Legge Ue sulle materie prime critiche, EU Raw Materials Coalition: un mix di aspirazioni e carenze

Ambizioni migliorate, ma restano preoccupazioni per standard ambientali, protezione dei diritti delle popolazioni indigene e riduzione della domanda

[14 Dicembre 2023]

L’Unione europea ha raggiunto rapidamente un accordo politico sulla legge sulle materie prime critiche (CRMA) e ieri gli eurodeputati hanno dato ilvia libera al testo finale, la EU Raw Materials Coalition, che rappresenta più di 50 organizzazioni della società civile di tutta Europa, coordinata da Robin Roels dell’European Environmental Bureau (EEB, al quale aderisce anche Legambientee), evidenzia alcuni dei risultati e mencanze del testo finale del CRMA. Per gli ambientalisti la riduzione del consumo di materie prime e la circolarità sono state  un’occasione persa, ma c’è il potenziale per poter agire ancora: «Per ottenere catene di approvvigionamento sicure come delineato nel CRMA, è fondamentale esaminare attentamente le proiezioni della domanda e attuare politiche per ridurre gli sprechi. Pur mancando obiettivi specifici di riduzione, il testo finale obbligherà la Commissione a valutare regolarmente i progressi dell’Ue nel raggiungimento di obiettivi specifici sulle materie prime per gestire il previsto aumento dei consumi».

Ma la EU Raw Materials Coalition fa notare che «La gestione delle proiezioni della domanda si basa principalmente sullo sviluppo tecnologico e sull’efficienza delle risorse, senza però tenere conto delle misure di sufficienza». Altri miglioramenti apprezzati includono l’aumento dell’obiettivo di riciclaggio al 25%, che, insieme ad altre misure di circolarità, potrebbe potenzialmente contribuire a ridurre il consumo complessivo di materie prime.

Secondo Roels, «L’Ue e gli Stati membri devono dare priorità a strategie realistiche per ridurre la domanda di materie prime, diminuendo così la criticità e mitigando i rischi ambientali e sociali. La Raw Materials Coalition sostiene obiettivi specifici e, sebbene l’attuale linguaggio della CRMA sulla moderazione della domanda sia un punto di partenza, è necessario un ulteriore sviluppo da parte delle istituzioni implementatrici. Prevediamo sforzi di collaborazione nei prossimi anni».

La coalizione accogli con favore la maggiore enfasi sul coinvolgimento delle comunità, così come l’inclusione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (UNDRIP) e lo status di osservatore nel Critical Raw Materials Board per la società civile e le comunità colpite. «Tuttavia – fanno notare le organizzazioni –  il riconoscimento esplicito e vincolante del diritto dei popoli indigeni al consenso libero, preventivo e informato (FPIC), come proposto dal Parlamento europeo e richiesto dalle organizzazioni dei popoli indigeni, non è stato incluso nel testo finale. Dato che più della metà delle materie prime considerate strategiche si trovano all’interno o nelle vicinanze dei territori delle popolazioni indigene, i diritti delle popolazioni indigene devono essere messi al centro».

Per la buriata Galina Angarova, direttrice esecutiva di Cultural Survival e co-presidente del comitato esecutivo della Securing Indigenous Peoples’ Rights in the Green Economy Coalition (SIRGE Coalition), «Mentre effettuiamo la transizione vitale verso l’energia pulita, non possiamo permetterci di ripetere gli errori del passato e la decimazione delle nostre terre e territori ancestrali. E’ fondamentale che le comunità indigene di tutto il mondo partecipino in modo significativo al processo decisionale e siano in grado di esercitare il nostro diritto di dare o negare il consenso a questi progetti minerari che influiscono sulla nostra terra, sui nostri mezzi di sussistenza e sulle nostre culture»

L’EU Raw Materials Coalition è anche convita che fare eccessivo affidamento alle certificazioni esternalizzerà la tutela dell’ambiente e dei diritti umani: «Ulteriori aspetti allarmanti riguardano la significativa dipendenza della CRMA dagli schemi di certificazione per “attestare la conformità” per progetti strategici al di fuori dell’Ue. Come dimostrano le prove , questi schemi non sono adatti a dimostrare né garantire il rispetto dei diritti umani e degli standard ambientali».

Johanna Sydow, responsabile della politica ambientale internazionale dell’Heinrich Böll Stiftung, sottolinea che «La Commissione essenzialmente esternalizza le responsabilità relative ai diritti umani e alla protezione ambientale a enti di certificazione privati, spesso influenzati dalle stesse società minerarie che dovrebbero supervisionare. Sebbene l’adozione di criteri di idoneità di base, come la governance multi-stakeholder, gli audit in loco e i meccanismi anti-concussione e anticorruzione, sia un passo positivo, non riusciranno a garantire una solida protezione dell’ambiente e dei diritti umani».

Poi c’è la tutela dell’ambiente che con la CRMA sarebbe ancora a rischio. «Nonostante una proroga di tre mesi del processo di concessione dei permessi, permangono timori riguardo alle parle “interesse pubblico prevalente”, che potenzialmente consentono attività minerarie in aree protette – scrivono le associazioni –  I legislatori dell’Ue sopravvalutano l’efficacia delle normative minerarie europee, poiché la ricerca emergente indica problemi significativi nelle operazioni estrattive anche all’interno degli Stati membri con forti parametri di governance, per non parlare dell’impatto sulla biodiversità sui Paesi terzi.

Tobias Kind-Rieper, responsabile globale del settore minerario e dei metalli del Wwf Deutschland è molto preoccupato: «Vediamo il grande pericolo che la crescente domanda di metalli spinga l’estrazione di materie prime nelle aree naturali protette. Già 4 progetti minerari su 5 in tutto il mondo si trovano all’interno o in prossimità di aree protette, con una serie di impatti negativi. Gli ecosistemi sono la fonte di vita per il nostro futuro e non devono cadere vittime di processi affrettati e non trasparenti».

E a preoccupare è anche la dimensione internazionale, per la Coalizione  partenariati strategici rischiano di esacerbare gli impatti sui diritti umani: «L’Ue mira a incrementare l’approvvigionamento da Paesi terzi, ma gli strumenti commerciali e finanziari esistenti non riescono a rafforzare la tutela dell’ambiente e dei diritti umani. Gli investimenti attraverso il Global Gateway, i crediti all’esportazione per progetti strategici nei Paesi produttori del sud del mondo, gli accordi di libero scambio e i partenariati strategici volti a garantire forniture da Paesi terzi rischiano di perpetuare i familiari impatti negativi associati al settore minerario».

Perrine Fournier, campaigner per il commercio e le foreste di Fern conclude ricordando che «Gli impatti delle operazioni minerarie, come la corruzione, la mancanza di trasparenza, la deforestazione, la perdita di biodiversità e le violazioni dei diritti umani, che colpiscono in particolare le donne in modo sproporzionato, sono causati dalla mancanza di trasparenza e responsabilità aziendale. La politica commerciale dell’Ue deve migliorare in modo significativo per garantire che questi partenariati vadano a vantaggio dello sviluppo locale, rispettino e sostengano la sostenibilità ambientale e i diritti umani».