Non solo gas, le sanzioni russe potrebbero ostacolare la green economy Ue?

La Russia è uno dei principali produttori di rame, nichel e altri minerali vitali per la transizione energetica

[1 Marzo 2022]

Mentre vengono annunciate le sanzioni contro la Russia che ha invaso l’Ucraina, al centro dell’attenzione ci sono le industrie petrolifere e del gas russe, ma alcuni esperti dicono che gli interessi minerari della Russia potrebbero  complicare la risposta contro Putin degli Stati Uniti e dell’Unione europea.

Infatti, la Russia è uno dei principali produttori di rame, nichel, metalli del gruppo del platino e altri minerali considerati cruciali per costruire un futuro low-carbon e i mercati dei metalli in cui opera la Russia sono già ben oltre la crisi isterica, con il prezzo del nichel che ha raggiunto il massimo da 11 anni.

Alcuni osservatori sostengono che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha chiarito che c bisogna affrancarsi dai combustibili fossili e che a farlo devono essere per primi i Paesi europei, come l’Italia, che sono dipendenti dal gas russo. Ma abbandonare i combustibili fossili ha altre implicazioni strategiche e sul tavolo del mercato mondiale ritorna la Russia, uno dei giganti minerari per l’estrazione di metalli.

Bill McKibben, co-fondatore di 350.org, ha twittato: «L’arma principale della Russia contro l’Europa è la sua minaccia di tagliare petrolio e gas. Potrebbe essere saggio smettere di usare petrolio e gas ora che abbiamo alternative praticabili». E in un’e-mail inviata a E&E News ha precisato: «La continua dipendenza dai combustibili fossili è il dono più grande che potremmo fare a Vladimir Putin: è il dono che continuiamo a fargli. Superare quella dipendenza ci libererebbe per poterlo affrontare in modo molto più diretto».

Ma i piani per uscire dai combustibili fossili si basano in gran parte sulla produzione di energia rinnovabile e di veicoli elettrici, attività che richiederanno molti metalli prodotti dalla Russia e in molti temono che le sanzioni occidentali potrebbero dirottare queste risorse lontano dai produttori occidentali, come ad esempio in Cina o in altri Paesi che non sembrano propensi a boicottare Mosca.

Morgan Bazilian, direttore del Payne Institute for Public Policy alla Colorado School of Mines. Sottolinea che «L’attenzione del mondo dell’energia, per quanto riguarda l’invasione russa, è stata “intorno alle implicazioni per petrolio e gas naturale, che probabilmente saranno significative in vari modi. Sono state meno evidenziate le implicazioni per altre materie prime tra cui nichel, alluminio, acciaio, cobalto e rame. Tutti questi materiali sono quelli che la Russia ne ha in quantità significative».

E lo sa anche la Casa Bianca che si è rifiutata di dire se le società minerarie russe o i loro dirigenti verranno presi di mira da future sanzioni.

Uno dei giganti del nichel è la famigerata Norilsk Nickel, o Nornickel, che produce nichel principalmente per scopi industriali ma che si è proposta come futuro fornitore di metalli fondamentali per la transizione energetica attraverso accordi con i Paesi occidentali. Intanto ha interessi, miniere e fabbriche in diversi Paesi in via di sviluppo.

Il nichel è un prodotto fondamentale per la produzione di batterie agli ioni di litio per veicoli elettrici. Il produttore tedesco di batterie BASF ha collaborato con Nornickel per sviluppare una raffineria di nichel completamente integrata e un complesso di produzione di batterie in Finlandia, che dovrebbe entrare in funzionr<equest’anno. Anche l’azienda chimica britannica Johnson Matthey ha un accordo di fornitura con Nornickel per la rifornire la raffineria finlandese.

E BASF non è certo l’unico cliente di Nornickel della green economy.  Nornickel è il più grande produttore mondiale di palladio, un materiale prezioso utilizzato per realizzare convertitori catalitici. E anche se un giorno i produttori sostituiranno il palladio dei nuovi convertitori catalitici con il platino, le imprese minerarie russe sono il secondo produttore di platino.

Infatti, nonostante quel che ci vuol far credere la propaganda di questi giorni (e come sanno bene Cionfindustria e le imprese italiane), lo stato-mercato putiniano è perfettamente integrato con l’economia globalizzata e questi rapporti commerciali sono continuati nonostante da anni gli ambientalisti e gli attivisti indigeni russi denunciassero la devastazione ambientale prodotta dalle miniere e dalle fabbriche di Nornickel e le fuoriuscite di petrolio nell’Artico. Quando Greenpeace assaltava le piattaforme offshore russe e i suoi attivisti venivano imprigionati, o gli ambientalisti russi si opponevano alla distruzione di foreste o all’inquinamento  dei fiumi e del mare con scorie nucleari e reflui chimici e venivano malmenati e arrestati, i governi e il business occidentale “comprendevano” le ragioni di Putin e consideravano gli ambientalisti poco più che scapestrati rompicoglioni

Mentre Russia e Occidente si confrontavano sulla sovranità degli ex Stati sovietici e sull’integrità democratica, Nornickel già nel 2020  faceva notare che i suoi prodotti sono così vitali per l’economia che sarebbero impossibili da sanzionare. Nel 2019 un giornalista di Bloomberg chiese al presidente di Nornickel Vladimir Potanin: «Lei è potenzialmente non sanzionabile, dato che gli Stati Uniti importano molto del suo palladio e che senza palladio non si  può guidare un’automobile?». L’oligarca putiniano Potanin rispose: «Produciamo molti prodotti che sono davvero necessari alle imprese di tutto il mondo: palladio, nichel, ecc. Se ci fosse un qualsiasi tipo di guerra, qualsiasi tipo di sanzione, non andrà a beneficio di nessuno nel mondo. Facciamo qualcosa di cui le persone hanno bisogno e continueremo a farlo».

