Sistri, luci ed ombre del nuovo schema di decreto ministeriale di semplificazione
[12 Marzo 2014]
Dopo che l’ultimo decreto Milleproroghe (decreto legge 30 dicembre 2013, n. 150 come modificato dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15) ha protratto per tutti i soggetti interessati i termini di scadenza della fase del c.d. “doppio regime documentale” fino al 31 dicembre 2014[1], posticipando – di fatto – ancora il momento della piena operatività del sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti, torniamo a parlare del Sistri.
Come da notizia pubblicata sul sito ufficiale www.sistri.it, in data 28 febbraio 2014 è stato diramato dal Ministero dell’Ambiente, del Territorio e della Tutela del Mare uno schema di Decreto che, in caso di approvazione senza modifiche rispetto alla bozza circolata, andrebbe a ridefinire le categorie dei soggetti obbligati ad aderire al Sistri, ma non solo…
Precisando da subito che si tratta ancora di un testo non ufficiale (e dunque suscettibile anche di profonde modifiche), vediamo qual è la portata innovativa di tale provvedimento, ma soprattutto interroghiamoci sulla sua legittimità.
A mio avviso, i provvedimenti importanti del decreto sono due:
A) Ridefinizione dei soggetti – produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi – obbligati ad aderire al Sistri
Nell’ambito della “categoria” dei produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi il decreto, con l’art. 1, restringerebbe l’obbligo di adesione al SISTRI ai seguenti soggetti:
a) gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi da attività agricole ed agroindustriali, esclusi gli enti e le imprese che producono rifiuti speciali pericolosi da attività di cui all’articolo 2135 del codice civile e conferiscono i propri rifiuti nell’ambito di circuiti organizzati di raccolta;
b) gli enti e le imprese con più di dieci dipendenti produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere b), c), d), e), f) ed h), del d.lgs. n. 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni;
c) gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi che effettuano attività di stoccaggio di cui all’articolo 183, comma 1, lettera aa), del d.lgs. n.152 del 2006;
d) gli enti e le imprese che effettuano la raccolta, il trasporto, il recupero, lo smaltimento dei rifiuti urbani nella Regione Campania (in questo caso l’obbligo di adesione interessa la gestione dei rifiuti urbani sia pericolosi che non pericolosi).
Nonché si precisa che anche gli enti e le imprese, con più di dieci dipendenti, produttori di rifiuti speciali pericolosi derivanti dalle attività di pesca e acquacoltura, di cui agli articoli 3 e 4 del D.Lgs. n. 4/2012 sarebbero obbligati all’adesione al sistema di controllo informatico.
Per gli enti e le imprese produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi che, invece, non sono obbligati ad aderire al Sistri, ovvero che non vi aderiscono volontariamente, viene precisato che restano fermi gli adempimenti e gli obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico e scarico e del formulario.
B) deposito di rifiuti in caso di trasporto intermodale
L’art. 2 del decreto in esame ridefinisce le modalità di deposito dei rifiuti nell’ambito di attività intermodale di carico e scarico, di trasbordo, e di soste tecniche all’interno di porti, scali ferroviari, interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci.
Si delinea una disciplina del deposito di rifiuti legata alle attività di trasporto intermodale molto semplificata, ove si allungano i termini temporali fino a quarantacinque giorni. Un termine, dunque, molto più lungo rispetto a quello fissato dalla disciplina generale detta dall’art. 193, comma 12, D.Lgs. n. 152/06 (come riscritto dal D.Lgs. n. 205/2010) che di giorni ne prevede solo sei (che poi possono diventare trenta, ma solo se intervengono casi fortuiti o di forza maggiore).
Tale disposizione viene connessa all’art. 188-ter, comma 1, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 152/2006, ove si dispone che: “con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sono definite le modalità di applicazione a regime del SISTRI al trasporto intermodale”
Dunque – anche se poi la formulazione della disposizione del decreto ministeriale su questo aspetto non sembra essere molto chiara – si deve ritenere che comunque il regime delineato dall’art. 2 cit. riguardi esclusivamente i rifiuti che viaggiano secondo le regole del SISTRI. Perché chiaramente la disposizione del D.Lgs. n. 152/06 richiamata (e cioè l’art. 188-ter, comma 1, ultimo periodo) legittima – con lo strumento del decreto ministeriale – solamente una regolamentazione delle modalità di applicazione del Sistri al trasporto intermodale, e non prevede certamente una ridefinizione del regime normativo del trasporto intermodale e delle connesse soste tecniche afferente ai tutti i rifiuti in generale.
L’interpretazione più restrittiva verrebbe, comunque, anche confermata dal fatto che lo stesso comma 7 dell’art. 2 del decreto ministeriale richiama l’osservanza del rispetto degli adempimenti del SISTRI: “Restano fermi gli obblighi e gli adempimenti del trasportatore, dell’intermediario nonché degli altri soggetti ad esso equiparati, riguardo alla compilazione ed alla sottoscrizione delle schede SISTRI di rispettiva competenza.”.
