Alluvione nelle Marche: ancora un disastro annunciato
[5 Maggio 2014]
Nelle Marche si sono registrano l’ennesima emergenza maltempo e le ennesime vittime e il marchigiano Piero Farabollini, consigliere nazionale dei Geologi, sottolinea che «Ancora una volta, nelle Marche, la pioggia sta facendo danni incalcolabili. Ma dopo gli ultimi eventi del novembre 2013, del dicembre 2013 e dal febbraio 2014, cosa è stato fatto? Nelle Marche il dissesto idrogeologico si attiva appena dopo poche gocce di pioggia. Stiamo pagando perché non si sta facendo nulla di serio e programmatico, nulla che favorisca la qualità e l’efficacia degli interventi di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico e come al solito non si parla mai di prevenzione».
Luigino Quarchioni e Francesca Pulcini, rispettivamente presidente e vice presidente di Legambiente Marche, commentano con amarezza: «Uscire dall’emergenza e programmare la messa in sicurezza del territorio: sono questi gli obiettivi urgenti per il nostro territorio che amministratori, cittadini e forze sociali devono raggiungere insieme. Nonostante questi eventi siano sempre più frequenti, al momento di decidere dove e come investire le principali risorse per questa Regione, vincono sempre le grandi infrastrutture che invece di rendere più sicuro, forte e competitivo il nostro territorio, lo indeboliscono e lo rendono più fragile allontanando sempre la vera grande opera di cui le Marche hanno bisogno, cioè la messa in sicurezza».
Secondo i dati del ministero dell’mbiente i Comuni marchigiani classificati a rischio idrogeologico sono 236, di cui 124 a rischio frana, 1 a rischio alluvione e 111 a rischio frana e alluvione. Secondo lo studio sul consumo di sullo nella costa marchigiana realizzato da Legambiente, «Il paesaggio costiero marchigiano ha conosciuto negli ultimi decenni una forte urbanizzazione che oggi vede circa il 60% della fascia litoranea scomparsa sotto il cemento». Con questi dati alla mano Quarchioni e Pulcini concludono: «È necessario e urgente cambiare passo nella gestione e governo del territorio, fermando il consumo di suolo e pianificando interventi strutturali per la messa in sicurezza delle nostre città e delle aree più a rischio. Accanto a questo è necessario rimettere al centro il ruolo strategico dell’agricoltura e della manutenzione dei corsi d’acqua e lavorare con i cittadini e le forze sociali affinché la corretta gestione del territorio e l’attività di prevenzione dal rischio siano l’obiettivo di tutta la comunità».
Anche secondo Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, candidati di Green Italia Verdi Europei alle elezioni europee, «Gli smottamenti e le frane causate dalla pioggia caduta nelle ultime ore nelle Marche confermano la fragilità del territorio italiano, con l’82% dei comuni in situazioni a rischio e oltre la metà della popolazione che vive in aree soggette a frane ed alluvioni. Il dramma della persona morta per l’allagamento della strada che ne ha impedito il soccorso è l’ennesimo tragico tributo all’incuria del territorio e alla mancata prevenzione. Lo Stato spende ben 2 miliardi di euro ogni anno per tamponare i danni dopo un incidente o l’ennesima emergenza maltempo. Negli ultimi 80 anni in Italia ci sono state 5.400 alluvioni e ben 11 mila frane, e occorre superare l’approccio emergenziale ai danni causati del maltempo, e approntare piuttosto un piano organico di interventi per la messa in sicurezza del territorio: dal contenimento delle frane, alla sistemazione delle pendici, alla regolazione di torrenti e corsi d’acqua, alla bonifica idraulica, al definitivo no ad ogni ipotesi di condono di immobili costruiti in zone a rischio. Per cominciare da subito a rendere più sicuro il nostro Paese, attivando un ciclo occupazionale positivo, occorre mettere mano ai 1,6 miliardi di euro già disponibili, e reperire nuove risorse per la riduzione del rischio idrogeologico, utilizzando i fondi europei e il fondo sviluppo e coesione del 2014-2020. Occorre infine prevedere l’esclusione degli investimenti per la prevenzione dal Patto di stabilità interno degli enti territoriali».
