Terremoto in Turchia: 1,5 milioni di senzatetto. Dovranno essere ricostruite almeno mezzo milione di case

In Siria i profughi sono esposti a temperature estremamente rigide senza acqua potabile, elettricità o combustibile per il riscaldamento

[22 Febbraio 2023]

Mentre il bilancio delle vittime del disastro del terremoto del 6 febbraio e delle successive scosse di “assestamento” ha superato le 41.000 persone solo in Turchia, gli esperti dell’Onu hanno dichiarato che «1,5 milioni di persone sono rimaste senza casa nel sud del Paese, dove dovranno essere costruite almeno 500.000 nuove case».

Nel nord-ovest della Siria, dove sono state colpite fino a 9 milioni di persone si contano più di 6.000 vittime, ma nessuno sa davvero cosa è successo in alcuni villeggi remoti sotto il controllo delle milizie jihadiste.

Louisa Vinton, Rappresentante residente in  Turchia dell’United Nations  Development Programme (UNDP), ha sottolineato che «Questo lo rende chiaramente il più grande disastro sismico nella storia di Türkiye e forse il più grande disastro naturale che il Paese abbia mai affrontato. Il 20 febbraio, altri due terremoti di magnitudo 6,4 e 5,8 della scala Richter hanno ucciso altre persone al confine tra Turchia e Siria, con altre 294 persone ferite e altri pochi edifici crollati nella regione intorno ad Hatay e alcuni sulla costa mediterranea».

In una conferenza stampa, la Viton ha evidenziato l’incredibile portata della sfida della ricostruzione: «Secondo le stime, dovrebbero essere prima rimosse da 116 a 210 milioni di tonnellate di macerie. Per darvi un quadro di riferimento, l’ultimo grande terremoto in Turchia, nel 1999, che ha avuto anche un alto numero di vittime, anche se meno della metà di quello che stiamo vedendo ora, che ha provocato 13 milioni di tonnellate di macerie. In passati disastri dopo terremoti ed esplosioni in Nepal, Haiti, Libano e anche in Ucraina, l’UNDP ha collaborato a progetti per garantire che le macerie vengano trattate in modo sicuro dal punto di vista ambientale. Molte possono essere riciclate per la costruzione e possono anche essere utilizzato come un modo per generare reddito a breve termine». Resta però l’evidenza – che il presidente turco Erdogan cerca di negare e nascondere – di un’urbanizzazione selvaggia, di pessima qualità anche nei materiali utilizzati e quasi sempre abusiva o realizzata in aree ad altissimo rischi idrogeologico e/o sismico.

Intanto, continua la risposta umanitaria internazionale:  dal 9 febbraio, 227 camion carichi di rifornimenti sono passati dlla Turchia, 195 utilizzando il valico di Bab al-Hawa, 22 attraverso Bab al-Salam e 10 attraverso Al Ra’ee.

Da Gaziantep, nel sud della Turchia, Catherine Smallwood, responsabile europea degli eventi sismici per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha  detto che «L’agenzia ha trasportato quasi 100 tonnellate di aiuti attraverso il confine dalla Turchia, oltre ai rifornimenti già pre-posizionati all’interno della Siria. Queste forniture includevano medicinali essenziali, materiali di consumo, farmaci per anestesia, attrezzature chirurgiche e altre forniture mediche per ulteriori 40.000 – 49.000 interventi per coloro che necessitano di supporto chirurgico o supporto medico per lesioni specifiche del terremoto.  55 strutture mediche sono state danneggiate e diverse completamente distrutte, ma 6 cliniche mobili sono state ridistribuite nelle città e nelle comunità intorno a Jindires, una delle aree più colpite nel nord-ovest della Siria.  Si tratta di cliniche itineranti che forniscono supporto e servizi medici direttamente alle popolazioni».

Ci sono anche notizie positive: il regime del presidente siriano Bashir al.Assad ha permesso che aiuti partiti da Damasco raggiungessero Idlib, un’area in gran parte controllata dalle milizie ribelli alleate della Turchia e dove, dopo oltre un decennio di guerra in Siria, 4,1 milioni di persone dipendono quasi interamente dagli aiuti umanitari. Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFRC), conferma: «Domenica 19 febbraio e lunedì 20, tre convogli di assistenza umanitaria della Mezzaluna Rossa Araba Siriana hanno raggiunto Sheikh Maqsood, un’area non controllata dal governo a nord di Aleppo».