Dopo di che, andando ad analizzare nel dettaglio la disposizione in parola leggiamo come il comma 1, dell’art. 2, del decreto recita: “Il deposito di rifiuti nell’ambito di attività intermodale di carico e scarico, di trasbordo, e di soste tecniche all’interno di porti, scali ferroviari, interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci, effettuato da soggetti ai quali i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un’impresa navale o ferroviaria o che effettua il successivo trasporto, è un deposito preliminare alla raccolta a condizione che non superi il termine finale di quarantacinque giorni.”: cosa vuol dire? Tenuto conto che tali depositi – avendo luogo proprio nel contesto della fase del trasporto – sono tutti successivi ad una prima attività di raccolta e trasporto… e dunque si collocano tutti nel contesto della “gestione dei rifiuti”.
Se si vanno a leggere i vari “considerando” del nuovo decreto ministeriale si può probabilmente intuire che chi ha redatto il presente testo vorrebbe intendere i depositi che si effettuano nell’ambito delle attività intermodali alla stregua di “deposi temporanei” (cioè depositi che non necessitano di alcuna autorizzazione), ma che – peraltro – non devono neanche soggiacere alle condizione del deposito temporaneo; ecco perché vengono identificati come “depositi preliminari alla raccolta” (e non “depositi temporanei”…).
Per sostenere la legittimità di tale operato si richiamano alcuni considerando della Direttiva 2008/98/CE ove il legislatore europeo invita gli Stati membri ad operare, nella loro normativa interna, una distinzione tra il deposito preliminare dei rifiuti in attesa della loro raccolta, la raccolta di rifiuti e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento. Precisando che gli enti o le imprese che producono rifiuti durante le loro attività non dovrebbero essere considerati impegnati nella gestione dei rifiuti e soggetti ad autorizzazione per il deposito dei propri rifiuti in attesa della raccolta (considerando n. 15).
Inoltre, sempre il legislatore europeo nel successivo considerando n. 16 della Direttiva auspica che venga operata una distinzione tra il deposito preliminare di rifiuti in attesa della raccolta e il deposito di rifiuti in attesa del trattamento, tenuto conto dell’obiettivo della presente direttiva, in funzione del tipo di rifiuti, delle dimensioni e del periodo di deposito e dell’obiettivo della raccolta.
Viene ripresa, poi, anche la definizione di “raccolta” contenuta nel testo della Direttiva, che recita: “il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito preliminare, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento” (così art. 3, punto 10); mentre negli Allegati I e II alla Direttiva stessa, in calce alle rispettive voci D15 e R13 vi è un richiamo* – che peraltro ha suscitato già in passato non poche perplessità e sollevato molteplici dubbi interpretativi – che riporta “Il deposito temporaneo è il deposito preliminare a norma dell’art. 3, punto 10”.
Ora, ricostruito il quadro normativo di riferimento delineato nelle premesse contenute nello schema di decreto ministeriale, bisogna comunque dire che una distinzione nel senso indicato dalla normativa europee è stata, in qualche modo, fatta dal nostro legislatore nazionale. La nostra normativa nazionale di settore ha, infatti, da sempre operato una distinzione tra il “deposito temporaneo”, che rappresenta una deroga al sistema ordinazione dello stoccaggio e si colloca al di fuori della “gestione dei rifiuti” in una fase antecedente la raccolta ed il trasporto e che – se rispetta tutte le condizioni di legge – non è soggetto ad autorizzazione, ed il “deposito preliminare” che, invece, si colloca nel contesto della “gestione dei rifiuti” e rappresenta una forma di stoccaggio dei rifiuti che deve essere autorizzato (“deposito preliminare” se i rifiuti poi vengono inviati allo smaltimento, altrimenti si parla di “messa in riserva” se i rifiuti poi vengono inviati verso attività di recupero).
Ed, infatti, poi al momento di recepire le disposizioni della Direttiva 2008/98/CE nel nostro ordinamento interno si è tenuto conto di questa scelta del nostro legislatore, è pertanto la definizione attualmente vigente nel nostro Paese di “raccolta” non riproduce esattamente quella del testo della Direttiva ove si parla anche di “deposito preliminare”, ma recita: “raccolta: il prelievo dei rifiuti, compresi la cernita preliminare e il deposito, ivi compresa la gestione dei centri di raccolta di cui alla lettera “mm”, ai fini del loro trasporto in un impianto di trattamento” (art. 183, comma 1, lett. o D.Lgs. n. 152/06), proprio per restare coerente con la scelta (legittima) operata fin dall’inizio dal nostro legislatore e non alimentare possibili ambiguità di interpretazioni. Ed è questa disposizione che vige attualmente in Italia. Quindi ci sembra ora improprio richiamare la disposizione europea per legittimare nel nostro ordinamento interno un “deposito preliminare” che si vorrebbe sottratto agli obblighi dello stoccaggio.
