Scuola e competenze: 10 punti per capire l’educazione in Italia, e altrettanti per migliorarla

Senza conoscenza non c’è sviluppo sostenibile: dall’analisi dettagliata di due rapporti Ocse le basi per raggiungere gli obiettivi Onu al 2030

[20 Ottobre 2017]

La cadenza annuale della pubblicazione dei rapporti Ocse Education at a glance induce, in Italia, una reazione automatica che, soprattutto nella stampa, si esprime in vario modo: dalla ricerca di formule consolatorie (o assolutorie) del nostro sistema alla puntigliosa misurazione delle distanze. Atteggiamenti legittimi certo, ma che non aiutano poi ad usare il rapporto come strumento di lavoro; la novità di quest’anno è rappresentata dalla circostanza della vicinanza della data di pubblicazione del rapporto 2017 a quella della presentazione del testo Strategie per le competenze Italia 2017. Questo rapporto nasce dal confronto, coordinato da Ocse, su dati di analisi e studi commentati e discussi tra responsabili istituzionali e stakeholder di vari settori, che si impegnano nel formulare suggerimenti, proposte ed indicare priorità al nostro sistema. Di seguito viene dato conto dei due testi.

La 70° assemblea generale delle nazioni unite nel 2015 ha indicato i 12 obiettivi che dovranno essere raggiunti per garantire uno sviluppo sostenibile; il documento noto come “Agenda per uno sviluppo sostenibile per il 2030” contiene un invito a tutti i paesi a intraprendere azioni mirate, volte a eliminare la povertà, proteggere il pianeta e assicurare pace e prosperità a tutti. Il quarto dei dodici punti/obiettivo stabilisce la necessità di assicurare una equità inclusiva e sostenibile dell’educazione al fine di garantire a tutti e tutte la fruizione di opportunità di lifelong learning; l’articolazione in obiettivi di questo punto è il riferimento sul quale vengono costruiti gli indicatori della “più completa e ambiziosa agenda” che sia mai  stata stabilita per l’educazione nel mondo globale. Queste, in estrema sintesi, le prospettive entro le quali si pone la lettura dei processi di istruzione e formazione  dei paesi ed economie Ocse e partner[i] contenuta in Education at a glance 2017. Gli indicatori esaminati rilevano che paesi Ocse e partner si stanno accostando agli obiettivi relativi alle infrastrutture scolastiche e all’accesso all’educazione di base, tuttavia molte sfide restano aperte soprattutto per i tanti paesi che stentano a raggiungere i risultati attesi, misurati  in termini di ritorni occupazionali ed economici dell’apprendimento e di equità. La parità di genere sembra raggiunta nell’accesso ai livelli della scuola dell’infanzia, primaria ed anche secondaria, tuttavia la distanza tra generi si evidenzia ancora nei livelli complessivi di istruzione della popolazione adulta e nelle opportunità di pieno utilizzo dei risultati della istruzione posseduta da parte delle donne. Il rapporto raccoglie in uno schema sintetico i dati più significativi[ii].

 

1) Tra il 2000 e il 2016 aumentano i giovani con titolo di studio terziario e diminuiscono quelli che non raggiungono il diploma

 

Popolazione 25-34 anni

 

2000

 

2016

 

Livello terziario ( laurea)

 

26%

 

43%;  Italia 23%

 

Non raggiungono diploma

 

25%

 

16%;  Italia 22%

 

 

2) Una istruzione più elevata offre migliori opportunità di lavoro e retribuzione

 

Adulti con titolo di studio di livello terziario

 

occupati 84%; salario medio +56% – soffrono meno di disturbi depressivi;  Italia 64%, salario medio + 49%

 

Adulti con diploma o post-diploma non accademico (di fatto inesistente in Italia)

 

Occupati 74%; Italia 63%

 

 

3) Molte persone tuttavia sono ancora lasciate indietro: il 25% degli studenti della secondaria superiore non si diplomano neanche a due anni dalla fine della regolare durata dei percorsi di studio, che frequentano, e il 15% di giovani 18-24 anni sono NEET.

