«Il Parlamento europeo si inchina alla lobby agroindustriale. Un provvedimento che rischia di vanificare la lotta agli inquinamenti della Pianura Padana»
Emissioni industriali: il Parlamento europeo a favore della riforma, ma non per i grandi allevamenti
Esulta Coldiretti. Coalizione Cambiamo Agricoltura: «Ha vinto il partito dell'inquinamento, e ha perso quello della salute umana e del benessere animale»
[12 Luglio 2023]
Con 396 sì, 102 no e 131 astensioni, il Parlamento europeo ha adottato la sua posizione negoziale sulla direttiva sulle emissioni industriali (IED) e sulla direttiva sulle discariche di rifiuti. Per quanto riguarda il regolamento sul portale delle emissioni industriali, i deputati hanno adottato il loro mandato negoziale con 563 voti a favore, 51 contrari e 18 astensioni.
Il relatore, il democristiano bulgaro Radan Kanev di Demokrati za Silna Balgariya (gruppo PPE) ha dichiarato che «Una migliore protezione dell’ambiente non deve necessariamente portare a più burocrazia. L’innovazione è la chiave per arrivare a un inquinamento pari a zero e per questo abbiamo bisogno di un settore industriale europeo più competitivo. La politica dell’Ue deve essere realistica, economicamente fattibile e non deve minare la competitività. La nostra posizione offre un po’ di respiro alle imprese, dando loro ragionevoli periodi di transizione per prepararsi ai nuovi requisiti, procedure più rapide per le autorizzazioni e flessibilità per sviluppare tecniche all’avanguardia».
Gli eurodeputati hanno sostenuto la proposta della Commissione Ue di estendere l’IED agli impianti minerari e alle installazioni di grandi dimensioni che producono batterie (ad eccezione di quelli che assemblano esclusivamente moduli e pacchi di batterie). La direttiva, una volta adottata definitivamente, obbligherebbe tali impianti a ridurre ulteriormente l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo.
Per quanto riguarda gli allevamenti, i deputati hanno votato per «Mantenere le norme in vigore che coprono gli allevamenti di suini con più di 2.000 posti per la produzione di suini (oltre 30 kg), o con più di 750 posti per scrofe, e quelli di pollame con più di 40.000 posti, nonché le aziende agricole con almeno 750 unità di bestiame (UBA)». Il Parlamento non si è espresso a favore dell’estensione del regime anche agli allevamenti di bovini, come richiesto dalla Commissione Ue che aveva inizialmente proposto una soglia di 150 UBA per tutto il bestiame. Gli eurodeputati hanno sottolineato anche «L’importanza di garantire che i produttori al di fuori dell’UE soddisfino requisiti simili alle norme comunitarie».
Per le associazioni della Coalizione #CambiamoAgricoltura il voto del Parlamento europeo è stata una doccia fredda e accusano gli europarlamentari che «Sotto la pressione delle lobby dell’agribusiness, hanno esentato i grandi allevamenti dall’obbligo di sottostare agli adempimenti della direttiva sulle emissioni industriali. In pratica, un permesso di inquinare a discapito delle oramai note conseguenze per il clima e la salute. Le conseguenze per l’Italia sono rilevantissime, in particolare per la Pianura Padana, area in cui risiede quasi il 70% dell’intero settore dell’allevamento italiano».
Esulta invece il presidente della Coldiretti Ettore Prandini: «Abbiamo fermato in Europa la norma ammazza stalle, con la decisione di lasciar fuori gli allevamenti bovini dalla revisione della direttiva sulle emissioni industriali che salva un settore cardine del Made in Italy». Per prandini, quello votato dall’Europatlamento è «Un testo che va incontro alle richieste di Coldiretti che per prima aveva denunciato l’assurdità scientifica di paragonare le stalle alle fabbriche e avviato su questo una campagna di sensibilizzazione in Italia ed in Europa. Il testo boccia la proposta della Commissione europea di ampliare le attività coperte dalla direttiva agli allevamenti di bovini da 150 capi in su, la quale avrebbe portato alla perdita di posti di lavoro con la chiusura di molti allevamenti di dimensioni medio-piccole, minando la sovranità alimentare ed il conseguente aumento della dipendenza dalle importazioni di prodotti animali da Paesi terzi, che hanno standard ambientali, di sicurezza alimentare e di benessere animale molto più bassi di quelli imposti agli allevatori dell’Unione. O, ancora peggio di spingere verso lo sviluppo di cibi sintetici in provetta, dalla carne al latte cibi sintetici».