Farabollini spiega che «In Italia 6 milioni di persone vivono nei 6631 comuni che presentano almeno una situazione di elevato rischio idrogeologico. Nel nostro Paese vi sono 29.500 Kmq ad alta criticità idrogeologica. Dall’inizio del ‘900 ad oggi abbiamo avuto più di 4000 eventi gravi, di cui 1600 hanno prodotto vittime, gli sfollati sono stati più di 700.000 ed incalcolabili i danni all’economia italiana. In Italia più di 6000 edifici scolastici sono in aree potenzialmente ad elevato rischio idrogeologico . Nelle Marche il 10% delle scuole è in aree potenzialmente ad elevato rischio idrogeologico. Ma quale è la causa? Il territorio marchigiano ha dovuto subire più volte, con sempre maggior frequenza, eventi disastrosi legati a precipitazioni meteoriche considerate anomale (che per effetti mediatici vengono definite “bombe d’acqua”) ma che di anomalo hanno solamente il fatto che si ripropongono con tempi di ritorno molto più brevi rispetto al passato, e non certo per la quantità di pioggia caduta. E ci risiamo, con l’aggravante degli scarsi interventi riguardo la pianificazione e programmazione territoriale: fossi ostruiti, alvei dei fiumi completamente pieni, alberi caduti, fossi demaniali in condizioni pietose, fogne otturate da detriti. Inoltre per le strade erba alta 1 metro e mezzo, fossi di banchina inesistenti, tratti di scarpata a rischio frana.Queste piogge hanno riproposto situazioni e criticità già note per la loro ricorrenza, a cui se ne sono aggiunte di nuove come conseguenza della crescente antropizzazione, del sempre più manifesto abbandono dei coltivi, della carenza di interventi manutentori del territorio, dell’inesistente pulizia ordinaria e straordinaria dei fiumi e dei torrenti».
Il geologo ricorda che «In Italia dal 2009 al 2012 i fondi per il rischio idrogeologico sono passati da 551 ad 84 milionidi euro. La naturalità dei fiumi e delle piane alluvionali dove il fiume stesso scorre, è stata via via modificata se non completamente cambiata attraverso restringimenti di alveo, cementificazione degli argini, impermeabilizzazione delle aree golenali dei fiumi, rettificazioni e modificazioni della sinuosità, interruzioni dei deflussi, realizzazione di canalizzazioni e di opere in cemento armato e/o in muratura. Questi interventi si sommano a quelli
che vedono la modificazione dei versanti attraverso l’abbandono dei coltivi, alla carenza di opere di contenimento dall’erosione meteorica e di sistemazione idraulica, alla mancanza di manutenzione dei fossi di scolo di raccordo con il reticolo idrografico minore e di quest’ultimo con il fiume stesso».
Farabollini conclude tracciando un quadro degli interessi che stanno soffocando ed annegando il nostro Paese: «Alla fragilità naturale del territorio, si sono sommati: urbanizzazione selvaggia, scellerato consumo del suolo, disboscamenti senza programmazione, quartieri costruiti negli alvei, disprezzo e violazione di ogni norma di pianificazione. La manutenzione ordinaria e straordinaria, permette, in prima battuta, di mantenere il corso d’acqua in grado far defluire le piene ordinarie; nel caso in cui, come in questi giorni, gli eventi meteorici siano concentrati in poche ore, la sola manutenzione ordinaria non è più sufficiente, date le caratteristiche morfologiche dei fiumi e degli alvei, notevolmente trasformate rispetto al passato. Ecco quindi che bisogna ragionare in termini di “ripristino degli spazi di pertinenza fluviale” e di “programmazione territoriale” in funzione dei tanto conclamati “cambiamenti climatici”. Il territorio è la più grande infrastruttura, la sua salvaguardia non può più aspettare, non è possibile prescindere dall’attuazione di misure rigide e ragionate finalizzate a garantire ad ampio raggio adeguati interventi nell’ottica di un concreto cambio di rotta. Solo quando la cultura della emergenza sarà radicalmente sostituita da quella della prevenzione potremo ritenerci soddisfatti. L’abusivismo e l’illegalità sono stati tra le cause principali dello scempio del nostro territorio, con i conseguenti conteggi di danni, distruzioni e lutti. L’emergenza permette di gestire una gran mole di fondi che vanno in deroga a qualsiasi norma sugli appalti pubblici e, soprattutto, che altrimenti non sarebbero disponibili».
Foto tratta da www.civitanovalive.it