«La crisi non lo frena. in 3 anni divorata un’area grande come 5 capoluoghi di regione»

Consumo di suolo, sorprendente rapporto Ispra

[26 Marzo 2014]

Il primo rapporto Il consumo di suolo in Italia presentato oggi dall’Ispra conferma l’avanzata del cemento a discapito delle aree naturali e agricole e ricostruisce l’andamento – dal 1956 al 2012 – del consumo di suolo in Italia. L’indagine, la più significativa collezione di dati a livello nazionale, analizza i valori relativi alla quota di superficie “consumata”, fornendo un quadro completo del fenomeno.

Il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti ha detto che »Difendere il suolo dalle aggressioni indiscriminate significa tutelare non solo una risorsa economica strategica, ma anche proteggere il Paese dalla minaccia del dissesto idrogeologico che, proprio a causa dell’uso dissennato del territorio, spesso ha conseguenze gravissime, soprattutto in termini di perdita di vite umane. Per questo il Rapporto dell’Ispra assume particolare rilievo; è la dimostrazione che in Italia esiste un sistema pubblico in grado di assicurare elevati standard di qualità nel monitoraggio dell’ambiente e di rendere disponibile una base informativa utile alla valutazione del fenomeno».

E di lavoro Galletti e il governo Renzi ne hanno molto da fare visto che il rapporto conferma un disastro ambientale, economico e sociale italiano con cifre e dati che non lasciano spazio a dubbi su quanto è successo e sta ancora accadendo nel nostro Paese: «Non accenna a diminuire, anche nel 2012, la superficie di territorio consumato: ricoperti, negli ultimi 3 anni, altri 720 km2 , 0,3 punti percentuali in più rispetto al 2009, un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo. In termini assoluti, si è passati da poco più di 21.000 km2 del 2009 ai quasi 22.000 km2 del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3% del nostro territorio».

Ispra sottolinea che «Nonostante la crisi, è ancora record. A dimostrarlo, anche la velocità con cui si perde terreno che, contrariamente alle aspettative, non rallenta e continua procedere al ritmo di 8 m2

al secondo. Ma non è solo colpa dell’edilizia. In Italia si consuma suolo anche per costruire infrastrutture, che insieme agli edifici ricoprono quasi l’80% del territorio artificiale (strade asfaltate e ferrovie 28% – strade sterrate e infrastrutture di trasporto secondarie 19%), seguite dalla presenza di edifici (30%) e di parcheggi, piazzali e aree di cantiere (14%)».

Sono Lombardia e Veneto, con oltre il 10%, le regioni con il “primato nazionale” della copertura, seguite da re Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia che si collocano tutte tra l’8 e il 10%. I comuni più cementificati d’Italia si confermano Napoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%), Monza (48,6%), Bergamo (46,4) e Brescia (44,5).

Il rapporto evidenzia che gli impatti di questa colata infinita di cemento sui cambiamenti climatici sono forti: «La cementificazione galoppante ha comportato dal 2009 al 2012, l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2 – valore pari all’introduzione nella rete viaria di 4 milioni di utilitarie in più (l’11% dei veicoli circolanti nel 2012) con una percorrenza di 15.000 km/anno – per un costo complessivo stimato intorno ai 130 milioni di euro».

Il rapporto sottolinea anche «La trasformazione del suolo agricolo in cemento non produce impatti solo sui cambiamenti climatici, ma anche sull’acqua e sulla capacità di produzione agricola. In questi 3 anni, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.750 tonnellate per ettaro – circa 400 mm di precipitazioni – per via della conseguente impermeabilizzazione abbiamo perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendo infiltrarsi nel terreno, deve essere gestita. In base ad uno studio del Central Europe Programme, secondo il quale 1 ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro (solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature), il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012, è stato stimato intorno ai 500 milioni di Euro. Ancora, il consumo di suolo produce forti impatti anche sull’agricoltura e quindi sull’alimentazione: solo per fare un esempio, se i 70 ettari di suolo perso ogni giorno fossero coltivati esclusivamente a cereali, nel periodo 2009-2012 avremmo impedito la produzione di 450.000 tonnellate di cereali, con un costo di 90 milioni di Euro ed un ulteriore aumento della dipendenza italiana dalle importazioni».

All’Ispra spiegano che «Il report rappresenta un valido strumento per l’individuazione di strategie utili a contrastare le minacce dovute alle attività antropiche. è solo attraverso la conoscenza dell’intero sistema e dei processi che lo governano che sarà possibile porre le basi per interventi concreti sulle cause del suo deterioramento ed alterazione. Il Rapporto dell’Ispra non si configura soltanto come raccolta di dati e informazioni validate, rese interoperabili e condivise, ma sarà un tassello fondamentale, con il contributo di tutti gli altri soggetti istituzionalmente preposti, per fornire una visione complessiva dei processi fisici, chimici e biologici che governano il suolo e l’ambiente nella sua totalità, a supporto di chi dovrà decidere e operare scelte in questi settori.

I ricercatori dell’Ispra a hanno messo a punto anche un’App per segnalare nuove perdite di terreno: attraverso uno smarthphone, basta inserire coordinate e foto per vederle subito on line sulla mappa dell’Ispra (www.consumosuolo.isprambiente.it).

Per Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente: «È ora di dire basta al consumo di suolo e di iniziare quella strada del cambiamento che si chiama rigenerazione urbana, un nuovo modo di concepire e tutelare il territorio, gli spazi urbani in chiave sostenibile puntando sulla riqualificazione edilizia, energetica e antisismica del patrimonio esistente. La prima scelta indispensabile da fare è quella di abolire la legge Obiettivo con il suo infinito elenco di strade e autostrade, perché le ‘grandi opere’ che servono all’Italia sono già nelle città e nella mobilità su ferro».

«È urgente – continua Di Simine – invertire la rotta, attraverso una strategia concertata: non si ferma il consumo di suolo per decreto, ma attraverso una politica economica più virtuosa e sostenibile. È ora di finirla di spolpare le casse pubbliche e il territorio per estendere più del dovuto la maglia stradale, bisogna lavorare sulle infrastrutture esistenti per migliorare l’efficienza, anche energetica, della mobilità e della logistica, con enormi vantaggi per l’ambiente e per l’economia».

Da Legambiente arriva anche un forte richiamo all’Esecutivo Renzi, dopo che i tentativi di dotare il nostro Paese di una normativa sul consumo di suolo sono ripetutamente naufragati nei cambi di Governo e di legislatura. «Fa bene il ministro dell’ambiente Galletti – conclude Di Simine – a richiamare il Parlamento sull’urgenza dell’approvazione del ddl sul consumo di suolo: vogliamo però che questo non resti un auspicio, ma rappresenti un imperativo di legislatura, un impegno non secondario rispetto a quello di risanare i conti dello Stato e rilanciare l’economia».