Negli ultimi 20 anni abbiamo perso 100 chilometri di coste e il doppio di retrospiagge

Ispra: continua la corsa alla costruzione di nuove strutture, con il 13% di linea costiera già oggi artificializzato

[25 Maggio 2022]

Dopo due decenni di studio dei litorali nazionali, il Centro nazionale per la difesa delle coste dell’Ispra ha presentato oggi la banca dati Linea di costa italiana 2020, dalla quale emerge una progressiva artificializzazione dei nostri litorali.

Mentre Parlamento e Governo sono ancora incagliati nel dibattito in corso sulle concessioni balneari, il ritardo pluridecennale della politica nel governare il tema è reso evidente dai dati.

Grazie a quelli messi in fila dall’Ispra sappiamo che la linea di costa italiana misura circa 8.300 Km, di cui il 13% è occupato da opere artificiali come porti, opere di difesa costiera, opere idrauliche di impianti industriali, strutture artificiali a supporto della balneazione.

Gli aspetti più rilevanti ad emergere dalla banca dati sono due. Il primo mostra che ogni anno abbiamo perso 5 Km di costa naturale negli ultimi 20 anni, a causa della costruzione di nuove strutture artificiali: una misura che equivale all’intero litorale di una località balneare come Fregene. Il secondo è che purtroppo l’artificializzazione è ancora più rilevante nelle zone retrostanti le spiagge, nelle quali ogni anno dune costiere, terreno coltivato, vegetazione e formazioni naturali vengono sostituite da oltre 10 Km di opere antropiche.

Più nel dettaglio, l’Ispra spiega che egli ultimi 20 anni la costa artificializzata è aumentata complessivamente di oltre 100 km. Un discorso parallelo riguarda l’interfaccia tra le spiagge ed il territorio circostante: nell’insieme, la linea di retrospiaggia misura circa 4.000 Km, di cui solo metà restano naturali, mentre oltre il 20% è completamente occupato da opere artificiali, come infrastrutture viarie, abitazioni, lidi, siti produttivi. L’incremento in questo caso è stato di oltre 200 Km negli ultimi 20 anni. Il restante 30% si caratterizza come “urbano sparso”, occupato quindi in maniera parziale e discontinua da opere antropiche.