4) Aumenta la spesa (fondi pubblici) per l’istruzione primaria e secondaria e l’istruzione terziaria. Nello stesso periodo diminuiscono le iscrizioni degli studenti della scuola primaria, secondaria e del post diploma non accademico mentre aumenta la spesa per questi livelli di scuola: dal 2008 al 2014 (indice di cambiamento 100 al 2010) passano da 101 a 99; sempre negli stessi anni (indice di cambiamento  100 al 2010) la spesa sale da 97 a 104. Gli iscritti alla istruzione terziaria aumentano dal 2008 al 2014 (indice di cambiamento 100 al 2010) da 94 a 111, la spesa sale dal 2008 al 2014 (indice di cambiamento 100 al 2010) da 95 a 105. Si nota un notevole impegno economico del pubblico nella istruzione terziaria. Va tuttavia considerato che, mentre tutta la spesa per l’istruzione è aumentata, questo non ha corrisposto all’aumento del PIL (2% in meno), tuttavia tra il 2010 e il 2014 ( dati disponibili) la spesa è rimasta stabile.

5) La professione docente non è attrattiva, soprattutto dal punto di vista economico: i salari dei docenti non sono competitivi rispetto a quelli degli altri laureati. In termini percentuali, fatto 100 il salario di un laureato non occupato nell’insegnamento, che lavora in una posizione per cui è richiesta la laurea, il salario dei docenti è inferiore.

 

Scuola pre- primaria

 

78%                      Italia 68%

 

Scuola primaria

 

84%                            68%

 

Scuola secondaria inferiore

 

87%                            68%

 

Scuola secondaria superiore

 

92%                            73%

 

 

6) I docenti sono sempre più vecchi e sono prevalentemente donne (7 docenti su 10)

Età docenti 2005

 

Età docenti 2015

 

50 anni e oltre – 30%

 

50 anni e oltre – 33%

 

Tra 30 e 49 anni – 56%

 

Tra 30 e 49 anni – 56%

 

Fino a 30 anni – 14%

 

Fino a 30 anni – 11%

 

I docenti italiani sono i più vecchi nel confronto con la media Ocse e con la media europea ( dati 2015 relativi a docenti con 50 anni e più)

 

                                 Italia

 

Ocse

 

EU

 

Scuola primaria         60%

 

32%

 

33%

 

Scuola superiore        71%

 

40%

 

42%

 

 

7) Il 25% della popolazione adulta ( 25-64 anni ) ha una laurea (livello di istruzione terziaria) in  economia , gestione aziendale, discipline giuridiche (business, administration, law) , queste sono le lauree più diffuse; l’interesse per le discipline scientifiche è sostanzialmente stabile ( se si confrontano i neo iscritti e i laureati, per ambiti disciplinari scientifici, si vede che i neo iscritti alle ICT sono il 4% contro il 5% dei laureati, i neo iscritti a scienze naturali- matematica – statistica sono il 5%contro il  6%, quelli di ingegneria  sono il 17% contro il 16% degli adulti laureati). Il gruppo disciplinare STEM (Science Technology Engineering Mathematics ) conta il 22% dei laureati e , dati 2015, il 44% dei dottorati (chi consegue una laurea in questi settori continua a specializzare le proprie competenze), le possibilità di occupazione per i laureati STEM  sono sette volte superiori a quelle dei coetanei/ colleghi che hanno titoli  accademici relativi a Belle arti, discipline Umanistiche, Scienze Sociali, Giornalismo e Informazione (questa è la media OCSE, le situazioni possono essere diverse nei diversi paesi ). In Italia i settori disciplinari preferiti sono: Belle arti, Discipline Umanistiche, Scienze Sociali, Giornalismo e Informazione registrano la quota più elevata tra i Paesi dell’OCSE (30% di adulti 25-64enni), mentre  nelle discipline, indicate come STEM, nel campo della Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica,  sono il 24%, percentuale appena inferiori alla media OCSE . Queste scelte si confermano per le generazioni più giovani. Nel 2015, il 39% degli studenti italiani ha conseguito una laurea di primo livello nel campo delle Belle arti, delle discipline Umanistiche, delle Scienze Sociali, del Giornalismo e dell’Informazione (media OCSE, 23%) e il 25% si è laureato in una disciplina tecnico-scientifica (media OCSE, 22%)[iii]. Il 14% sono i laureati di primo livello nel campo dell’economia, della gestione e in giurisprudenza contro la media OCSE del 23%. La distribuzione dei laureati di secondo livello è simile, anche se la loro quota, nei campi di economia aziendale, gestione e giurisprudenza è molto più alta, attestandosi al 25%, con un valore prossimo alla media OCSE del 27%.

