Dal workshop annuale il punto sui progressi della ricerca scientifica
Quali scenari tecno-climatici ci aspettano? Risponde il centro di ricerca Seeds
Apparentemente ci è solo richiesto di usare le risorse disponibili con “efficienza”. In questo modo, tutti potranno avere accesso al modello di sviluppo senza asimmetrie
[29 Dicembre 2020]
Il centro di ricerca interuniversitario Seeds, diretto dall’economista ambientale Massimiliano Mazzanti, si è riunito assieme agli ospiti esterni per discutere degli studi circa gli avanzamenti della ricerca sul cambiamento climatico.
Nella sessione dedicata alle tecnologie energetiche e ambientali sono state illustrate in particolare le potenzialità dell’innovazione per controllare o mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Osservando le attuali condizioni, vi sono un insieme di fattori negativi che ruotano attorno al cambiamento climatico e lo sviluppo tecnologico.
Ad esempio buona parte del mondo ancora non ha accesso alla rete elettrica, e la fame di energia è onnipresente. La scarsità di accesso influenza negativamente la salute infantile mentre l’eccesso rende virtualmente ridondanti le politiche ambientali. Nel primo caso, lo studio di Yermone Sargsyan e colleghi della Charles University (UK) ha stato evidenziato come i blackout influenzano negativamente la crescita dei bambini da 0 a 5 anni nel Kirghizistan. Nel caso di economie avanzate come la Germania, si è visto invece che le politiche volte a sostenere la diffusione delle fonte rinnovabili sono state accompagnate da crescite dei consumi energetici. La definizione spesso adottata in questi casi dagli economisti è “rebound”, ovvero risonanza o rimbalzo dell’effetto. L’origine dello studio viene da Jevons, un economista energetico anglosassone del XIX secolo che trovò una relazione positiva tra innovazioni energetiche e consumo di materie prime.
Ad oggi, circa il 30% dell’energia prodotta da pannelli solari è proprietà di famiglie e condomini. Secondo uno studio di Kathrin Kaestner e colleghi del centro di ricerca RWI, la sua introduzione, piuttosto che rendere i possessori indipendenti per la quantità di energia prodotta, sembrano li abbia indotti a consumare più elettricità. Altri governi stanno tentando di controllare il consumo delle famiglie per limitare le emissioni. Secondo uno studio di Salim Turdaliev e colleghi di varie università, la Russia avrebbe la capacità di ridurre le emissioni totali tramite aumenti di prezzo calibrati in base al reddito, tuttavia (appunto) a costo di aumentare i prezzi.
Limitare i consumi di energia e permettere l’accesso a tutti gli uomini e donne, anche delle prossime generazioni, è un obbiettivo globale di sviluppo, e rappresenta la visione predominante nella strategia al cambiamento climatico. Nonostante ciò, affinché si resti all’intermo del parametro dei +2 °C di surriscaldamento globale (si parla sempre di compiti a casa purtroppo), alcune fonti di energia devono restare inutilizzate nel futuro, lasciate alla deriva: in inglese si parla di “stranded assets”.
Si tratta generalmente di produttori e trasformatori di idrocarburi. Eppure queste sono spesso le fonti energetiche ad oggi più economiche – non tenendo adeguatamente conto nel sistema dei prezzi di tutte le esternalità negative collegate al loro uso –, in particolare il carbone. Un’illusione proveniente dall’era delle crisi petrolifere è quella della scarsità delle loro riserve. Sebbene geolocalizzate, le riserve di carbone sono talmente abbondanti da permettere un aumento di temperatura dovuto ai gas serra sprigionati di circa 12 °C attesi. Questa abbondanza rende il carbone una fonte di energia apparentemente “adatta” alla transizione rapida di molti paesi.
Secondo uno studio di Yangsiyu Lu e colleghi dell’università di Oxford, sarebbe possibile raggiungere obbiettivi di sviluppo e transizione energetica (entro +2 °C) se utilizzate assieme alla riforestazione e alla cattura delle emissioni, o “carbon capture and storage” (Css).
Sebbene questo connubio tra green tecnologie green e brown possa sembrare contro-intuitivo in un’ottica ambientalista, c’è chi sostiene che le prime siano strettamente correlate alle altre. In poche parole, la capacità di innovare nell’ambito dei combustibili fossili potrebbe essere legata alla stessa capacità di rendere i pannelli solari più efficienti e meno costosi, le pale eoliche meno dannose per la fauna e probabilmente a utilizzare forme di energia che ancora non conosciamo bene, come idrogeno e fusione nucleare. Secondo l’analisi di Nicolò Barbieri e colleghi, queste innovazioni crescono di pari passo e spesso si influenzano reciprocamente.
Se da una parte è vero che l’adozione di tecnologie verdi e abbattimento di gas serra sono di primaria importanza per le nazioni già industrializzate, dobbiamo fare i conti con l’efficacia dell’applicazione delle leggi. Pensiamo all’adesione ai limiti d’emissione o all’andamento dei materiali consumati. Senza sistemi di controllo adeguato e di dichiarazione corrette dei valori, qualsiasi obbiettivo di politica economica potrebbe essere ridondante, specialmente per un paese come l’Italia, dove già il rispetto delle regole stradali sembra troppo stringente per alcuni. Secondo Lidia Vidal-Média, l’inefficacia dei controlli da parte delle autorità può seriamente influenzare la riuscita di tasse sulle emissioni e permessi (come l’Ets attualmente in vigore). Il successo degli scenari di controllo dipende quindi da un’attenta programmazione delle politiche ambientali, accompagnate da un sistema efficiente.
Gli scenari di crescita che abbiamo commentato non penalizzano l’attività economica né tantomeno la libertà. Apparentemente ci è solo richiesto di usare le risorse disponibili con “efficienza”. In questo modo, tutti potranno avere accesso al modello di sviluppo senza asimmetrie. Con l’intera umanità pienamente sviluppata, crisi esogene saranno risolvibili più facilmente, in quanto più “teste” saranno disponibili. Finalmente buone notizie.