Siamo quel che mangiamo, ma non siamo “dove viviamo”
Non importa dove viviamo o dove siamo nati: le nostre scelte alimentari dipendono dal sesso biologico, dall'età e da altri fattori culturali
[15 Novembre 2022]
Gli studi genetici degli ultimi 20 anni hanno ampiamente dimostrato che, tra le popolazioni di tutto il mondo, la maggior parte delle differenze genetiche si riscontrano a livello individuale piuttosto che a livello di popolazione. Due individui presi a caso nella stessa popolazione tendono infatti a essere geneticamente più diversi l’uno dall’altro rispetto alla differenza media fra due popolazioni distinte. Si può dire la stessa cosa anche se si parla di stile di vita e cultura? A questa domanda ha cercato di rispondere lo studio “Impact of cultural and genetic structure on food choices along the Silk Road” – pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) da Serena Aneli, Massimo Mezzavilla e Luca Pagani (università di Padova), Eugenio Bortolini (HUMANAE Barcellona e università di Bologna), Nicola Pirastu (Human Technopole Milano), Giorgia Girotto, Beatrice Spedicati e Paolo Gasparini (università di Trieste), Paola Berchialla (università di Torino) – utilizzando le abitudini alimentari come una possibile fonte di differenze culturali fra individui. In particolare, i ricercatori italiani hanno esaminato le preferenze alimentari riguardanti 79 diversi alimenti in 6 popolazioni lungo la Via della seta, l’antica rotta commerciale che si estende attraverso tutta l’Asia centrale.
Pagani, professore associato in antropologia molecolare all’università di Padova, piega: «Abbiamo scoperto che la preferenza per alcuni cibi era informativa della preferenza per altri cibi, o che, in altre parole, le preferenze alimentari possono essere descritte combinando un numero discreto di “profili alimentari”». I ricercatori evidenziano che «Inaspettatamente, i profili così individuati non sono tipici di un determinato villaggio o nazione, ma sono invece legati ad altre caratteristiche degli individui partecipanti come la loro età, il sesso e altre scelte culturali. Questo naturalmente con qualche eccezione, rappresentata da alcuni alimenti disponibili solo in determinati Paesi: tra questi spiccano alcuni prodotti locali, come il “sulguni”, un formaggio in salamoia tipico della Georgia ed il “kurut”, un alimento diffuso tra le popolazioni nomadi dell’Asia centrale a base di yogurt essiccato».
Dallo studio emerge che «Solo il 20% delle abitudini alimentari sono legate al Paese di origine, un valore piuttosto alto se confrontato con la sua controparte genetica (1%) ma ancora non sufficiente a spiegare le differenze osservate, nonostante le migliaia di chilometri che separano le aree geografiche oggetto di studio».
Poi, i ricercatori hanno condensato le differenze nella composizione genetica e nelle preferenze alimentari tra i Paesi in distanze “genetiche” e “alimentari”, e le hanno confrontate con le distanze geografiche reali tra i luoghi di campionamento, rendendole evidenti in una mappa. Ne viene fori che «La “localizzazione culturale” è leggermente più simile a quella geografica, rispetto a quella “genetica” per i gruppi analizzati, coerentemente con quanto emerso dal resto dei risultati».
La Aneli, principale autrice dello studio e che lavora anche al Dipartimento di scienze della sanità pubblica e pediatriche dell’università di Torino, conclude: «Non importa dove viviamo o dove siamo nati. Le nostre scelte (almeno quelle legate all’alimentazione) dipendono maggiormente dal sesso biologico, dall’età e da altri fattori culturali».