8) La parità di genere nei livelli più elevati di istruzione è ancora lontana, il fatto è evidenziato dalla percentuale di ragazze iscritte nei diversi ambiti disciplinari.

 

Tutte le facoltà

 

STEM

 

Educazione   78%

 

Scienze naturali, matematica, statistica 50%

 

Salute e welfare 76%

 

Ingegneria 24%

 

Scienze sociali, informazione, giornalismo 64%

 

ICT 19%

 

Arte e discipline umanistiche 63%

 

Gestione aziendale ecc. 54%

 

 

L’accesso delle donne ai livelli più alti di istruzione ha effetti sulla professione docente: le donne sono il 97% nella scuola pre- primaria, ma hanno raggiunto solo il 43% nella istruzione terziaria. In Italia dal 2005 al 2015 le donne passano, dalla scuola pre-primaria alla secondaria superiore, dal 78% all’ 80% e nell’università dal 34% al 37%

9) A causa del limitato investimento nella scuola della prima infanzia la percentuale dei bambini nelle scuole private è più elevata di quella degli iscritti nella istruzione primaria e secondaria. I percorsi di istruzione professionale sono meno attrattivi di quelli di istruzione generale (25% contro il 37% dei giovani 15-19 anni) malgrado in molti paesi i percorsi di formazione professionale siano una forte componente del sistema.  In Italia la partecipazione alla scuola dell’infanzia (istruzione pre -primaria) è tra le più elevate dei Paesi dell’OCSE: 16% per i bambini di due anni e 90% per i bambini dai tre ai cinque anni di età.   In Italia il sistema d’istruzione professionale sembra rafforzarsi, è possibile prevedere che il 53% della popolazione sarà messa in grado di conseguire un diploma secondario superiore a indirizzo professionale nel corso della propria esistenza.

10) In Australia, UK e USA circa il 75% degli studenti è supportato da prestiti pubblici o borse di studio per sostenere le spese richieste per la frequenza di alcune istituzioni di istruzione terziaria. In più della metà dei paesi, i cui dati sono disponibili, l’acceso alla istruzione terziaria pubblica e /o privata è aperta. Esami gestiti a livello nazionale alla fine della secondaria superiore e esami di ammissione direttamente gestiti dalle istituzioni di terzo livello sono in genere utilizzati per l’accesso alle istituzioni di istruzione terziaria.

Ulteriori approfondimenti relativi all’Italia

La percentuale di adulti italiani in possesso di un titolo di studio terziario come livello più alto d’istruzione è tra i più bassi dei Paesi dell’OCSE (solo il 18% di laureati sull’insieme della popolazione adulta). Questi bassi livelli d’istruzione terziaria possono essere in parte dovuti a prospettive insufficienti di lavoro e a bassi ritorni economici per i laureati (gli uomini guadagnano mediamente il 21% in meno rispetto alla media OCSE,  le  donne il 35%). Gli uomini sono la maggioranza dei laureati di primo e secondo livello nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (79% di primo livello e 86% di secondo) e in ingegneria, produzione industriale e edilizia (69% e 73%). Le donne sono più presenti nel settore dell’Istruzione, delle Belle arti e delle discipline Umanistiche, nelle scienze Sociali, nel Giornalismo e nell’Informazione ed anche nel settore della Sanità e dei Servizi Sociali. L’Italia comunque evidenzia il divario di genere più pronunciato tra i Paesi dell’OCSE nelle lauree del settore educativo dove le donne rappresentano il 94% dei titolari di una laurea di primo livello e il 91% di una laurea di secondo livello.

