portato una macchina ad ultrasuoni portatile e il kit di raccolta della saliva. Siamo andati in giro per diverse case e abbiamo preso le immagini delle loro milze. Di solito avevo un pubblico. Erano sorpresi che avessimo sentito parlare di loro». Poi il team della Ilardo ha fatto lo stesso con Saluan e la ricercatrice spiega ancora: «Se c’è qualcosa che sta accadendo a livello genetico, dovresti avere una milza di certe dimensioni. Lì abbiamo visto questa differenza enormemente significativa».

Infatti, i ricercatori si sono imbattuti in un gene chiamato PDE10A, presente nei Bajau ma non nel Saluan, che si pensa controlli i livelli dell’ormone tiroideo T4. La Ilardo teorizza che, nel tempo, «la selezione naturale abbia aiutato i Bajau, che vivono nella regione da mille anni, a sviluppare questo vantaggio genetico» e ha detto: «Crediamo che i Bajau abbiano un adattamento che aumenta i livelli dell’ormone tiroideo e quindi aumenta la dimensione della loro della milza. E’ stato dimostrato nei topi che gli ormoni tiroidei e le dimensioni della milza sono collegati».

Nel 2014, un team di ricercatori aveva scoperto un adattamento genetico simile nelle popolazioni tibetane che vivono ad alta quota, ma in quel caso la variante genetica in questione sembra aver avuto origine dai Denisovani, i “fratelli” dei Neanderthal, ed è stata probabilmente introdotta negli umani moderni attraverso un’antica ibridazione; le attuali popolazioni tibetane sono così riuscite a salire e vivere alle altitudini dell’altopiano tibetano grazia a quella antica “introgressione”, e al vantaggio che conferiva. Il team che ha studiato i Bajau ha esaminato se qualcosa di simile potrebbe essere successo anche in questo caso, ma non ha trovato prove per  un tale collegamento. «Non è chiaro da quanto tempo i Bajau abbiano questo stile di vita, o quando è stato proprio l’adattamento a dare i dati genetici che abbiamo adesso». Tuttavia, gli stessi dati mostrano che i Bajau si sono geneticamente allontanati dai loro vicini Saluan circa 15.000 anni fa e, secondo la Ilardo, si tratta di un periodo di tempo «abbondante»  per poter sviluppare l’adattamento acquatico che li caratterizza.

Richard Moon della Duke University School of Medicine, che studia come il corpo umano risponde sia alle alte altitudini che alle profondità estreme e che non ha partecipato alla ricerca della Ilardo, dice su Nationa Geographic che «mentre la milza potrebbe in parte spiegare come i Bajau si immergono così bene, potrebbero essere in gioco anche altri adattamenti» che riguardano la resistenza dei vasi sanguigni, la conformazione del torace e del diaframma e dei muscoli addominali. Ma aggiunge: «Non sappiamo di alcuna connessione diretta tra tiroide e milza. Potrebbe anche essere».

Secondo gli autori dello studio, in ogni caso «i risultati hanno implicazioni per altre aree della ricerca medica. La risposta all’immersione umana simula una condizione chiamata ipossia acuta, in cui il tessuto corporeo ha una rapida perdita di ossigeno. L’ipossia acuta è una delle principali cause di complicanze nelle cure di emergenza». Lo studio di subacquei estremi come i Bajau potrebbe dunque aiutare a migliorare la comprensione dell’ipossia acuta.

Un coautore dello studio Rasmus Nielsen, dell’università di Copenhagen e dell’università della California – Berkeley, aggiunge:«E’ un meraviglioso esempio di come gli esseri umani possano adattarsi ai loro ambienti locali, ma potrebbe esserci qualche interesse medico in questo: c’è stato un grande interesse nel comprendere gli adattamenti dell’ipossia, gli adattamenti ai bassi livelli di ossigeno. Questa è la prima volta che abbiamo un sistema come questo per studiare gli esseri umani. Ci aiuterà a stabilire il legame tra la genetica e la risposta fisiologica all’ipossia acuta. E’ un esperimento di ipossia che la natura ha fatto per noi, e ci permette di studiare gli umani in un modo che non possiamo fare in un laboratorio».

Il problema è che gli scienziati devono probabilmente far presto: lo stile di vita dei nomadi del mare è sempre più minacciato. I piccoli popoli come i Bajau, che spesso non rispettano confini, norme e religioni predominanti, sono considerati gruppi emarginati che non godono degli stessi diritti di cittadinanza delle etnie al potere. Anche l’aumento della pesca industriale e illegale sta rendendo più difficile per loro sopravvivere. Di conseguenza, molti scelgono di lasciare il mare e si adattano a una misera vita “terrestre”.

La Ilardo è preoccupata perché, se non verranno protetti dalle minacce esterne e se il loro stile di vita non verrà tutelato, i Bajau  –  che attualmente sarebbero circa un milione  – potrebbero estinguersi e con loro potrebbero scomparire gli insegnamenti che possono darci riguardo alla salute e alle caratteristiche fisiche degli esseri umani.