Nella Repubblica democratica del Congo la fame ha raggiunto dimensioni spaventose
Allarme di Fao e Rdc: 27,3 milioni di persone a rischio fame
[7 Aprile 2021]
Secondo la Fao e il Worl food programme (WFP), «Nella Repubblica democratica del Congo (RdC), la situazione della sicurezza alimentare rimane disperata, con una persona su tre in preda alla fame acuta». Un allarme confermato dal recente rapporto “Analyse IPC de l’insécurité alimentaire aiguë Février – Décembre 2021” dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), secondo il quale il numero di persone colpite da un elevato grado di insicurezza alimentare acuta nel grande Paese africano si aggirerebbe intorno ai 27,3 milioni che comprendono anche i quasi 7 milioni di persone che si trovano alle prese con livelli di fame acuta cosiddetti “di emergenza” (IPC 4), il che fa della RdC il Paese del mondo con il più elevato numero di persone bisognose di urgenti aiuti per la sicurezza alimentare.
L’IPC è un’iniziativa globale alla quale partecipano Agenzie Onu, ONG, Istituzioni globali e centri di ricerca come il JRC dell’Ue e ha il dichiarato intento di «Facilitare un processo decisionale ottimizzato fornendo un’analisi, fondata sul consenso, dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione».
L’espressione “elevati livelli di insicurezza alimentare acuta” (o fame acuta) fa riferimento alle popolazioni che si trovano nella fase 3, o successive, dell’IPC. Le popolazioni classificate nella fase 3 dell’IPC (Crisi) e nella fase 4 dell’IPC (Emergenza) necessitano di interventi urgenti volti a salvare vite umane, ridurre i divari in termini di consumo alimentare e proteggere i mezzi di sussistenza. Nella fase 3, le famiglie possono cibarsi di alimenti meno ambiti o meno nutrienti o possono essere costrette a saltare i pasti o a vendere beni produttivi per avere accesso al cibo; nella fase 4, possono essere costrette a ricorrere a strategie più estreme come vendere l’ultimo animale indispensabile al loro sostentamento o chiedere la carità.
Il rappresentante del WFP nella RdC, Peter Musoko, sottolinea che «Per la prima volta in assoluto siamo stati in grado di includere nella nostra analisi la stragrande maggioranza della popolazione, il che ci ha consentito di tracciare un quadro il più possibile realistico delle spaventose dimensioni raggiunte dall’insicurezza alimentare nella RdC. Questo paese dovrebbe essere in grado di sfamare la sua popolazione ed esportare le eccedenze. Non possiamo tollerare che dei bambini vadano a letto affamati e che le famiglie saltino i pasti per un’intera giornata».
La guerra e le guerriglie internazionali ed etniche per le risorse che devastano l’est del Congo da decenni restano una delle principali cause della fame e Fao e WFP dicono che «Le zone maggiormente colpite sono quelle dilaniate dalla violenza, ossia ampie fasce delle province orientali di Ituri, Kivu Nord e Kivu Sud e Tanganyika, nonché la regione centrale del Kasais, teatro di recenti scontri».
Tra gli altri importanti fattori che concorrono ad aggravare la crisi ci sono il crollo dell’economia nazionale e le conseguenze della pandemia di Covid-19 a livello socioeconomico.
Il rappresentante della Fao nella RdC, Aristide Ongone Obame, evidenzia che «I ricorrenti scontri nella RDC orientale e la sofferenza che essi producono rimangono eventi estremamente allarmanti. Per rafforzare la sicurezza alimentare e accrescere la resilienza delle popolazioni vulnerabili è indispensabile garantire stabilità sociale e politica. L’intervento più urgente consiste nel promuovere la produzione di cibo laddove questo è maggiormente necessario e nel proteggere gli animali che concorrono al sostentamento delle persone. La principale stagione agricola è dietro l’angolo e non c’è tempo da perdere».
Le due agenzie Onu ricordano che dietro questi numeri impressionanti «Ci sono storie di genitori a cui è stato negato l’accesso alle terre di loro proprietà o che sono stati costretti a scappare per mettersi in salvo, testimoni forzati del deperimento fisico dei propri figli dovuto alla fame. Il personale del WFP ha incontrato le famiglie che, tornate al proprio villaggio, hanno trovato le loro case completamente bruciate e i loro raccolti depredati. Alcuni sopravvivono cibandosi esclusivamente di taro, una radice selvatica, o di foglie di manioca bollite in acqua».
Ad essere più colpiti dalla fame sono prevalentemente gli sfollati, i rifugiati, i rimpatriati, le famiglie ospitanti, i nuclei familiari con donne come capofamiglia e le persone che hanno subito calamità naturali come inondazioni, smottamenti, incendi. A queste si aggiungono le popolazioni più povere delle zone urbane e periurbane e le persone che vivono nelle aree più remote e difficilmente accessibili, che hanno un basso potere d’acquisto e un accesso limitato ai mercati.
Fao e WFP invocano «Un intervento tempestivo per intensificare gli aiuti ai congolesi residenti nelle zone di crisi» ma non stanno a guardare. La Fao sta operando per migliorare l’accesso delle famiglie agli strumenti agricoli e alle sementi, per fornire bestiame di qualità (indispensabile per migliorare la nutrizione), per sostenere i processi di trasformazione degli alimenti e l’immagazzinamento dei prodotti alimentari e per aiutare i piccoli agricoltori nella lotta contro le malattie degli animali e delle piante. Quest’anno, in particolare, la Fao si prefigge l’obiettivo di fornire aiuti alla sussistenza per salvare la vita a 1,1 milioni di persone in zone colpite da un elevato livello di insicurezza alimentare acuta.
Nell’ambito delle sue attività di prevenzione della fame, il WFP procura aiuti alimentari di prima necessità a 8,7 milioni di persone nella RdC. Nello specifico, inoltre, il WFP deve poter continuare a portare avanti i suoi interventi di prevenzione e cura della malnutrizione, una condizione che colpisce 3,3 milioni di bambini nel paese. La malnutrizione nella prima infanzia compromette lo stato di salute di un individuo per il resto della sua esistenza, privandolo della possibilità di realizzare appieno le sue potenzialità e di offrire il proprio contributo alla comunità in cui vive.
Ma le due Agenzie Onu puntano a individuare una soluzione di lungo termine e stanno investendo in «progetti di rafforzamento della resilienza a sostegno dell’agricoltura comunitaria, così da contribuire a incrementare le rese, ridurre le perdite e stimolare l’accesso ai mercati. Si tratta di progetti che aiutano le comunità a costruire la propria esistenza e a incamminarsi verso la pace».