I percorsi di secondaria superiore evidenziano   che i due terzi (64%) dei titolari di un diploma professionale hanno studiato nel campo dell’economia aziendale, della gestione e delle discipline giuridiche, e nel campo dell’ingegneria, dell’industria manifatturiera e edilizia, registrando un tasso più alto rispetto alla media dei Paesi dell’OCSE (54%). Anche a livello di diploma i ragazzi sono più presenti nel campo dell’ingegneria, dell’industria manifatturiera e dell’edilizia (86%), le ragazze rappresentano la più ampia quota dei titolari di un diploma professionale nel settore della sanità e dei servizi sociali (74%), dei servizi (55%), dell’economia aziendale, della gestione e discipline giuridiche (52%).

Il 75% della popolazione adulta (25-64 anni) non partecipa ad attività di istruzione e formazione contro la media Ocse del  50%  degli adulti delle stesse fasce di età

La spesa per studente (dall’istruzione primaria all’istruzione terziaria) nel 2014 è stata in media circa 9 300 dollari statunitensi per studente, la spesa Ocse è di circa 10 800. La distanza dalla spesa media Ocse è particolarmente evidente nell’istruzione terziaria:  in Italia circa 11 500 dollari statunitensi nel 2014 ( 7 100 dollari statunitensi se non si calcola la spesa per le attività di ricerca e sviluppo), mentre  la media Ocse della spesa nell’istruzione terziaria è superiore di oltre 3 900 dollari statunitensi. 
Tra il 2010 e il 2014, la spesa per studente dal ciclo d’istruzione primario al post secondario non terziario è diminuita del 3%, a seguito della riduzione del 2% della spesa e dell’aumento dell’1% del numero di studenti. A livello terziario, la spesa per studente è aumentata del 4% nello stesso periodo, poiché il numero di studenti è diminuito più rapidamente rispetto alla spesa.

Nel 2014, la spesa per le istituzioni dell’istruzione si è attestata al 4% del PIL in Italia, un rapporto molto inferiore alla media OCSE del 5,2% e inferiore del 7% rispetto al 2010.

In termini di finanziamento, l’87% della spesa dell’Italia destinata alle istituzioni dell’insegnamento proviene da fonti pubbliche, l’11% dalle famiglie e il restante 2% da altre entità private come le imprese, le istituzioni religiose e altre organizzazioni senza scopo di lucro. Il contributo finanziario delle famiglie e del settore privato è più significativo nell’istruzione terziaria e raggiunge il 35% della spesa complessiva per l’istruzione a livello universitario, rispetto alla media OCSE del 30%.

Strategia Nazionale per le Competenze dell’Italia – 2017

L’Ocse persegue una strategia specifica sostenuta da analisi mirate allo studio delle competenze possedute dalla popolazione dei vari paesi e, individuando i possibili trend, sviluppa, confrontandosi con responsabili istituzionali e non e stakeholder, suggerimenti ed indicazioni. La fase di studio si è sviluppata in Italia tra luglio 2016 e marzo 2017, ha coinvolto più di duecento stakeholder (  rappresentanti delle imprese, dei lavoratori, dell’istruzione, degli istituti di ricerca e del governo) coordinati dall’OCSE. “L’Italia ha bisogno  di definire rapidamente una strategia di sviluppo delle competenze che ne promuova lo sviluppo in tutto il territorio nazionale”: queste le parole che aprono il rapporto appena licenziato e che sintetizzano la logica del documento. Le stesse ragioni che negli anni avevano determinato il “successo italiano” (modello di produzione decentralizzato, basato su distretti industriali che sfruttavano, e alimentavano, competenze tecniche e professionali molto avanzate) rischiano di essere causa di performance economiche che, negli ultimi quindici anni, si sono sempre più indebolite. La produttività è limitata, rispetto al numero degli occupati, anche a causa di un livello  diffuso di competenze relativamente basso, di una scarsa  domanda di competenze avanzate, e di un uso limitato  e spesso irragionevole delle competenze disponibili. E’ vero che in questi ultimi anni sono state messe in campo alcune riforme, ma per renderle efficaci, a giudizio degli stakeholder, si impone una maggiore attenzione alle politiche  di sviluppo delle competenze  che dovranno essere considerate una priorità per l’intero paese .

