Riesplode la guerra del cobalto: truppe ugandesi nell’est della Repubblica democratica del Congo a caccia di ribelli

L’inviata Onu: «Il ritorno alla stabilità nella RDC orientale richiede il ripristino della fiducia dell'opinione pubblica»

[7 Dicembre 2021]

Il primo dicembre il governo della Repubblica democratica del Congo (RDC) ha confermato la presenza di soldati dell’esercito ugandese sul suolo congolese per attaccare i ribelli delle Forces démocratiques alliées (ADF). La guerra infinita della RDC si è nuovamente (ufficialmente) internazionalizzata dopo gli attacchi, gli scioperi, le proteste violente e i sequestri contro imprenditori cinesi attivi soprattutto nell’industria e nel commercio – legali e illegali – di cobalto. Inoltre  l’Uganda accusa le ADF di essere i mandanti o di aver attuato direttamente gli attacchi terroristici delle ultime settimane a Kampala.

Annunciando l’ingresso dei soldati dell’Uganda People’s Defence Force (UPDF) sul suo territorio, il ministro delle comunicazioni e portavoce del governo di Kinshasa, Patrick Muyaya  ha detto che «Le truppe ugandesi hanno raggiunto martedi (il 30 novembre, ndr) le Forces armées de la RDC (FARDC) per tracciare insieme i ribelli delle ADF nel nord-est della RDC».

UPDF e FARDC hanno subito bombardato, anche con aerei, accampamenti delle ADF – ma probabilmente anche di altre milizie che operano nell’area – nella foresta e assicurano di non aver colpito nessun villaggio. Questo non ha evitato che si innescasse una nuova ondata di profughi mentre in molti accusano il governo della RDC di aver dato da tempo carta bianca all’esercito dell’Uganda per scovare e uccidere più miliziani possibile delle ADF e di altre forze ribelli. E’ per questo che Kinshasa avrebbe dichiarato lo stato di assedio  nelle provincie del Nord-Kivu e dell’Ituri.

Le aree sottoposte a bombardamenti aerei e a tiri di mortaio sono nella foresta di Beni a cavallo tra il Nord-Kivu e l’Ituri e il governo della RDC assicura che «L’operazione mira a neutralizzare i membri delle ADF che hanno moltiplicato gli attacchi contro la popolazione civile in nquesta parte del Paese». Non è la prima volta che i militari ugandesi intervengono nel Beni: nel 2017 l’esercito di Kampala annunciò di aver ucciso più di 100 ribelli in attacchi attuati in quella regione della RDC.

Intervenendo ieri al Consiglio di sicurezza dell’Onu, la Rappresentante speciale del Segretario generale nella RDC, Bintou Keita, ha detto che «Ripristinare la fiducia della popolazione è fondamentale per portare stabilità nell’est del Paese. Le sfide che il governo deve affrontare nell’attuazione dello stato d’assedio nelle province di Ituri e Nord Kivu evidenziano i limiti di un approccio strettamente militare alla protezione dei civili e alla neutralizzazione dei gruppi armati». La Keita ha fatto notare che «Il periodo dello stato d’assedio, deciso lo scorso maggio, ha infatti visto un aumento del 10% del numero di violazioni e abusi dei diritti umani nel Paese, rispetto al periodo precedente, imputabile in grande maggioranza a gruppi armati e forze di sicurezza nelle due province del Nord Kivu e dell’Ituri. Una soluzione duratura per la violenza nella RDC orientale richiede un impegno politico più ampio per affrontare le cause profonde del conflitto. Affinché ritorni la stabilità nell’est del Congo, lo Stato deve riuscire a ripristinare e mantenere la fiducia della popolazione nella sua capacità di proteggere, amministrare, garantire giustizia e soddisfare i propri bisogni primari».

La Keita ha confermato che il 30 novembre le FARDC hanno avviato operazioni militari congiunte con l’esercito ugandese contro i ribelli dell’ADF. Attacchi aerei e di artiglieria contro le posizioni dell’ADF nel Nord Kivu e nell’Ituri sono stati eseguiti lo stesso giorno dall’ingresso di unità ugandesi in territorio congolese. Attualmente, le operazioni di terra continuano a neutralizzare i combattenti nemici nelle zone di bombardamento».

La Rappresentante speciale di António Guterres nella RDC ha spiegato che nei suoi colloqui avuti con le massime autorità di RD e Uganda ha  preso atto della «Decisione sovrana di compiere questa azione militare congiunta» ma ha  sottolineato «L’assoluta necessità di porre in essere meccanismi operativi di cooperazione al fine di garantire la sicurezza delle forze di pace delle Nazioni Unite e consentire alla Missione di continuare a sostenere le FARDC nella protezione dei civili e nella neutralizzazione dei gruppi armati».

Per questo, il 2 dicembre, il comandante della Mission de l’Organisation des Nations unies pour la stabilisation en république démocratique du Congo (Monusco) è andato a Kampala, per definire con le autorità ugandesi le modalità pratiche di un coordinamento tripartito e oggi è a Kinshasa per incontrare i vertici militari delle FARDC per continuare il dialogo iniziato in Uganda.

Per quanto riguarda la situazione umanitaria, la Keita  ha denunciato che «Continua a peggiorare nell’est del Paese, a causa dell’insicurezza e delle epidemie, unite a un accesso limitato ai servizi di base. Il numero degli sfollati interni è di quasi 6 milioni, di cui il 51% sono donne. Si tratta del numero più alto di sfollati interni nel continente. A questo si è aggiunta la comparsa di nuovi casi di virus Ebola».

La Keita, che è il capo della MONUSCO, ha anche indicato che «Sta andando avanti l’attuazione del piano di transizione per il ritiro graduale, responsabile e condizionato della missione».

Concludendo, mentre la Repubblica Democratica del Congo si prepara già alle elezioni del 2023, la Keita ha esortato tutte le parti politiche interessate a «Concentrarsi, nei prossimi dodici mesi, sull’attuazione delle riforme chiave necessarie per consolidare i forti progressi della stabilizzazione. risultati ottenuti finora e superare le sfide persistenti, in particolare nell’est del Paese».

Patole sagge ma che non nascondono il sostanziale fallimento della Monusco in RDC, dove la guerra ultra-trentennale per le risorse non si è mai fermata ed è combattuta da eserciti stranieri contro milizie armate da multinazionali e da altri Paesi stranieri, compresi alcuni di quelli che siedono nel Consiglio di sicurezza dell’Onu dove la Keita ha fatto l’ennesimo drammatico appello.