Il presidente di Coldiretti ha detto che «Equiparare gli allevamenti, anche di piccole/medie dimensioni, alle attività industriali, sarebbe stato ingiusto e fuorviante rispetto al ruolo che essi svolgono nell’equilibrio ambientale e nella sicurezza alimentare in Europa. Siamo riusciti a fermare un approccio ideologico fondato su dati imprecisi e vecchi che avrebbe avuto impatti negativi sull’ambiente con la perdita di biodiversità, paesaggi e spopolamento delle aree rurali, ora l’esclusione dovrà essere consolidata dopo i negoziati che si apriranno con il Consiglio Ue. La scelta di non gravare con ulteriori oneri sugli allevamenti di suini e pollame va a riconoscere gli sforzi che gli allevatori italiani stanno compiendo per aumentare la sostenibilità delle loro aziende che, su scala globale, sono già quelle che registrano le migliori performance in termini di impatto ambientale e mitigazione dei cambiamenti climatici».
Ma la Coalizione Cambiamo Agricoltura denuncia: «Le lobby per influenzare il voto dei parlamentari hanno usato come principale argomento il fatto che venissero messe in difficoltà piccole aziende familiari. Ma in realtà il testo in votazione estendeva gli obblighi autorizzativi alle sole grandi aziende con più di 300 bovini allevati (meno del 3% del totale), in cui però si concentra gran parte dei capi allevati, stiamo dunque parlando di allevamenti di taglia industriale responsabili del 60% delle emissioni del settore sia climalteranti che inquinanti per acqua, suolo e aria. Le aziende a conduzione familiare non sarebbero state interessate al provvedimento. La messa a rischio delle piccole aziede in Italia non dipende dalle norme Ue, ma dai processi di concentrazione aziendale, per cui i piccoli allevamenti chiudono e gli animali vengono accorpati a enormi mandrie di allevamenti industriali».
Le associazioni spiegano: «Per avere un’idea di quanto “pesino” le emissioni di fonte agrozootecnica, si pensi che in Italia sono ben 330 mila le tonnellate all’anno di ammoniaca gassosa dispersa in atmosfera dal settore agrozootecnico (il 95% di tutte le emissioni di ammoniaca) , e di queste l’80% deriva da allevamenti. Nelle regioni padane, le emissioni di allevamento eguagliano quelle da traffico come fonte primaria di inquinamento da particolato sottile, che resta la prima minaccia alla salute umana causando ogni anno decine di migliaia di morti premature da smog: lasciare immutati gli adempimenti a carico dei grandi allevatori equivale ad una licenza gratuita per continuare ad inquinare, senza obblighi e senza controlli, vanificando così gli sforzi per migliorare la qualità di un’aria fin troppo compromessa. Tutto per compiacere un piccolo numero di grandi allevamenti di taglia industriale».
La Coalizione Cambiamo Agricoltura conclude: «All’Europarlamento è già iniziata la campagna elettorale e a farne le spese sono le norme ambientali che il Green Deal avrebbe dovuto rafforzare. Una norma che attribuisce licenza di inquinare ad un intero settore produttivo, peraltro il più sussidiato dalla Politica Agricola Comune, rappresenta una pietra tombale sull’ambizione di risanamento ambientale delle aree maggiormente gravate dall’allevamento intensivo, Pianura Padana in primis. Ha vinto il partito dell’inquinamento, e ha perso quello della salute umana e del benessere animale».