Il Qatargate (e il Maroccogate), la destra e la sinistra visti da un parlamentare europeo
Uno scandalo che scuote l'eurocrazia e non solo. Rabat è la vera mente del piano di corruzione nelle istituzioni europee
[27 Dicembre 2022]
Il 9 dicembre, è iniziato pubblicamente quello che è già uno dei più grandi casi di corruzione mai scoperti nelle istituzioni europee. E lo ha fatto proprio nel suo centro nevralgico: in prossimità del Parlamento europeo. Più precisamente, a casa di Eva Kaili, eurodeputata socialista greca e vicepresidente del Parlamento europeo, e del suo compagno, Francesco Giorgi, consigliere parlamentare. Altre 15 perquisizioni domiciliari si stavano svolgendo praticamente contemporaneamente in diverse parti di Bruxelles.
Tra gli arrestati finora ci sono i due citati, ma anche Pier Antonio Panzeri (ex europarlamentare socialista italiano e attuale lobbista dell’Ong Fight Impunity), Luca Visentini (recentemente eletto Segretario Generale della Confederazione Internazionale dei Sindacati, carica che ave ricoperto fino ad allora nell’omologa Confederazione Europea) e Niccolò Figà-Talamanca (responsabile della ONG No Peace Without Justice). Nei giorni scorsi ci sono state perquisizioni nelle stanze di parlamentari, con numerosi uffici sigillati e un numero ancora imprecisato di eurodeputate, eurodeputate e assistenti parlamentari coinvolti.
Un’operazione guidata dall’Unità anticorruzione della polizia belga, a seguito di un’indagine che i servizi segreti del Paese, in coordinamento con le loro controparti di almeno altri cinque Paesi europei, avevano aperto dall’inizio del 2021. Come in In molti altri Paesi, all’intelligence belga è proibito (almeno formalmente) indagare su Partiti politici o funzionari eletti. A meno che non si ritenga che vi sia un rischio per la sicurezza nazionale. Come in questo caso, dove gli indizi indicavano presunte “ingerenze straniere” nei processi decisionali legislativi.
Secondo il quotidiano fiammingo De Staandard , a luglio agenti dell’intelligence belga sono entrati di nascosto nell’abitazione dell’ex eurodeputato italiano Panzeri, dove hanno trovato 700.000 euro. Questa scoperta ha dato il via a un’indagine della giustizia belga in quello che è già uno dei più grandi scandali nella storia delle istituzioni europee. A Bruxelles qualcuno oggi ricorda quel marzo 1999 in cui l’intera dirigenza della Commissione europea, guidata da Jacques Santer, si dimise in blocco coinvolta in varie trame di corruzione.
La notizia dell’arresto della vicepresidente Eva Kaili e la scena cinematografica del padre sorpreso a fuggire con borse sportive piene di banconote hanno colto di sorpresa il Parlamento europeo, proprio mentre si preparava a tenere l’ultima sessione plenaria dell’anno a Strasburgo. Prima delle vacanze di Natale. Ma al di là di questo specifico episodio, quello che non ha stupito tanto negli ambienti dell’eurocrazia di Bruxelles è il fatto che uno Stato straniero (o più) abbia cercato di influenzare l’operato dei parlamentari europei.
Bruxelles è la seconda città al mondo con il maggior numero di gruppi di pressione registrati. Non è raro vederli fare la fila per entrare in Parlamento, percorrerne i corridoi o prendere un caffè con un eirodeputato. La lunga storia della loro presenza e attività nelle istituzioni europee ha finito per normalizzarli, dentro e fuori i corridoi. Oggi sono una parte in più dell’ecosistema dell’eurocrazia di Bruxelles. Soprattutto quelli che rappresentano aziende private. Ma non sono le uniche lobby.
