In Perù e Brasile la destra cerca di fermare il ciclo progressista sudamericano con un nuovo tipo di golpismo

Il governo del Perù ha dichiarato lo stato di emergenza in 3 dipartimenti e 5 province

L’ex presidente Sagasti: proteste legittime. Non sono stati condivisi i benefici della crescita economica con le regioni dove sono state prodotte le risorse naturali che l’hanno generata

[16 Gennaio 2023]

Con un decreto supremo, la presidente nominata del Perù, Dina Boluarte, ha dichiarato, a partire dal 15 gennaio e per 30 giorni, lo stato di emergenza  rei dipartimenti di Puno, Cusco e Lima, nella a Provincia Constitucional del Callao, nella provincia di Andahuaylas del dipartamento di Apurímac, nelle province di Tambopata e Tahuamanu del dipartimento di Madre de Dios e nel  distretto di Torata, nella provincia di Mariscal Nieto del dipartimento di Moquegua. La dichisarazione dello stato di en mergenza riguarda anche alcune strade della Red Vial Nacional bloccate dai manifestanti.

Il decreto conferma la scesa in campo diretta dell’esercito per reprimere le manifestazioni contro l’incarcerazione dell’ex presidente di sinistra Pedro Castillo e la nomina da parte del Parlamento della Boluarte che i manifestanti considerano un golpe parlamentare realizzato dalla destra e dall’èlite economica peruviana.  Infatti nel provvedimento si legge che «La Policía Nacional del Perú del Perù mantiene il controllo dell’ordine interno, con il supporto delle Fuerzas Armadas» che devono garantire la sospensione dei diritti costituzionali in  tutti i dipartimenti e le province interessate  e l’immobilizzazione sociale obbligatoria (coprifuoco) di tutte le persone nelle loro abitazioni, nel dipartimento di Puno dalle 20:00 alle 4:00.

Il 15 gennaio, intervistato da La República, il governatore di Puno Richard Hancco  ha accusato la Boluarte di essere una traditrice. Nel messaggio alla nazione, la Boluarte ha presentato i suoi nuovi ministri e ha annunciato la nuova stretta repressiva contro le proteste nel sud del Paese e Hancco ha ricordato che «Dopo aver assunto la carica di presidente, la Boluarte ha fatto marcia indietro sulla promozione di un’assemblea costituente. Deve essere chiara, i miei genitori mi hanno insegnato a non essere un traditore. La gente si è fidata di me per portare avanti lo sviluppo. Ha detto di sì all’Assemblea costituente, con la quale non sono d’accordo. Ha parlato meravigliosamente di Evo Morales (l’ex presidente della Bolivia, ndr) e ora lui è il suo nemico. Ha detto non sarebbe rimasta qui se Pedro Castillo fosse stato lasciato libero e cosa ha fatto? Questo è un brutto segno, un cattivo esempio per cittadini e bambini, come possiamo parlare di valori quando la presidente mente?».

Il 14 gennaio, un gruppo di manifestanti è arrivato nel quartiere Miraflores di Lima – uno tra i più benestanti – per unirsi alle proteste contro il goveno Boluarte. La manifestazione era partita da Plaza San Martín, nel centro di Lima, e durante il percorso e quando ha raggiunto Miraflores ci sono stati scontri e scambi di insulti con la polizia. Già nel pomeriggio, altri gruppi di manifestanti si era radunato al parco Kennedy, dove poi si è svolta una veglia per le vittime della repressione poliziesca dei giorni precedenti.

Per uscire da questo confronto sanguinoso che rischia di portare dritto a una dittatura militare, l’ex presidente del Perù Francisco Sagasti propone due settimane di calma durante le quali il Consejo Interreligioso, che riunisce  16 confessioni impegnate nel sociale, «Raccolga le richieste dei gruppi di protesta e le consegni al Consiglio di Stato, che riunisce i capi di diversi enti pubblici, per articolare risposte».