Il problema non riguarda solo i livelli di competenza posseduti /non posseduti dai lavoratori, ma dalla capacità delle imprese di usare pienamente competenze disponibili attualmente  e  di quelle che si dovranno garantire a tutti in futuro. Il rapporto descrive  l’Italia   come un paese  intrappolato in un low-skills equilibrium : basso livello di competenze generalizzato,  scarsa offerta di competenze che corrisponde a  una debole domanda da parte delle imprese ( poche imprese, relativamente grandi, competitive  con successo sul mercato globale,  molte imprese medio/piccole che operano con un management scarsamente  competente e lavoratori con competenze limitate e livelli di produttività più bassi. Il rapporto individua alcune peculiarità italiane, responsabili della situazione :  1)imprese a gestione familiare( più dell’85% del totale e 70% dell’occupazione del paese), i manager delle imprese a gestione familiare spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse. 2) il livello dei salari in Italia è spesso correlato all’età e all’esperienza del lavoratore piuttosto che alla performance individuale, questa caratteristica disincentiva nei dipendenti un uso intensivo delle competenze sul posto di lavoro. 3)il fenomeno dello skills mismatch: le competenze di un lavoratore non sono allineate con quelle richieste per compiere uno specifico lavoro. In Italia circa il 6% dei lavoratori possiede competenze basse rispetto alle mansioni svolte, mentre il 21% è sotto qualificato. Malgrado i bassi livelli di competenze che caratterizzano il paese, si osservano numerosi casi in cui i lavoratori hanno competenze superiori rispetto a quelle richieste dalla loro mansione, cosa che riflette la bassa domanda di competenze in Italia. I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana. Inoltre, circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato agli studi. Riequilibrare domanda e offerta di competenze richiede che le istituzioni nel settore dell’istruzione e della formazione siano più reattive ai cambiamenti, che si sviluppino  politiche per il mercato del lavoro più efficaci, ed un uso migliore di strumenti di valutazione e analisi dei fabbisogni di competenze attuali ed emergenti. Infine, sono anche necessari maggiori sforzi da parte del settore privato e disponibilità a collaborare con le istituzioni pubbliche. Il rapporto ha un taglio molto istituzionale, non potrebbe essere altrimenti, che riconosce all’Italia un serio impegno per riforme quali il Jobs act e la Buona scuola ( in particolare  valorizza l’introduzione della alternanza scuola lavoro, i cui risultati saranno verificabili solo in un ampio arco di tempo ). Si insite molto sulla necessità di integrare attori appartenenti a diversi settori istituzionali, economici e sociali , per stimolare crescita della produzione e migliore distribuzione di risorse economiche e di mando d’opera.

L’Ocse delinea un quadro entro cui affrontare quello che definisce il low skills equilibrium italiano, articolato in quattro punti: sviluppare competenze rilevanti; attivare l’offerta di competenze; utilizzare le competenze in modo efficace e rafforzare il sistema delle competenze. Entro questo quadro vengono identificate10 “sfide”, di seguito elencate :

Sfida 1 – Fornire ai giovani di tutto il Paese le competenze necessarie per continuare a studiare e per la vita.

Sfida 2 – Aumentare l’accesso all’istruzione terziaria e al contempo migliorare la qualità e la pertinenza delle competenze garantendo maggiori investimenti e sviluppo degli ITIS (percorsi post diploma non accademici).