Le missioni diplomatiche e le ambasciate tendono a passare, almeno fino ad ora, molto meno inosservate all’attenzione dei media e al controllo pubblico E questo nonostante il fatto che la loro presenza e attività di lobbying siano progressivamente aumentate. E in quest’altra lega di lobbisti sovrani, la delegazione marocchina si distingue come particolarmente attiva e per la sua aggressiva agenda diplomatica nel Parlamento europeo, soprattutto nella sua continua difesa e rinnovamento dell’occupazione illegale del Sahara Occidentale. E, come abbiamo già visto, il Qatargate inizia a Doha ma punta direttamente su Rabat come la vera mente del piano di corruzione nelle istituzioni europee.
Nell’attuale contesto di crisi di legittimità e di governance globale delle organizzazioni multilaterali, le dichiarazioni, audizioni e/o risoluzioni del Parlamento europeo su questioni internazionali, per quanto dichiarative possano essere, stanno acquistando un impatto significativo nei Paesi terzi. Questo ha attirato l’interesse di numerose dittature, con molti soldi e pochi scrupoli, per cercare di utilizzare il Parlamento e gli eurodeputati per riciclare la loro immagine pubblica internazionale o, almeno, per mitigare eventuali critiche che potrebbero uscire dall’Eurocamera. In questo modo, negli ultimi anni sono fioriti numerosi gruppi di amicizia di eurodeputati con le ricche autocrazie del Medio Oriente o con Paesi sotto i riflettori per violazioni dei Diritti Umani come il Marocco o Israele.
Al di là del fatto che, in realtà, questi gruppi non hanno alcun tipo di formalità parlamentare, né controllo o scrutinio pubblico, la vera domanda è quale motivazione politica trova un ufficiale pubblico per appartenere a un gruppo di amicizia con un’autocrazia medievale che imprigiona gli omosessuali, bandisce partiti e sindacati, non tutela le donne e viola sistematicamente i diritti umani e le libertà democratiche? Dao che ci sono seri dubbi che i presunti tentativi di corruzione del Qatar o del Marocco siano circoscritti a un solo gruppo politico, i socialisti, o solo a un pugno di eurodeputati, non sarebbe da escludere che l’inchiesta in corso stia tirando fuori nuovi nomi di quella e di altre istituzioni europee, soprattutto della Commissione europea. Infatti, attualmente i riflettori sono puntati sul commissario europeo e vicepresidente della Commissione, il greco Margaritis Schinas, che ha viaggiato con Kaili in Qatar e che, come la sua connazionale, non ha lesinato in questi mesi elogi pubblici delle autorità qatariote.
Un altro segnale che questo scandalo potrebbe estendersi a molti alte altre aree è il fragoroso silenzio che stanno mantenendo gli altri grandi gruppi del Parlamento europeo. Il Partito popolare europeo ha solo timidamente minacciato di isolare il gruppo socialista nel suo insieme. Potrebbe essere perché non sono sicuri di non essere coinvolti in questo o altri scandali sotto inchiesta. Ma anche perché sono i primi ad essere interessati a non alimentare un incendio che potrebbe bruciare una casa comune oggi contesa. Meglio indicare solo alcune mele marce piuttosto che presumere che ci troviamo di fronte a un problema strutturale: un quadro istituzionale opaco e lontano dal controllo dei cittadini che favorisce questo tipo di pratica.