Sagasti non vuole dare un giudizio sulla  Boluarte come presidente, ma  fa notare che «Ogni governo che affronta una crisi ha il compito di ridare fiducia e infondere speranza. Boluarte ha un compito difficile per ritrovare la fiducia, è abbastanza complicato» e aggiunge che i manifestanti hanno ottime ragioni: «Le richieste legittime derivano dal non aver condiviso i benefici della crescita economica con le regioni dove, in larga misura, sono state prodotte le risorse naturali che hanno generato questa ricchezza. C’è una negligenza e malcontento. E’ legittimo. Così stanno protestando. Non è legittimo distruggere proprietà e fare dichiarazioni che non possono essere soddisfatte. Nel contempo, c’è bisogno più equanimità e moderazione. Con più di 40 morti per azioni sproporzionate, l’indignazione rende difficile mantenere l’equanimità. Con mediatori calmi e credibili, sarebbe possibile».

Pur non avendo evidentemente nessuna simpatia per Castillo, Sagasti  ammette che «Con accuse infondate di frode e molestie, il governo Castillo ha affrontato fin dall’inizio una situazione avversa, ma l’incompetenza, la venalità, la corruzione e l’interesse a creare divisioni hanno portato alla delegittimazione e al tradimento di coloro che avrebbero dovuto rappresentare. Inutile fare promesse e discorsi di piazza, se si tollera la corruzione, si riempiono i ministeri di incompetenti, si smantellano gli apparati pubblici. In qualcuno che rappresenterebbe la maggioranza rurale, questo è un tradimento.

Pur accentando in parte la tesi ufficiale della manipolazione criminale nelle proteste, Sagasti  è però convinto che «Se non ci fosse il malcontento, sarebbe molto difficile mobilitare così tante persone. Incolpare solo i rivoltosi è sbagliato. Dobbiamo riconoscere il malcontento di molti anni». Ma il Congresso del Perù in mano alla destra e ai suoi nuovi alleati non sembra essere in grado di farlo: «Non voglio esprimere un parere se sia all’altezza o meno – dice Sagasti – L’importante è che sia imperativo che lo faccia. Quando ci sono determinate richieste che richiedono risposte, bisogna fare il meglio che si può. La grande domanda è se il Congresso lo stia facendo. Tuttavia lo sta facendo poco. Ci sono alcuni personaggi che prongono cose irrealizzabili».

Secondo il  sociologo Ociel Alí López, analista político y professore all’Universidad Central de Venezuela, i casi del Brasile e del Perù sono un avvertimento dei rischi che corre il ciclo progressista in America Latina: «La polarizzazione, non solo politica ma soprattutto sociale ed etnica, è aumentata in entrambi i Paesi ed è possibile che questi conflitti non possano essere superati nel breve termine. Settori conservatori che sono scesi dal cavallo democratico e istituzionale hanno deciso di ricorrere alla mobilitazione insurrezionale per provocare azioni di forza che disconoscono la legalità e cercano di tornare ai periodi storici di dittature militari».

Per López, dopo aver defenestrato e arrestato il presidente Castillo, la destra peruviana ha consumato un vero e proprio golpe: «Non si tratta più solo del rovesciamento parlamentare del presidente eletto per volontà popolare, bensì dell’instaurazione di un regime autoritario privo di legittimità originaria. Il rovesciamento del presidente ha finito per trasferire il conflitto politico su un nuovo scenario: la strada. Lo scioglimento del Congresso tentato, ingenuamente e inutilmente, dall’ex presidente non è stato il motivo principale del suo rovesciamento».

Mentre il Perù è in rivolta e il Brasile ha sventato (per ora) un colpo di stato, i Paesi del Mercosur sono in un’incertezza che rischia di essere paralizzante e per López «La questione principale è cosa farà Lula come presidente del paese che ha l’economia che, di gran lunga, è la più grande all’interno del gruppo». Mentre il l’annuncio da parte del Dipartimento del tesoro Usa del ritorno della multinazionale Chevron in Venezuela, «Significano una de-escalation e anche un primo smantellamento dell’architettura delle sanzioni che ancora gravano sul Paese latinoamericano. E anche un riconoscimento de facto del presidente Nicolás Maduro».