Ora, non a caso, di fronte alle sanzioni per la guerra in Ucraina, Nornickel si rifiuta di rilasciare commenti.

Il giorno prima che scoppiassero i combattimenti in Ucraina, la cinese Shanghai Metals Market ha pubblicato una nota nella quale afferma che «Mentre le preoccupazioni del mercato peggiorano per le sanzioni alle industrie russe, è probabile che più nichel di Nornickel venga esportato in Cina  o consegnato alle scorte di magazzino dalle quali, alla fine verrebbe spedito al mercato cinese. Man mano che il nichel più raffinato fluisce in Cina, Europa e  Stati Uniti dovranno cercare i sostituti nel mercato globale. Mentre il gap dell’offerta può essere integrato da merci provenienti da Giappone, Canada, Australia e Norvegia, il “premium” del nichel raffinato nei mercati europei e statunitensi aumenterà».

Per Reed Blakemore, vicedirettore dell’Atlantic Council Global Energy Center, «Nornickel pone una domanda importante agli Stati Uniti e ai suoi alleati: sanzionare un minerale critico russo, come il nichel, potrebbe ritorcersi contro? Togliere il nichel russo dal mercato tramite sanzioni non fa che restringere la catena di approvvigionamento del nichel, dove finisci per danneggiare i tuoi obiettivi di produzione nazionale che richiedono quantità significative di nichel?».

Abigail Wulf, direttrice strategia minerali critici dell’ONG Securing America’s Future Energy, è molto preoccupata perché teme che, con lo scoppio della guerra in Ucraina, «La forte industria mineraria russa possa essere sfruttata in un modo simile a come la Cina ha esercitato influenza sui mercati dei minerali. La catena di approvvigionamento delle batterie è diventata così intrecciata con le compagnie cinesi che gli Stati Uniti e i loro alleati europei potrebbero trovarsi in una situazione simile se la Cina tentasse di conquistare completamente l’isola autogovernata di Taiwan. In tal caso, anche le nazioni occidentali dovrebbero agire con cautela per evitare di perdere l’accesso a catene di approvvigionamento minerarie cruciali. La nostra preoccupazione è che i nostri mercati energetici siano così legati a nazioni che non condividono i nostri valori».

Ci sono alternative al fatto che un futuro low-carbon  potrebbe ancora comportare una certa dipendenza dell’Occidente dai minerali russi, McKibben ricorda: «Vale la pena pensare, ad esempio, allo sviluppo della gomma sintetica durante la seconda guerra mondiale. La fornitura di materie prime per produrre la gomma in quel momento era nelle mani dell’Asse (Germania, Italia e Giappone, ndr). Bisogna pensare un po’ più in generale, invece di cedere al disfattismo servile».

Ma questo, tradotto, vuol dire che non potremo fare a meno di aprire miniere per estrarre metalli e terre rare in Europa e che dovremo sempre più riciclare i materiali preziosi delle green economy che buttiamo in discarica.

Il piano dell’Unione europea per tassare le merci importate ad alta intensità di carbonio potrebbe rivelarsi molto costoso per Paesi come Cina e Russia, che hanno standard ambientali molto più deboli e se nell’Ue prevarrà chi vuole affrancarsi dal gas russo e da quello di altri Paesi problematici come gli Stati arabi, bisogna accelerare la transizione ecologica, che potrebbe diventare un momento catalizzatore».

Quel che bisogna assolutamente evitare è che la guerra si estenda oltre l’Ucraina e che un conflitto prolungato abbia ripercussioni sulla COP27 Unfccc che si terrà a fine anno in Egitto, dove i Paesi dovrebbero presentare obiettivi rivisti per ridurre le loro emissioni di gas serra. Pochi Paesi dovrebbero rivedere i loro tagli alle emissioni mirati più della Russia.

Oldag Caspar di Germanwatch teme che l’invasione russa dell’Ucraina probabilmente infliggerà un duro colpo agli sforzi della Russia per ripensare alla sua economia fossile e per  incrementare i suoi recenti tentativi di sviluppare una politica climatica più positiva dopo gli enormi incendi in Siberia e danni alle infrastrutture dovuti allo scioglimento del permafrost. V Caspar teme che «Nella sua corsa a rinunciare al gas russo, l’Europa lascerà la Russia in disparte piuttosto che aiutarla ad andare verso un nuovo modello di business che dipende meno dalle risorse grezze».

Ma il governo russo è ancora convinto che l’Unione europea sia una specie di suo ostaggio energetico e il ministro dell’energia russo Nikolai Shulginov lo ha detto chiaramente durante un’intervista a Energy Intelligence in occasione del Forum dei paesi esportatori di gas  tenutosi a Doha, in Qatar: «Si può sognare e fantasticare, ma il vero mix energetico è in uno stato tale che le rinnovabili rimangono instabili e costose. Questo significa che deve esserci anche la produzione di energia tradizionale».

Ma la verità è che perdere l’Europa come principale cliente lascerebbe la Russia con poche opzioni per vendere il suo gas, almeno fino a che non avrà terminato i gasdotti verso la Cina.

Georg Zachmann, senior fellow del think tank Bruegel, non è pessimista e conclude: «Nel frattempo, per l’Europa, la transizione non deve essere così dolorosa come sembra. Ma richiederebbe la cooperazione in tutto il continente. Si tratta di gestire i costi e distribuirli equamente tra i partner, e quindi si può fare».

E questa sarebbe la vera sconfitta di Putin e delle dittature petrolifere di tutto il mondo.