Peraltro tutto questo fatto con uno strumento – come un decreto ministeriale – che è un provvedimento meramente regolamentativo e che non può derogare alla legge statale.
Possiamo sicuramente essere d’accordo sul fatto che si voglia venire incontro alle esigenze di chi opera nei contesti dei trasporti intermodali, apportando delle semplificazioni e prevedendo delle apposite deroghe al sistema generale di gestione dei rifiuti. Ma le deroghe previste per un singolo settore non possono configurarsi come uno stravolgimento delle regole base che sovrintendono l’intero sistema di gestione dei rifiuti…
Invece di parlare di “deposito preliminare alla raccolta” (introducendo, di fatto, una nuova figura giuridica nel nostro ordinamento di settore, peraltro in contrasto con tutto il sistema della disciplina nazionale relativa agli stoccaggi), sarebbe – a mio avviso – molto più opportuno delineare la disciplina di deroga per i depositi effettuati nel contesto del trasporto intermodale soggetto al SISTRI negli stessi termini che la legge nazionale ha usato per disciplinare in deroga la stessa fattispecie al comma 12 del riscritto art. 193 D.Lgs. n. 152706, e cioè prevedere che le attività di carico e scarico, di trasbordo, nonché le soste tecniche all’interno dei porti e degli scali ferroviari, degli interporti, impianti di terminalizzazione e scali merci non rientrano nelle attività di “stoccaggio”, effettuate da soggetti ai quali i rifiuti sono affidati in attesa della presa in carico degli stessi da parte di un’impresa navale o ferroviaria o che effettua il successivo trasporto, non rientrano nelle attività di “stoccaggio” a condizione che non si superi il termine finale di quarantacinque giorni.
In questo modo si avrebbe comunque una deroga alla regola dello stoccaggio, ma non si rischierebbero pericolose derive interpretative sulla configurazione dei depositi preliminari…
***
Dopo aver visto a grandi linee i contenuti più importati dello schema del nuovo decreto ministeriale di semplificazione del SISTRI (che ribadiamo, non è un testo definitivo) è opportuno, comunque, fare una ulteriore e conclusiva considerazione.
Abbiamo già detto che l’art. 2 della bozza di decreto ministeriale in esame riporta delle disposizioni attuative dell’art. 188 ter, comma 1, ultimo periodo del D.Lgs. n. 152/06; così come l’art. 1 del decreto (che restringe ulteriormente le categorie dei soggetti obbligati ad aderire al SISTRI) sarebbe attuativo dell’art. 188 ter, comma 3, del D.Lgs. n. 152/06. Ma in generale tutto il decreto in esame è connesso all’art. 188 ter del D.Lgs. n. 152/06 e da cui trae origine e legittimità.
Orbene, ci sembra opportuno ricordare che all’art. 16, comma 2, del D.Lgs. 205/2010 è previsto che le seguenti disposizioni che modificano la Parte quarta del D.Lgs. n. 152/2006 entrano in vigore a decorrere dal giorno successivo alla scadenza del termine di cui all’art. 12, comma 2 del D.M. 17 dicembre 2009 e successive modificazioni, cioè, in pratica, allo scadere della fase transitoria del c.d. “doppio regime documentale”:
– art. 188 (Responsabilità della gestione dei rifiuti)
– art. 188 bis (Controllo della tracciabilità dei rifiuti)
– art. 188 ter (Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti -SISTRI)
– art. 189 (Catasto dei rifiuti)
– art. 190 (Registri di carico e scarico)
– art. 193 (Trasporto rifiuti)
Ormai è cosa nota che tutte le nuove disposizioni dettate dai suddetti articoli – compreso l’art. 188 ter a cui si collega il nuovo decreto ministeriale – non sono mai ancora entrate in vigore, poiché con vari provvedimenti successivi la piena operatività del SISTRI – a cui soggiace l’entrata in vigore delle suddette nuove disposizioni – è stata di volta in volta sempre posticipata, fino all’ultimissima proroga dettata dall’ultimo decreto Milleproroghe (D.L. n. 150/2013) che l’ha prolungata ancora fino al 31 dicembre 2014.
E, dunque, ora vi è da chiedersi: come è possibile che si possa emanare un decreto ministeriale attuativo di una disposizione statale normativa che non è ancora in vigore? Peraltro un decreto che – come abbiamo potute vedere – incide anche in modo significativo nel contesto della normativa nazionale di settore. Quale legittimità può avere un tale decreto se la stessa norma da cui trae origine non è mai stata in vigore fino ad ora?
Valentina Vattani
[1] Per un approfondimento si rimanda a V.VATTANI “Nel decreto Milleproroghe una proroga anche per il SISTRI… Ma vediamo in quali termini e qual è il punto della situazione oggi” pubblicato il 2 marzo 2014 su www.dirittoambiente.net