Concluso il progetto, si attendono ora gli esiti dell’indagine epidemiologica nazionale

Pulvirus, resta non provata l’ipotesi “carrier” tra inquinamento atmosferico e Covid-19

Enea: «Questo primo esperimento numerico non consente di confermare l’esistenza di un legame stabile»

[29 Dicembre 2022]

Dopo oltre due anni e mezzo di studi si è ufficialmente conclusa l’indagine Pulvirus, lanciata nel pieno dalla pandemia da Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea), Istituto superiore di sanità (Iss) e Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), per indagare alcuni importanti riflessi tra Covid-19 ed emissioni atmosferiche (inquinanti e climalteranti).

«Il progetto si è articolato in sei obiettivi principali – spiega Gabriele Zanini, responsabile scientifico di Pulvirus per Enea –, con la finalità di approfondire il discusso legame fra inquinamento atmosferico e diffusione della pandemia, le interazioni fisico-chimiche-biologiche fra polveri atmosferiche e virus, gli effetti del lockdown sulle concentrazioni atmosferiche degli inquinanti e dei gas serra».

La grande mole di lavoro di ricerca ha portato in dote importanti dettagli, ma nessuna risposta definitiva in merito all’interrogativo che ha fatto più scalpore, ovvero il legame tra inquinamento atmosferico e pandemia. Sotto questo profilo c’è un solo, importante indizio: «Questo primo esperimento numerico non consente di confermare l’esistenza di un legame stabile per tutta la durata dei processi di dispersione e trasformazione del PM (particolato, ndr) in atmosfera e se lo stesso virus rimanga vivo e attivo», dichiara la ricercatrice Enea Caterina Arcangeli.

Una questione molto controversa, che fin dagli inizi della pandemia ha suscitato un acceso dibattito nella comunità scientifica, è stata infatti la possibilità che il particolato atmosferico possa agire da carrier in fase aereodispersa, ovvero ‘trasportare’ il virus Sars-Cov-2 in atmosfera. I ricercatori impegnati in Pulvirus hanno provato a rispondere a tale domanda sfruttando il supercalcolatore Cresco 6 per disegnare modelli molecolari e testare le loro interazioni, mediante simulazioni numeriche di dinamica molecolare classica, ma l’ipotesi carrier non è stata confermata.

Non vengono invece fornite risposte definitive su un altro e ben più probabile legame tra inquinamento atmosferico e pandemia, che vede una maggiore letalità da Covid-19 nelle aree caratterizzate da una bassa qualità dell’aria. L’ipotesi è stata avvalorata da autorevoli studi – ad esempio quello a prima firma del ricercatore italiano Dario Caro, ma anche quelli elaborati in seno alle Università di Cambridge e Harvard –, ma nel merito da Pulvirus non sono arrivate risposte precise.

Probabilmente sarà necessario attendere la conclusione di un altro grande progetto scientifico avviato nel 2020 a livello nazionale, ovvero l’indagine epidemiologica portata avanti da Iss, Snpa, Ispra e Rias, che è partita affermando: «Le ipotesi più accreditate indicano che un incremento nei livelli di PM rende il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione e alle complicazioni della malattia da coronavirus».

Nel frattempo, quali sono dunque le altre principali novità emerse da Pulvirus? «Dai risultati emerge che nel corso del lockdown a trainare la riduzione delle emissioni inquinanti è stato principalmente il trasporto stradale, con una riduzione di circa il 60% degli ossidi di azoto, del 66% del PM2.5 e dell’87% del monossido di carbonio», argomenta la ricercatrice Enea Ilaria D’Elia.

Il settore industriale ha maggiormente inciso sulla riduzione delle emissioni di ossidi di zolfo (circa 90%) e di composti organici volatili non metanici (circa 80%), mentre il residenziale/terziario ha registrato un incremento delle emissioni di PM2.5, per la maggiore presenza delle persone nelle abitazioni e quindi un maggior utilizzo della biomassa (legna e pellet) per il riscaldamento. Il settore marittimo ha contribuito ad una riduzione delle emissioni di ossidi di azoto di circa l’8% e di ossidi di zolfo di circa il 3%.

«In particolare, gli effetti del calo generalizzato delle emissioni sulle concentrazioni di inquinanti e sulle polveri sottili secondarie sono stati particolarmente complessi. Si sono osservati: un calo evidente di NO2, un aumento di ozono in aree urbane e un calo modesto di polveri sottili a dimostrazione che interventi mirati in un unico settore non necessariamente portano alle riduzioni di concentrazione auspicate, soprattutto per quanto concerne le polveri sottili», aggiunge D’Elia.

Per ottenere un quadro il più approfondito possibile, Enea ha messo a disposizione i dati del suo Osservatorio climatico di Lampedusa, che per caratteristiche geografiche è un sito rappresentativo delle condizioni del Mediterraneo centrale: «Nonostante rispetto al 2019 le emissioni annuali di CO2 si siano ridotte dell’8,9% a livello nazionale e del 5,4% a livello globale, l’aumento annuo della concentrazione atmosferica di CO2 di fondo non ha subito variazioni evidenti rispetto al periodo precedente al lockdown», conclude il ricercatore Enea Giandomenico Pace.