Sfida 3 – Aumentare le competenze degli adulti che hanno competenze di basso livello [13milioni di adulti; il 39% di chi ha un’età compresa tra 25-65 anni possiede un livello basso di competenze, e solo il 14% della popolazione partecipa alla formazione per gli adulti][iv].

Sfida 4 – Rimuovere gli ostacoli all’attivazione delle competenze sul mercato del lavoro sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta. [questa sfida contiene una evidente critica al funzionamento dei servizi per l’impiego e, forse, una eccessiva fiducia nella ri-organizzazione e creazione di nuovi strumenti quali Anpal, ANAPP ecc.]

Sfida 5 – Incoraggiare una maggiore partecipazione da parte delle donne e dei giovani nel mercato del lavoro

Sfida 6 – Utilizzare meglio le competenze sul posto di lavoro [L’Italia è l’unico paese del G7 in cui la quota di lavoratori laureati impiegati in posti di lavoro con mansioni di routine è più alta rispetto alla quota di lavoratori laureati impegnati in attività non di routine].

Sfida 7 – Fare leva sulle competenze per promuovere l’innovazione

Sfida 8 – Rafforzare la governance multilivello ed i partenariati al fine di migliorare il sistema delle competenze

Sfida 9 – Promuovere la valutazione e la previsione dei bisogni di competenze per ridurre lo skills mismatch.

Sfida 10 – Investire per potenziare le competenze

Per ognuna delle sfide vengono riportati elementi di analisi, giudizi e proposte degli stakeholder che servono a sostenere possibili linee di azione. Il tono è un po’didascalico,  per quanto attiene  alle finalità  del rapporto,  che “può essere utilizzato in modi diversi, come base per accrescere la consapevolezza pubblica, per facilitare un dialogo pubblico più ampio incoraggiando partner sociali, governi nazionali e regionali a lavorare insieme per affrontare le sfide identificate” e vago, ma non potrebbe essere altrimenti, sul “passo successivo”, quello della implementazione. Questa quindi la conclusione:

“Il passo successivo per l’Italia consisterà nel determinare quali tra le sfide aperte sul tema delle competenze dovrebbero essere affrontate in via prioritaria e sviluppare quindi progetti concreti da mettere in atto, fondati sul coinvolgimento attivo di tutti i ministeri, le autorità regionali e gli stakeholder coinvolti. L’OCSE è pronto a intervenire per aiutare il Paese in questo prossimo passo”.

 

[i]OCSE Australia Austria Belgium Canada Chile Czech RepublicDenmark Estonia Finland France Germany Greece Hungary Iceland Ireland Israel Italy  Japan Korea  Latvia Luxembourg Mexico Netherlands  New Zealand Norway Poland Portugal Slovak Republic Slovenia Spain Sweden  Switzerland Turkey Uk Usa ECONOMIES:FlemishCom.(Belgium) England (UK) NorthernIreland(UK) PARTNERS Brazil Colombia Costa Rica LituaniaRussian Federation. Questo è l’elenco delle realtà cui si riferiscono i dati di Education at a glance 2017- Le fonti su cui si fondano le analisi sono  le indagini Ocse ( Pisa, All, Piaac, Talis) e le informazioni fornite dai soggetti istituzionali dei vari paesi; poiché oggetto dello studio è il trend / i trend rilevabili nell’arco degli ultimi anni, in alcune situazioni mancano elementi utili a ricostruire alcuni andamenti e le modalità di rilevazione ( salvo che per le indagini condotte direttamente da Ocse ) non sono sempre omogenee .

[ii] In grassetto, dove possibile , sono stai inseriti  nelle tabelle dati relativi all’Italia .

[iii] Le belle arti e le discipline umanistiche in Italia non sono solo preferite dagli studenti universitari  italiani  ma lo sono ancora di più dagli studenti stranieri: il 26% degli studenti stranieri è iscritto in questo campo di studi rispetto al 16% degli italiani .

[iv] The OECD Economic Survey: Italy (2017) e Getting Skills Right: Italy Policy Review (2017) e indagine PIAAC