Rapporto Unctad: la disperata povertà del popolo palestinese abbandonato
A 30 anni dall’accordo di Oslo, il PIL pro capite palestinese è pari solo all’8% di quello israeliano
[26 Ottobre 2023]
L’ultimo rapporto “Developments in the economy of the Occupied Palestinian Territory” della United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD) sull’assistenza al popolo palestinese afferma che «Il 2022 è stato un altro anno negativo per i palestinesi. In un contesto di crescenti tensioni politiche, di crescente dipendenza dalla potenza occupante e di un processo di pace in fase di stallo, l’economia palestinese ha continuato a operare al di sotto del suo potenziale nel 2022, mentre altre sfide persistenti si intensificavano. Questie includono la perdita di terra e di risorse naturali a causa degli insediamenti israeliani, la povertà endemica, la riduzione dello spazio fiscale, il calo degli aiuti esteri e l’accumulo di debito pubblico e privato».
Anche se nel 2022 il PIL palestinese è cresciuto del 3,9%, il PIL reale pro capite era ancora inferiore dell’8,6% rispetto al già basso livello pre-pandemia del 2019. A Gaza, il Pil reale era inferiore dell’11,7% rispetto al livello del 2019 e vicino al livello più basso dal 1994.
Nei Territori palestinesi occupati la disoccupazione è rimasta elevata, pari al 24%, al 13% in Cisgiordania e al 45% a Gaza, con le donne e i giovani più colpiti. La povertà è aumentata, rendendo il 40% della popolazione bisognosa di assistenza umanitaria. L’UNCTAD evidenzia che «Con l’aumento dei prezzi globali dei prodotti alimentari e dell’energia, le famiglie più povere soffrono in modo sproporzionato perché il cibo rappresenta una quota maggiore della loro spesa totale».
Mentre a nella Struscia di Gaza i bombardamenti fanno strage e polverizzano quel che resta di un’economia sotto,il livello di sussistenza, il rapporto UNCTAD prende atto amaramente che «Tre decenni dopo gli Accordi di Oslo, l’auspicata convergenza tra l’economia palestinese e quella israeliana resta ostacolata dalle politiche di occupazione. Invece, le due economie sono sempre più divergenti, con il PIL pro capite palestinese attualmente pari solo all’8% di quello israeliano».
E il rapporto evidenzia «La dipendenza forzata dell’economia palestinese da Israele. Gli eccessivi costi di produzione e di transazione e le barriere commerciali con il resto del mondo hanno provocato un deficit commerciale cronico e una dipendenza pervasiva e sbilanciata da Israele, che nel 2022 rappresentava il 72% del commercio palestinese totale. Nel frattempo, la mancanza di una valuta nazionale e la dipendenza dallo shekel israeliano lasciano poco spazio alla politica monetaria, mentre il forte tasso di cambio dello shekel mina la già compromessa competitività dei produttori palestinesi sui mercati nazionali ed esteri».
Sembra la descrizione della situazione dei Bantustan nel Sudafrica dell’apartheid e le similitudini aumentano quando il rapporto UNCTAD fa notare che «La carenza di posti di lavoro costringe molti palestinesi a cercare lavoro in Israele e negli insediamenti. Nel 2022, il 22,5% dei palestinesi occupati della Cisgiordania lavorava in Israele e negli insediamenti, dove il salario medio è più alto. Ma le commissioni di intermediazione e altri costi associati rappresentano il 44% della retribuzione lorda, cancellando il premio rispetto al salario medio interno, il che indica che la ricerca di lavoro in Israele e negli insediamenti è in gran parte guidata da limitate opportunità di lavoro nell’economia nazionale. L’eccessiva dipendenza dal lavoro precario in Israele e negli insediamenti espone l’economia palestinese a shock in un ambiente instabile caratterizzato da crisi frequenti, mentre la mancanza di spazio monetario e fiscale lascia poco spazio per una risposta politica efficace a shock e crisi».
Il rapporto ricorda ancora che «Fin dalla sua nascita nel 1994, il governo palestinese ha dovuto far fronte a responsabilità economiche, politiche e sociali uniche e complesse, di gran lunga superiori alle risorse politiche ed economiche a sua disposizione. In passato, gli aiuti dei donatori hanno contribuito ad attenuare l’impatto dell’occupazione. Tuttavia, nel 2022 il governo palestinese ha ricevuto solo 250 milioni di dollari in sostegno al bilancio dei donatori e 300 milioni di dollari per progetti di sviluppo. Si tratta di un forte calo da un totale di 2 miliardi di dollari, ovvero il 27% del PIL nel 2008, a meno del 3% del PIL nel 2022».
E, in questo contesto già insostenibile, la situazione della striscia di gaza amministrata da hamas è ancora più terribile: «Dal giugno 2007, Gaza ha subito diverse operazioni militari ed è stata sottoposta a chiusura terrestre, marittima e aerea – ricorda ancora il rapporto UNCTAD – Gli abitanti di Gaza hanno bisogno di permessi per entrare e uscire dalla Striscia attraverso due valichi di terra controllati da Israele. Le restrizioni alla circolazione delle persone e delle merci, la distruzione delle risorse produttive nelle frequenti operazioni militari e il divieto di importazione di tecnologie e input chiave hanno svuotato l’economia di Gaza. Nel 2022 gli investimenti sono scesi al 10,7% del Pil di Gaza – o ad un magro 1,9% del Pil palestinese. Tra il 2006 e il 2022, il PIL reale pro capite di Gaza si è ridotto del 37%, mentre la sua quota nell’economia palestinese si è contratta dal 31% al 17,4%. Le restrizioni alla circolazione impediscono anche l’accesso alla sanità e ad altri servizi essenziali, poiché l’80% degli abitanti di Gaza dipende dagli aiuti internazionali».
L’UNCTAD conclude: «Vivere a Gaza nel 2022 significava confinarsi in uno degli spazi più densamente popolati del mondo, senza elettricità per la metà del tempo e senza un adeguato accesso all’acqua pulita o a un adeguato sistema fognario. Ciò significava una probabilità del 65% di essere poveri, una probabilità del 41% di abbandonare la forza lavoro per disperazione e, per coloro che cercavano lavoro, una probabilità del 45% di essere disoccupati».
E’ la descrizione di una bomba a mano disinnescata messa dentro una pentola a pressione, destinate prima o poi ad esplodere. Ed è quello che è successo con il sanguinario attacco di Hamas ai kibbutz israeliani e al rave party ai confini della più grande prigione a cielo aperto del mondo: la Striscia di Gaza. E non saranno i bombardamenti della brulicante e poverissima umanità di Gaza a risolvere questa situazione di disperata povertà e umiliazione.