E qui si apre un varco per un campo di battaglia molto più profondo: chi ha tradizionalmente difeso un modello federale europeo, guidato da una Commissione e un Parlamento sempre più competenti e potenti, ha fondato la propria scommessa sul fatto che le istituzioni europee sono una garanzia non solo contro i nazionalismi e il loro egoismo e bellicosità, ma anche contro le pratiche corrotte che permeano gli stati nazione tradizionali. Dalla Democrazia Cristiana a gran parte dei neoprogressisti, inclusi liberali, verdi e socialdemocratici, uno scandalo come questo colpisce la linea di galleggiamento della legittimità del loro modo di intendere la costruzione del progetto europeo. Ma ci sono altri modelli che rimescolano le braci in modo che la fiamma cresca. Ma ci sono altri modelli che attizzano le braci in modo che la fiamma cresca. Lo stesso Orban o la Le Pen hanno già segnalato dall’inizio dello scandalo l’ipocrisia di una Bruxelles corrotta che cerca di controllare gli Stati membri, riferendosi alle accuse di corruzione e violazione dello stato di diritto nei confronti dell’Ungheria. Dalle diverse estreme destre che abitano l’Europarlamento, ai settori in via di radicalizzazione della famiglia popolare europea, negli ultimi anni si sta preparando una mutazione da posizioni euroscettiche verso un euroriformismo in chiave conservatrice che, vista l’ascesa delle sue posizioni nei diversi Stati membri e nello stesso Parlamento, si chiedono: perché distruggere un’Ue che possiamo co-governare? Ma, ovviamente, non in quel formato federale così tipico del neoliberismo progressista . L’Ue dei diritti è l’Unione dei suoi Stati, la famosa Europa delle patrie di de Gaulle. Cioè un modello intergovernativo più in linea con gli Stati Uniti d’Europa che con l’Unione Europea degli Stati. Un modello in cui i governi nazionali manterrebbero il grosso dei poteri e si coordinerebbero tra loro attraverso il Consiglio europeo, senza cedere sovranità a una Commissione o a un Parlamento che vengono identificati come il globalismo perverso all’Europa dall’Internazionale Reazionaria del Vecchio Continente.
Le nuove destre in auge non vogliono più rompere o uscire dall’Ue, ma vogliono rompere con un modo finora egemonico di costruire il progetto europeo. Il loro problema non è l’Ue, ma Bruxelles , quella versione europea del nuovo ordine mondiale afflitto da politici corrotti e privilegiati che, così egocentrici come sono nella loro bolla eurocratica, non conoscono la realtà dei popoli d’Europa. E uno scandalo come il Qatargate apre una porta succosa per ridurre i poteri del Parlamento europeo e, guarda caso, di quei dispositivi fastidiosi come le risoluzioni sulle emergenze dei diritti umani nel mondo che potrebbero sconvolgere qualche lontano alleato. Così, con la scusa dell’ingerenza straniera conseguente al Qatargate, il Ppe [gruppo popolare europeo] ha riproposto nell’ultima seduta plenaria di Strasburgo il suo vecchio proposito di porre fine alle dichiarazioni urgenti sui diritti umani fatte dal Parlamento.
E la sinistra intanto? Beh, tristemente, è senza un progetto. Critichiamo la corruzione e siamo stati in prima linea nella lotta contro questo e altri scandali. E continuiamo a tirare il filo perché questo non rimanga in un caso del Qatar, del Marocco e di un pugno di imputati, ma piuttosto denunci il funzionamento opaco e antidemocratico delle istituzioni europee nel loro insieme e di un’architettura istituzionale al servizio del élite e i loro interessi. Però, da sinistra continuiamo a non avere un discorso chiaro su quale Europa vogliamo e cosa fare con l’Ue. Con questo o con qualsiasi altra possibile. Tanta sfida quanto poca strategia.
Ecco perché quando questi tipi di scandali di corruzione aprono finestre di opportunità per quelle altre battaglie più profonde, sentiamo che stiamo giocando con le carte segnate e con il tetto molto basso. Ci manca una discussione strategica in modo che ogni possibilità di segnare un punto non ci colga in fuorigioco. Altrimenti rischiamo di diventare un mero attore che critica la corruzione, l’abuso di potere e la sua impunità, ma che non ha idee forti per quell’altra Europa possibile, solo alcune proposte per apportare dei cambiamenti concreti. E per farlo ci sono già buoni gruppi di pressione per la trasparenza o gruppi come quelli verdi. Che il Qatargate serva a tirare il filo che sfida il modello antidemocratico dell’Ue, ma anche a tirare le orecchie alle sinistre affinché, una volta per tutte, cu sediamo a pensare a quale altra Europa vogliamo e a come la costruiamo.
di Miguel Urbán
Eurodeputato di Anticapitalistas – gruppo della Sinistra al Parlamento europeo – GUE/NGL
del Consejo Asesor de Viento Sur