Blitz oceanico di Greenpeace contro l’industria mineraria in acque profonde (FOTOGALLERY)
La Rainbow Warrior all’attacco nella Clarion Clipperton Zone e gli attivisti nel porto di San Diego
[7 Aprile 2021]
La nave di Greenpeace Rainbow Warrior è entrata in azione nella Clarion Clipperton Zone, nell’Oceano Pacifico centro-orientale, contro lo sfruttamento minerario dei fondali. Gli attivisti hanno esposto striscioni con la scritta “Stop Deep Sea Mining” davanti alla nave Maersk Launcher, noleggiata da DeepGreen, una delle compagnie leader la corsa alle estrazioni minerarie in acque profonde.
Greenpeace ha attuato una seconda protesta pacifica nel porto Usa di San Diego negli Stati Uniti, dove attivisti hanno aperto uno striscione contro la nave noleggiata da un’altra importante compagnia mineraria d’altura, la belga Global Sea Mineral Resources (GSR), che dovrebbe salpare a breve con l’obiettivo di effettuare una serie di test con un prototipo di robot minerario in grado di operare a una profondità di oltre 4.000 metri sui fondali dell’Oceano Pacifico, in acque internazionali.
Sandra Schoettner, biologa delle acque profonde e attivista per gli oceani di Greenpeace, ha ricordato che «Macchinari che pesano più di una megattera sono già in fila per i test sul fondo dell’Oceano Pacifico. Gli scienziati hanno ripetutamente avvertito che l’estrazione in acque profonde avrebbe conseguenze terribili per gli ecosistemi oceanici che a malapena comprendiamo. Con il peggioramento delle crisi climatiche e della biodiversità che ci attendono, l’estrazione mineraria in acque profonde è una minaccia scandalosa per la salute dei nostri oceani. Il mare profondo deve rimanere off-limits per l’estrazione mineraria».
Nel 2020, un’indagine di Greenpeace International aveva rivelato che «Attraverso filiali, subappaltatori e partnership, alcune società hanno stretto contratti di estrazione mineraria in acque profonde, per una superficie complessiva di mezzo milione di chilometri quadrati, nel fondale marino dell’Oceano Pacifico, in acque internazionali».
Nel frattempo, le poche nazioni insulari in via di sviluppo che sponsorizzano questi contratti sono esposte a significative passività finanziarie, che si sommano agli impatti della pesca eccessiva, dell’inquinamento e dell’emergenza climatica.
L’industria mineraria in acque profonde è dominata da una manciata di compagnie del nord del mondo, ma la scorsa settimana, grandi imprese, tra le quali BMW, Volvo, Google e Samsung si sono impegnate a escludere l’uso di minerali estratti dall’oceano. Giorgia Monti, responsabile campagna Mare di Greenpeace Italia, sottolinea che «L’oceano profondo è uno degli ecosistemi meno conosciuti ed esplorati della Terra, ospita una significativa biodiversità ed è un importante deposito di CO2. Gli scienziati hanno ripetutamente avvertito che l’estrazione in acque profonde avrebbe conseguenze terribili per ecosistemi oceanici che quasi non conosciamo. E’ necessario che entro il 2021 si arrivi ad approvare un Trattato globale per gli oceani che garantisca la tutela degli ecosistemi marini e fermi il loro gravissimo sfruttamento. Più distruggiamo i nostri mari, più mettiamo a rischio noi stessi, e le comunità insulari del Pacifico che dipendono da un oceano in salute, sono quelle più esposte».
Molti gruppi della società civile del Pacifico, chiese, leader tradizionali e attivisti di base si oppongono con forza all’estrazione mineraria in alto mare. Gli stati delle isole del Pacifico, tra cui Fiji, Papua Nuova Guinea e Vanuatu, hanno espresso il loro rifiuto di questa attività estrattiva perché rappresenta una minaccia per l’ambiente.
Victor Pickering, attivista delle Fiji a bordo della Rainbow Warrior, sottolinea che «L’oceano fornisce cibo alle nostre famiglie e collega tutti noi abitanti delle isole del Pacifico da un’isola all’altra. La nostra gente, la nostra terra, sta già affrontando le minacce di tempeste estreme, innalzamento del livello del mare, inquinamento da plastica e popolazioni ittiche decimate dalla pesca industriale. Non posso restare in silenzio e guardare un’altra minaccia, l’estrazione in acque profonde, che porta via il nostro futuro».
La Schoettner conclude: «I governi nel 2021 devono concordare un Global Ocean Treaty che metta la protezione al centro della governance globale degli oceani invece dello sfruttamento. Più distruggiamo il fondale marino, più mettiamo a rischio noi stessi, in particolare le comunità insulari del Pacifico che dipendono da oceani sani».