Ma il nuovo documento politico “Post-quake Syrian Arab Republic A wake-up call and a time for action” pubblicato dall’United Nations Economic and Social Commission for Western Asia (ESCWA) sollecita «Un’azione rapida e unitaria per affrontare la crisi prolungata. I residenti sopravvissuti al terremoto sono lasciati a temperature estremamente rigide senza acqua potabile, elettricità o combustibile per il riscaldamento e sono esposti al pericolo di edifici fatiscenti mentre cercano un riparo. Le ripercussioni sono particolarmente catastrofiche nel nord-ovest della Siria, dove 4,1 milioni di persone dipendono dagli aiuti umanitari per la sopravvivenza».

La segretaria esecutiva dell’ESCWA, Rola Dashti,  avverte che «I Paesi colpiti da conflitti sono generalmente in svantaggio significativo in termini di preparazione e capacità di far fronte a crisi emergenti e disastri naturali come i terremoti, e la Siria non fa eccezione. L’unità dietro il popolo siriano è un must in questo momento cruciale e difficile. Il terremoto avrà un impatto disastroso sulle già terribili condizioni economiche e sociali causate, tra molti altri fattori, dal conflitto in corso, dalla pandemia di Covid-19 e da una serie di siccità,. Di conseguenza, sempre più persone saranno vulnerabili, povere e sfollate. Prima del terremoto, circa il 56% dei siriani erano già sfollati  interni ed esterni. Mentre tutti ci fermiamo, riflettiamo e rendiamo omaggio e rispetto a coloro che sono morti o sono stati feriti, non possiamo non pensare che più a lungo il conflitto continuerà, più a lungo tutti i segmenti della società siriana saranno più vulnerabili. Con il passare del tempo, affrontare le sfide che i siriani stanno affrontando diventerà più difficile e più costoso sulla scia di questa orribile tragedia più recente».

Il terremoto sembra però aver fatto emergere una solidarietà fra siriani che va oltre le divisioni geografiche e politiche. Oltre agli aiuti esteri, le rimesse dei siriani all’estero sono state fondamentali per provvedere alle persone colpite. Sono state lanciate richieste di soccorso senza nessuna discriminazione tra chi è favorevole o contrario al regime di Damasco. All’ESCWA dicono che «Le iniziative dovrebbero garantire un accesso rapido ed equo all’assistenza umanitaria con un approccio basato su tutta la Siria, indipendentemente dai dilemmi politici e da qualsiasi ostacolo all’accesso agli aiuti». La Dashti aggiunge: «Questa tragedia richiede soluzioni trasformative, innovative e a lungo termine per raggiungere una pace sostenibile per un futuro prospero della Siria. Dobbiamo lavorare collettivamente per rafforzare la resilienza del popolo siriano con l’obiettivo di migliorare i suoi mezzi di sussistenza».

Il documento programmatico dell’ESCWA promuove «Un approccio inclusivo, equo e coerente ai soccorsi come primo passo verso la costruzione della pace e la ripresa della Siria» e fornisce raccomandazioni nell’interesse di tutti i siriani, tra le quali: Facilitare l’accesso agli aiuti umanitari in tutte le parti del Paese e rispondere alle recenti promesse di aumentare e accelerare il sostegno per i soccorsi, nonché per la ripresa a lungo termine, esaminando regolarmente i progressi con l’obiettivo di raggiungere un’efficace ripresa rapida e portare infine alla stabilità e pace. Affrontare le sfide e gli ostacoli al flusso di rimesse con l’obiettivo di ridurre il costo del trasferimento di denaro, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, poiché si prevede che le rimesse aumenteranno e saranno fondamentali per la ripresa post-terremoto. Concentrarsi su un approccio inclusivo e partecipativo ai soccorsi e integrando il genere nella gestione del rischio di catastrofi e concentrarsi sui gruppi vulnerabili, compresi i bambini, gli anziani e le persone con disabilità, che sono colpiti in modo sproporzionato dalle crisi e hanno maggiori probabilità di cadere nella povertà cronica.  Aumentare la resilienza dando la priorità agli sforzi di stabilizzazione e all’aumento della resilienza della comunità e dei mezzi di sussistenza sopportabili individuali in modo sostenibile per garantire il raggiungimento della ripresa a lungo termine. Questo richiederebbe di concentrare, spostare e aumentare le risorse verso iniziative che sosterrebbero questo obiettivo.